Abuso edilizio. La responsabilità penale del direttore dei lavori, del costruttore, del progettista e del proprietario committente

Abuso edilizio. La responsabilità penale del direttore dei lavori, del costruttore, del progettista e del proprietario committente

Il reato di abuso edilizio consiste nella realizzazione di un intervento urbanistico senza i dovuti titoli abilitativi, ove richiesti dalla legge.

Trattasi di un illecito permanente, ovvero l’illecito dura per tutta la durata dei lavori. Il termine prescrittivo dei quattro anni, infatti, inizia a decorrere al  solo completamento dei lavori.

L’abuso edilizio è un illecito che può rilevare sia sotto il profilo amministrativo, sia sotto il profilo penale, comportando in capo alle varie figure coinvolte nella sua realizzazione la conseguente responsabilità.

Nel caso di difformità tra stato di fatto e di progetto di un immobile, la responsabilità per le violazioni della normativa urbanistica, coinvolge il titolare del permesso a costruire, il committente, il costruttore, il direttore dei lavori e il progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività (art. 19 della L. 7 agosto 1990, n. 241,  semplificazione dell’azione amministrativa. Il privato attraverso la S.c.i.a. attesta il possesso dei requisiti indispensabili per l’avvio dell’attività, come prescritti per legge, pertanto è autorizzato a svolgere immediatamente l’attività, senza attendere un provvedimento da parte della pubblica amministrazione). Tutti e quattro questi soggetti, allorquando venga accertata la realizzazione di un abuso edilizio, sono chiamati a rispondere penalmente e, quindi, a pagare le relative sanzioni, nonché a sostenere in solido le spese per la demolizione dell’abuso.

In passato i reati edilizi erano considerati in dottrina e giurisprudenza reati propri, questa conclusione traeva spunto dalle previsioni sanzionatorie dell’art. 44 del T.U. n. 380/2001, in stretta connessione con la disposizione dell’art. 29 dello stesso T.U., che individua nel titolare del permesso a costruire, nel committente, nel costruttore e nel direttore dei lavori i soggetti responsabili della conformità delle opere alla normativa urbanistica, alle previsioni di piano, al permesso di costruire ed alle modalità esecutive da esso stabilite. Solo tali soggetti, individuati per il possesso di particolari qualità, potrebbero rispondere penalmente dell’esecuzione di un’ opera non conforme alla disciplina urbanistico-edilizia, salvo l’eventuale concorso di altre persone secondo i principi che regolano la partecipazione dell’extraneus al reato proprio commesso da chi riveste la qualifica richiesta dalla norma incriminatrice. Gli argomenti principali, posti a sostegno di tale tesi, si incentrano sul presupposto che l’oggetto giuridico tutelato dai reati edilizi sarebbe da individuarsi nell’interesse formale della pubblica amministrazione al controllo delle attività, che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio. I reati medesimi, dunque, integrerebbero fattispecie incriminatrici di comportamenti inosservanti di obblighi amministrativi e, poiché, i soggetti costituiti dal legislatore “garanti” del rispetto delle modalità di esercizio dell’attività edilizia sarebbero quelli indicati nell’art. 29 del T.U. dell’edilizia, solamente questi potrebbero essere considerati soggetti attivi delle contravvenzioni previste dall’art. 44, lett. a) e b), dello stesso T.U. Il legislatore sarebbe così pervenuto alla delimitazione di specifici soggetti dotati dei poteri necessari ad assicurare detta tutela effettiva.

Questa teoria viene confutata dalle recenti pronunce della Corte di Cassazione penale, che ritiene i reati edilizi  reati comuni, in quanto possono essere commessi da qualsiasi soggetto, salve alcune eccezioni. Ciò è desumibile tanto dal dato letterale dell’art. 29 T.U. dell’edilizia, che limita comunque l’ambito della responsabilità dei soggetti elencati al capo I del titolo IV, dove non è prevista la disciplina penale, che è collocata, invece, nel capo II; quanto dall’oggetto da esse tutelato, che non va individuato esclusivamente nell’interesse strumentale della P.A. al controllo delle attività che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, bensì e principalmente nella salvaguardia degli usi pubblici e sociali del territorio medesimo, e tale bene giuridico può essere indifferentemente offeso da chiunque compia attività siffatte.

Quanto appena detto, presenta eccezione per i fatti compiuti dal direttore dei lavori, che è il professionista abilitato che sovraintende alle opere, assumendo la responsabilità tecnica della loro esecuzione, pertanto in capo allo stesso si profilano reati la cui natura è qualificabile come “propri”.

Il professionista può essere incaricato sia dall’appaltatore sia dal committente, in entrambi i casi il rapporto di direzione dei lavori si ritiene assunto dopo la relativa comunicazione al Comune dove ha sede l’immobile. La comunicazione ha rilevanza pubblicistica e comporta che il professionista incaricato non potrà esimersi dalle responsabilità penali proprie della qualifica, che ha consapevolmente assunto, adducendo il carattere meramente fittizio della sua prestazione, finalizzata alla formale ottemperanza dei principi normativi regolamentari.

La posizione di garanzia assunta dal direttore dei lavori circa la regolare esecuzione dei lavori, una volta intervenuta la comunicazione, comporta la sua responsabilità penale per attività edificatoria difforme alle prescrizioni del permesso a costruire, anche nel caso in cui il professionista non abbia legittimazione professionale a dirigere i lavori in corso di esecuzione. In tal caso, spetterà all’amministrazione segnalare le violazioni in cui è incorso il direttore dei lavori al Consiglio dell’Ordine professionale al quale questi appartiene. Invece, il direttore dei lavori è esente da responsabilità, come previsto dall’art. 29, 2° comma, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, qualora abbia: contestato al titolare del permesso, al committente ed al costruttore la violazione delle prescrizioni del permesso a costruire, con esclusione delle varianti in corso d’opera; fornito al dirigente o al responsabile del competente ufficio comunale contemporanea e motivata comunicazione della violazione; e, nelle ipotesi di totale difformità o di variazione essenziale rispetto al permesso a costruire abbia altresì rinunziato all’ incarico.

La giurisprudenza di legittimità è ferma nel ritenere che il direttore dei lavori non risponde degli illeciti edilizi solo se presenta denuncia di detti illeciti ai competenti uffici dell’Amministrazione comunale e se rinuncia all’ incarico, osservando per entrambi gli adempimenti l’obbligo della forma scritta. Quanto ai profili penalistici, dunque, il recesso tempestivo della direzione dei lavori deve ritenersi pienamente scriminante per il professionista. A conferma di ciò, secondo l’art. 56, 3° comma, cod. pen.,  la desistenza del concorrente importa la sua non punibilità ove l’evento sia realizzato da chi autonomamente prosegue l’azione criminosa. Perciò, se il recesso è tempestivo e, quindi, operante come scriminante, il risultato perseguito da altri prescinde dal suo concorso causale del direttore dei lavori.

Il requisito della tempestività deve ritenersi soddisfatto allorquando il recesso del professionista intervenga non appena l’illecito edilizio obiettivamente si profili, ovvero non appena abbia avuto conoscenza che le direttive da lui impartite siano state violate. Di conseguenza, l’acquisizione di tale presupposto, lascia presumere che il professionista abbia adempiuto agli obblighi di vigilanza sull’ esecuzione delle opere edilizie in maniera continua, propri della responsabilità tecnica da lui assunta. Infine, a norma dell’art. 6 L. 47/85 il direttore dei lavori non è tenuto al controllo della conformità dell’opera alle prescrizioni urbanistiche, ma in caso di violazioni delle stesse concorre nel caso in cui abbia dato un contributo causalmente efficiente alla realizzazione.

Al contrario, il costruttore che è l’esecutore materiale dei lavori edilizi ha il dovere di controllare preliminarmente che siano state richieste e rilasciate le prescritte autorizzazioni prima dell’inizio dei lavori. Il costruttore risponde del reato di cui all’art. 44 d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, a titolo di dolo nel caso che abbia iniziato le opere nonostante l’accertamento negativo delle autorizzazioni e a titolo di colpa nella diversa ipotesi di omesso accertamento. Inoltre, in giurisprudenza non si fa alcuna differenza tra il costruttore che collabori all’ edificazione delle opere principali, da quello che si limiti a svolgere lavori di completamento dell’immobile, entrambi risponderanno penalmente a titolo doloso quando siano a conoscenza del carattere abusivo dei lavori.

In capo al costruttore, ancora, si configura il reato di omessa denuncia delle opere in conglomerato cementizio armato ex artt. 65 e 72, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, difatti, essendo imposto dalla legge in via esclusiva a suo carico l’obbligo di denuncia, si profila un tipico reato omissivo proprio.

Altro soggetto responsabile del reato di abuso edilizio è il progettista, che è colui che redige il progetto dell’opera. Il progettista è chiamato a rispondere del reato di abuso edilizio, quando nel redigere il progetto altera dolosamente la realtà dei luoghi, così da conseguire il rilascio di un permesso a costruire non conforme alla normativa vigente, oppure quando nella dichiarazione di asseverazione, che deve essere allegata alla domanda di permesso di costruire ex art. 20, 1° comma del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, attesti falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti ivi previsti. Inoltre, nello stesso art. 20 al 13° comma, si prevede una fattispecie delittuosa per chi nelle dichiarazioni, attestazioni o asseverazioni dichiara o attesta falsamente l’esistenza dei requisiti o dei presupposti, quali la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti, e alle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, alle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico sanitarie nel caso in cui la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali, alle norme relative all’ efficienza energetica. In tali casi, il soggetto è punito con la reclusione da uno a tre anni e il responsabile del procedimento è tenuto ad informare il competente ordine professionale per l’irrogazione di sanzioni disciplinari. La stessa previsione si ha nelle ipotesi di interventi assoggettati a s.c.i.a., difatti l’art. 19, 6° comma, della l. n. 241/90, come modificato dal D.L. n. 78/2010, prevede che chiunque nelle dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni che accompagni la segnalazione di inizio attività dichiari o attesti il falso è punito con la reclusione da uno a tre anni. Uguale sorte si ha per il progettista che emetta una falsa attestazione dei fatti nella relazione di accompagnamento alla D.I.A. edilizia. Difatti, all’art. 29, 3° comma, del T.U. n. 380 del 2001 il legislatore prevede che per le opere realizzate dietro presentazione di denuncia di inizio attività, il progettista assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi dell’artt. 359 e 481 cod. pen. . Oltre a ciò l’art. 29, 3° comma, richiama espressamente l’art. 23, il  quale prevede che la D.I.A. deve essere accompagnata da una relazione del progettista che “asseveri” la conformità delle opere agli strumenti urbanistici approvati e la mancanza di contrasto con quelli adottati e con i regolamenti edilizi. Tale relazione, si sostituisce ai controlli dell’ente territoriale, pertanto, l’ordinamento demanda un sostanziale affidamento certificativo allo stesso, che deve offrire garanzia di legalità e correttezza. Infine, il progettista rilascia al termine dei lavori un certificato di collaudo circa la conformità di quanto realizzato al progetto iniziale. In caso di false attestazioni o di mancata conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici approvati si profila in capo al progettista una responsabilità penale, nella prima   ipotesi il progettista consapevole dell’abusività dell’intervento è responsabile del reato di lottizzazione abusiva e il funzionario comunale ha l’obbligo di inoltrare segnalazione informativa all’autorità giudiziaria, nella seconda ipotesi si avrà responsabilità per mancato adempimento dell’obbligo di vigilanza nel corso dell’esecuzione dei lavori.

In aggiunta alle figure professionali fin qui esaminate, l’art. 29 d.P.R. n. 380 del 2001 individua quale responsabile della conformità delle opere alla normativa urbanistica e alle previsioni di piano il committente. La disposizione normativa volontariamente parla di “committente” e non di “proprietario committente”, in quanto non sempre colui che risulta essere proprietario o titolare di  altro diritto reale è anche committente dell’opera abusiva, pertanto l’esclusione comporta l’assenza in capo al titolare del diritto di proprietà di una posizione di garanzia. Tale ultimo assunto comporta che il proprietario non può essere per ciò solo ritenuto responsabile dell’abuso commesso sul proprio immobile, nemmeno facendo ricorso al meccanismo dell’imputazione causale di cui all’art. 40, 2° comma, cod. pen., come responsabilità omissiva per colpa in vigilando, ma sarà responsabile solo nel caso in cui vi siano indizi tali da comprovare la sua partecipazione anche morale nel reato, ciò in ossequio al principio cardine di personalità della responsabilità penale ai sensi dell’art. 27 Cost. . La responsabilità penale del proprietario per la realizzazione di costruzione abusiva, dunque, deve essere ricostruita sulla base di indizi e presunzioni gravi, precise e concordanti, desumibili dall’interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione, i rapporti di parentela o affinità nell’ipotesi in cui i lavori siano stati effettuati da terzi e il proprietario, la sua eventuale presenza in loco, lo svolgimento di attività di vigilanza dell’esecuzione dei lavori. La piena consapevolezza del proprietario in ordine all’esecuzione delle opere non è un fatto che si desume dalla sola qualifica formale, come l’essere destinatario dei provvedimenti amministrativi, sanzionatori, demolitori, ripristinatori. Dunque, il committente è solo la parte che concede in appalto i lavori e può anche essere diverso dal proprietario. Quest’ultimo è sicuramente responsabile per il reato di cui all’art. 44 lett. C) d.P.R. n. 380/2001. Difatti, i reati edilizi sono reati contravvenzionali di cui si risponde quanto meno a titolo di colpa, anche se in dottrina sono emerse teorie per cui dette contravvenzioni sarebbero punibili anche qualora non si ravvisi dolo o colpa, essendo sufficiente la coscienza e volontà della condotta criminosa. Per la sussistenza dell’elemento soggettivo dei reati in esame, quindi, è sufficiente che il comportamento illecito sia derivato da imperizia, imprudenza o negligenza. Irrilevante, invece, risulta essere la circostanza che l’agente non si sia proposto uno scopo speculativo o quello di turbare l’assetto edilizio-urbanistico.


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Avv. Ethel De Bonis

Nata a Cosenza nel 1984, ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza nell' a.a. 2008/09 presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, discutendo una tesi in Diritto Industriale dal titolo: "Lo sfruttamento commerciale della notorietà civile di nomi e segni". Consegue il Diploma di Specialista per le Professioni Legali, indirizzo Giudiziario- Forense, nel 2012 presso L'Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro. Ha acquisito l’abilitazione all’esercizio della professione forense nel 2013, è iscritta all’Albo degli Avvocati di Cosenza dal 2014. Prima dell’abilitazione, ha svolto la pratica forense presso gli Uffici Giudiziari del Tribunale di Cosenza.

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