Abusivismo edilizio, illegittimo l’ordine di demolizione rivolto al non proprietario

Abusivismo edilizio, illegittimo l’ordine di demolizione rivolto al non proprietario

Cons. Stato, sez. VI, 20 luglio 2018, n. 4424

Tradizionalmente, la dottrina e la giurisprudenza hanno evidenziato, nell’ambito delle misure amministrative ad effetti limitativi della sfera giuridica, una netta cesura (non solo tipologica ma finanche) sistematica tra sanzione “in senso stretto” e sanzione “in senso lato”, assegnando alle due categorie di sanzioni un diversificato apparato di garanzie sostanziali, procedimentali e giurisdizionali.

La sanzione in senso stretto, ovvero la sanzione pecuniaria disciplinata dalla legge n. 689 del 1981, costituisce reazione dell’ordinamento alla violazione di un precetto cui è estranea qualunque finalità ripristinatoria o risarcitoria ed è inflitta nell’esercizio di un potere punitivo avente ad oggetto condotte, come avviene quando decide il giudice penale. La commisurazione della misura afflittiva avviene attraverso un potere «ontologicamente diverso dalla discrezionalità amministrativa, che presuppone una ponderazione di interessi», atteso che «l’ampio margine di apprezzamento lasciato dalla legge all’amministrazione» dovrebbe essere «esclusivamente utilizzato per adeguare la sanzione alla gravità della violazione commessa ed alle condizioni soggettive dell’autore, restando escluso ogni giudizio di valore sugli interessi amministrativi tutelati dalla norma sanzionatoria» (Cass., sez. I, 14 novembre 1992, n. 12240, e Cass., sez. I, 15 dicembre 1992, n. 13246). Sul piano delle situazione giuridiche soggettive, tale discrezionalità (esercitata sulla base di criteri diversi, che prescindono dalla valutazione di qualsiasi interesse pubblico) fronteggia posizioni che – anche ai fini della giurisdizione – sono qualificabili di diritto soggettivo alla “integrità patrimoniale”. Sotto altro profilo, la sanzione in “senso stretto” è irrogata tramite un procedimento diverso da quello previsto dalla legge 7 agosto 1990, n. 241, è garantita dai principi di legalità, personalità e colpevolezza (per quanto mutuati dalla legislazione ordinaria e non dalla Costituzione), è suscettibile di integrale riesame giudiziale (senza, cioè, alcun limite di “merito” amministrativo).

Sull’altro versante, le residue sanzioni (“senso lato”) non ricomprese nella species appena delineata, alle quali si riconducono tradizionalmente le “sanzioni ripristinatorie” ed interdittive (ove non meramente accessorie alle sanzioni amministrative in senso stretto, altrimenti rientrando nella disciplina di cui all’art. 20, legge n. 689 del 1981), costituiscono una manifestazione tipica di potere amministrativo autoritativo, in relazione al quale il cittadino versa in una posizione di interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo. A tali sanzioni “altre” si applicano i principi dell’attività amministrativa tradizionale (dettate dalla legge generale sul procedimento amministrativo).

La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo ha imposto una radicale rivisitazione delle garanzie connesse al principio di legalità e delle tutele procedimentali e giurisdizionali.

La nozione “sostanziale” enucleata dalla Corte di Strasburgo ‒ legata a tre criteri alternativi tra loro: la qualificazione dell’illecito operata dal diritto nazionale; la natura della sanzione, alla luce della sua funzione punitiva-deterrente; la severità, ovvero la gravità del sacrificio imposto ‒ comporta l’applicazione di garanzie molto significative (il diritto al giusto processo in materia civile e penale, di cui all’art. 6; l’applicazione del principio nulla poena sine lege, di cui all’art. 7, e del principio ne bis in idem, ai sensi dell’art. 4, par. 1, del Protocollo n. 7) anche per l’emanazione di provvedimenti sfavorevoli che, pur senza essere qualificabili come sanzioni amministrative secondo i canoni tradizionali, incidono negativamente sulla sfera del destinatario. Mentre tali garanzie si considerano limitate, nell’ordinamento interno, al solo ambito di applicazione della legge n. 689 del 1981. L’aspetto particolarmente rilevante, ai nostri fini, è che il concetto di sanzione penale rilevante ai fini CEDU non comporta alcuna incompatibilità funzionale tra l’infliggere una punizione a fini retributivi e di deterrenza e la cura dell’interesse pubblico. All’interno della sanzione ben possono coesistere finalità afflittive-dissuasive e (contemporaneamente) di ripristino della lesione subita dall’interesse pubblico.

Anche la Corte Costituzione ha irrigidito il proprio controllo sul rispetto del principio di legalità in ordine a misure amministrative sfavorevoli a carattere non pecuniario.

Dall’art. 25 Cost., data l’ampiezza della sua formulazione, è stato desunto il principio secondo cui «tutte le misure di carattere punitivo-afflittivo devono essere soggette alla medesima disciplina della sanzione penale in senso stretto» (sentenza n. 196 del 2010; in senso analogo anche le sentenze n. 276 del 2016 e n. 104 del 2014).

Per quanto tali affermazioni sono state formulate con riferimento a uno dei corollari del principio di legalità, quello dell’irretroattività delle norme incriminatrici, tuttavia, esse sono parimente da riferire ad altro corollario di detto principio: il principio di tassatività e determinatezza delle norme sanzionatorie (sentenza n. 121 del 2018).

Alla luce dell’ampia digressione svolta, deve ritenersi che l’ordine di demolizione costituisce una sanzione «penale» ai sensi dell’art. 7 della CEDU, in ragione della sua dimensione intrinsecamente «afflittiva», di talché, nel rispetto del canone di prevedibilità e accessibilità della condotta sanzionabile, può venire disposta soltanto «nei casi e per i tempi in esse considerati» (dell’art. 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689).

Ebbene, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del testo unico dell’edilizia, la rimozione o la demolizione può essere indirizzata esclusivamente «al proprietario e al responsabile dell’abuso» e non nei confronti del mero detentore, ancorché qualificato. Poiché, nel caso in esame, l’appellante non figura tra i legittimati passivi prefigurati dalla norma, l’ordine di demolizione è dunque illegittimo.

Tale lettura, oltre che costituzionalmente orientata, è quella più corretta sul versante sistematico atteso che soltanto quando l’ordine di demolizione è rivolto al proprietario trova giustificazione il meccanismo compulsorio della gratuita acquisizione al patrimonio indisponibile del comune dell’area sulla quale insiste la costruzione abusiva.

Si tratta di una decisione fondamentale che capovolge l’orientamento attualmente prevalente in giurisprudenza secondo cui l’ordine di demolizione deve essere rivolto, oltre che al proprietario non responsabile dell’abuso, anche nei confronti di chi utilizzi o abbia la disponibilità dell’opera abusiva quale soggetto in grado di porre fine alla situazione antigiuridica indipendentemente dal coinvolgimento o meno nella realizzazione dell’abuso, in considerazione del carattere ripristinatorio della disposta demolizione.


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Avv. Giacomo Romano

Ideatore e Coordinatore at Salvis Juribus
Nato a Napoli nel 1989, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nell’ottobre 2012 con pieni voti e lode, presso l'Università degli Studi di Napoli Federico II, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Le c.d. clausole esorbitanti nell’esecuzione dell’appalto di opere pubbliche", relatore Prof. Fiorenzo Liguori. Nel luglio 2014 ha conseguito il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. Subito dopo, ha collaborato per un anno con l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli occupandosi, prevalentemente, del contenzioso amministrativo. Nell’anno successivo, ha collaborato con uno studio legale napoletano operante nel settore amministrativo. Successivamente, si è occupato del contenzioso bancario e amministrativo presso studi legali con sede in Napoli e Verona. La passione per l’editoria gli ha permesso di intrattenere una collaborazione professionale con una nota casa editrice italiana. È autore di innumerevoli pubblicazioni sulla rivista “Gazzetta Forense” con la quale collabora assiduamente da giugno 2013. Ad oggi, intrattiene collaborazioni professionali con svariate riviste di settore e studi professionali. È titolare di “Salvis Juribus Law Firm”, studio legale presso cui, insieme ai suoi collaboratori, svolge quotidianamente l’attività professionale avendo modo di occuparsi, in particolare, di problematiche giuridiche relative ai Concorsi Pubblici, Esami di Stato, Esami d’Abilitazione, Urbanistica ed Edilizia, Contratti Pubblici ed Appalti.

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