Abbandono di animali: ultime dalla Cassazione

Abbandono di animali: ultime dalla Cassazione

Gli animali non sono giocattoli.

L’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea ha affermato con forza il principio secondo cui gli animali sono “esseri senzienti”, ergo, dotati di una loro individualità e sensibilità. Ciò al fine di garantire agli stessi una condizione di benessere che va oltre le esigenze fisiologiche, comprendendo anche una dimensione morale che include a sua volta la capacità di provare sofferenza e dolore.

Né può trascurarsi il grande contributo che gli animali di affezione forniscono alla qualità della vita degli esseri umani. Da ciò deriva il preciso dovere morale di rispettarli e, per il proprietario, il dovere giuridico di occuparsene in modo responsabile, procurandogli una sistemazione adeguata, assicurando movimento, cure ed attenzioni che tengano conto di tutti i loro bisogni.

Nonostante l’interesse crescente sulla tematica non sono pochi i casi di abbandono.

L’art. 727 c.p. prevede e punisce l’abbandono di animali e tanto recita: “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro.

Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.”

Entrambe le condotte configurano ipotesi di reato proprio, in quanto può essere commesso solo dal proprietario dell’animale; si evidenzia, viepiù, che la detenzione dell’animale in condizioni contrarie alla sua natura si configura anche per mera negligenza.

Interessante è la recentissima sentenza della Corte di Cassazione Penale, Sez. terza, n. 6609 del 20 febbraio 2020.

Due coniugi acquistano un cane di razza bulldog. La moglie, però, manifesta sin da subito avversità nei confronti dello stesso giacché, in generale, non amante degli animali e, nello specifico, dapprima contraria alla spesa eccessiva che avrebbero dovuto affrontare ai fini dell’acquisto e, durante la convivenza, ostile all’esasperante comportamento del bulldog.

I due si separano e l’ex marito, che per motivi lavorativi si allontana dal luogo ove entrambi risiedono, affida per 20 giorni il cane alla ex moglie. Costei mal tollerandolo, attesa l’ostinazione dell’animale “a rompere le sedie e a sbavare continuamente”, se ne libera.

Lo lega, perciò, ad un palo in prossimità di un centro veterinario. Dopo circa due ore il cane viene per caso ritrovato da un operatore del centro che, attraverso il microchip, riesce ad identificare il proprietario, l’ex marito, telefonicamente irraggiungibile. La madre dell’uomo, all’uopo contattata, riferisce che il figlio si trovava fuori e che il cane era stato lasciato alla ex moglie la quale, pur successivamente informata, non andava a prenderlo. Il cane fu perciò portato in un canile.

Sono di tutta evidenza ravvisabili gli estremi di cui all’art. 727 c.p. poiché il cane è di fatto stato abbandonato, lasciato in balìa di se stesso per un certo lasso di tempo, interrompendo la relazione di custodia e di cura a prescindere dalla verificazione di eventi lesivi ulteriori.

Trattandosi di reato contravvenzionale, può essere realizzato a titolo di dolo o colpa. Dunque, anche con dolo eventuale.

Ed è stata questa la ratio utilizzata dai giudici di legittimità.

Nella fattispecie in esame, è stata ritenuta responsabile penalmente la moglie, non ricorrente, quale autrice materiale dell’abbandono. Tuttavia, anche in capo al marito è stata individuata responsabilità, non già a titolo di colpa bensì a titolo di dolo eventuale. Mutuando le parole della Corte, esso si realizza quando “l’agente, nonostante si sia chiaramente rappresentato la verificazione dell’abbandono dell’animale, si sia comunque determinato ad agire, anche a costo del verificarsi dell’evento lesivo.”

Difatti, secondo la teoria dell’accettazione del rischio, che riflette a tutt’oggi il punto di vista della dottrina dominante, perché il soggetto agisca con dolo eventuale non basta la rappresentazione mentale della possibilità concreta di verificazione dell’evento: è, altresì, necessario che egli faccia i conti con questa possibilità e, ciononostante, decida di agire anche a costo di provocare un evento criminoso. Decidendo di agire a costo di provocare l’evento, finisce col consentire all’evento stesso.

In altri termini, nel caso di specie, considerati tutti i forti motivi di avversione manifestati dalla donna nei riguardi del cane, il marito potendo prevedere per questi stessi motivi il rischio dell’abbandono dell’animale, dal momento in cui decide, nonostante tutto, di affidarlo all’ex moglie, diventa corresponsabile dell’abbandono.

Entrambi sono condannati al pagamento di una salata ammenda.


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Maria Pina Aragona

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