Al confine tra partecipazione e disintermediazione: il paradosso della democrazia contemporanea

Al confine tra partecipazione e disintermediazione: il paradosso della democrazia contemporanea

Ieri, come oggi, si è posto il problema della deviazione dei poteri di intervento dei cittadini dalla tradizionale sfera delle funzioni pubbliche, ossia il problema della fuoriuscita delle istanze partecipative dagli schemi legali classicamente delineati.

Non a caso, il dibattito contemporaneo ha recentemente registrato il riaffiorarsi del tradizionale tema della partecipazione attiva dei cittadini alla vita delle istituzioni: summa potestas versus quisque de populo, in un intreccio dove il secondo vibra la propria voce contro la prima, costantemente giudicata in negativo in quanto bersaglio di protesta e di insoddisfazione.

Se è vero, come scriveva Natalino Irti, che la forza che produce le idee e le trasforma in fatti, ovvero “le costruisce o le distrugge” risiede soltanto nel volere degli uomini,1 l’essenza del concetto di partecipazione risiede nello stimolare forme di convergenza idonee ad incanalare la voluntas dei cittadini e la voluntas dei poteri pubblici insieme, rafforzandole sinergicamente per la ricerca di modelli osmotici.

Nell’attuale evo, in sintonia con le evoluzioni che quotidianamente dilagano e si rincorrono, si riaffaccia sulla scena istituzionale l’anima rousseauniana che oscilla tra richieste di partecipazione consapevole da un lato e istanze di disintermediazione dall’altro. Queste ultime, appare opportuno sottolineare, si delineano prorompenti, senza filtri né canoni delineati e, soprattutto, senza la domanda di alcuna apparente intermediazione politico-rappresentativa. Si tratta di domande che per far breccia nel tessuto sociale, si servono delle forme di comunicazione tipiche dell’esperienza attualmente in itinere, a partire dai social media, ormai motore trainante e pressoché “indispensabile” della presente società.

Siffatto processo di partecipazione-disintermediazione, non a caso, viene recuperato e fortificato per il tramite delle comunicazioni istituzionali tramite il web che contribuiscono a generare un enorme flusso di dati capaci di migliorare strategicamente i rapporti tra Pubblica Amministrazione e cittadino, in tal modo creando quella “rete globale” che è stata plasticamente ribattezzata come “società in rete” e che crea una “ragnatela globale di interazioni,”2 favorendo e rinsaldando l’innervarsi di nuove forme di partecipazione alla funzione pubblica.

La “rivoluzione” del pensiero attuale consiste, dunque, nel capovolgere la concezione classica del “paradigma bipolare,”3 incentrata sulla separata contrapposizione tra parte pubblica e parte privata. A questo paradigma tradizionale se ne va ad affiancare un altro, ossia quello sussidiario, al contrario incardinato su una rivalutata lettura aperta dei principi costituzionali. Amministrazione e cittadino non sono più considerati come due “blocchi separati”, bensì come soggetti che possono fondere insieme le rispettive energie, intersecandosi in punti di contatto per la realizzazione di un obiettivo comune, ovvero l’interesse generale, secondo quanto previsto dall’ultimo comma dell’art. 118 Cost. e lungo la direttrice tratteggiata dalle legge n. 241 del 1990, così come riformata dalle novelle legislative che fino ad oggi hanno innovato l’originario Corpus Iuris Publici,4 ponendo l’accento sul ruolo centrale assunto dal privato nel procedimento, all’interno di uno Stato portatore e attuatore di logiche democratiche.

Si potrebbe dire, con altre parole, che in uno Stato ispirato a principi democratici, ossia in uno Stato in cui dovrebbe trovare riconoscimento la garanzia della demarchia,5 si assiste ad una vera e propria inversione della visione classica dei rapporti basati sull’antitesi concettuale maior pars e privato: dal paradigma verticale a quello solidaristico. Dalla separazione alla collaborazione. Dalla reciproca diffidenza alla leale collaborazione.

Si privilegia un’interpretazione aperta ai valori costituzionali quale corollario della sussidiarietà, affinché il cittadino possa esercitare il suo diritto di partecipazione “continuata e consapevole” in ogni segmento del’iter procedimentale e non soltanto nella fase istruttoria, in aderenza alle regole introdotte dal legislatore del 1990 con la legge n. 241 e soprattutto in forza delle novelle che sono state incluse nell’originario testo normativo per esigenze di semplificazione e di rafforzamento delle garanzie.6

Ed è proprio nell’accettazione condivisa dei principi costituzionali che si radica una forma di legittimazione basata sul consenso e sulla validità delle istituzioni, in cui si assiste attualmente al farsi spazio di domande di azione dirette e mirate dei cittadini all’esercizio delle funzioni che abitualmente costituiscono appannaggio monopolistico del potere pubblico.

Dalla partecipazione si trascende alla disintermediazione, sol che si consideri che siffatte istanze si traducono nel rivendicare, con sempre maggiore frequenza, un’abdicazione della potestà decisionale in capo all’autorità, con il correlativo rischio di un isolamento del singolo di fronte allo Stato. Sebbene l’obiettivo sia quello di rendere i cittadini protagonisti di un rapporto paritario, reticolare, orizzontale, condiviso o, se si preferisce, partecipato, con il sistema pubblico, non sembra trascurabile la considerazione secondo cui “fuori da qui, nella società e nelle istituzioni” stanno comparendo prepotenti sentimenti contrari ad una partecipazione tout court consapevole dei cittadini alla cosa pubblica. Nel senso che “i partiti, d’altro canto, sono sempre più apparati elettorali e sempre meno luoghi di formazione di classe dirigente e di progetti collettivi, con leaderships fortemente personalizzate. Aumenta ogni giorno il distacco se non addirittura il disprezzo verso le istituzioni, quasi tutte accomunate dai cittadini in un giudizio negativo, tutte corrotte, tutte inefficienti.”7 In tal senso, l’azione del cittadino condiziona la condotta dei poteri pubblici, stimolando l’avvio di una riflessione avente ad oggetto il parallelo versante dell’attività di governo a tutti i livelli dell’organizzazione pubblica.

Trascendendo al parallelo piano della partecipazione procedimentale, si discorre della volontà di gettare le basi per costruire il nuovo modello di “amministrazione condivisa”,8 per rimarcare che tra Amministrazione e cittadini dovrebbe esistere un rapporto di assoluta collaborazione nella gestione della cosa pubblica.

Tale rapporto non potrebbe esistere senza la fiducia delle e tra le parti, in un contesto in cui il cittadino non è più relegato in spazi angusti e limitati, vittima passiva di scelte unilaterali dell’autorità agente, ma si erge a protagonista di ogni fase del procedimento, secondo un modello ampio, aperto e tollerante.

Questo nuovo paradigma dei rapporti tra amministratore e amministrato richiede fiducia e riconoscimento, ma l’ambizione ad una totale inclusione della popolazione viene occasionalmente disattesa. Al contempo, ciò rischia di trascurare l’essenziale dimensione costituita dai valori e dai diritti dell’uomo, dimensione a cui ogni azione deve ispirarsi, giacché irrinunciabile.

Cartesio avrebbe detto “Cogito ergo sum”, letteralmente “Penso dunque sono”. La sola azione consistente nel pensare, il solo atto del mettere in discussione la propria esistenza, il solo gesto del dubitare del pensare medesimo, conferirebbe all’uomo l’indubitabile certezza di esistere.

Orbene, penso perché esisto, e, per poter sussistere il pensiero stesso, è necessaria l’esistenza di un soggetto pensante.9

Trasposto sul piano dei rapporti procedimentali, si potrebbe dire “Partecipo quindi sono.”10 Provando ad invertire la formula: “Sono quindi partecipo,” o se si preferisce “Esistere dunque partecipare.” Un cambio di direzione puramente formale, poiché la sostanza semplicemente non cambia.

La preesistenza dei diritti fondamentali, affermati e garantiti a livello costituzionale e ancor prima della legale ricostruzione cronistica del procedimento, implicitamente costituisce una base insopprimibile per il riconoscimento del diritto di partecipare.

Riconoscere il diritto di esistenza e perciò di partecipazione, significa riequilibrare il rapporto tra pubblico e privato e improntarlo a criteri di pari dignità, in una società aperta, inclusiva, solidaristica e condivisa.11 Si recupera e si rispetta, in tal senso, il diritto di esistenza e perciò di partecipazione alla funzione pubblica.

Essere o esser-ci, per dirlo con l’enigmatico pensiero sviluppato intorno al Dasein di Heiddeger, perché “quell’ente che noi che cerchiamo, già siamo.” Non a caso, nell’enigmatico caposaldo heiddegeriano, le contingenti vicissitudini che pongono l’individuo nel baratro della disorientata incertezza, devono trascendere da un piano di angoscia ad un piano di ragionevole lucidità per recuperare la contezza dell’esserci come individuo, come soggetto attivamente presente e come parte fondamentale “nel” mondo, recuperando una dimensione del diritto di esistenza intesa come possibilità di attuare, realizzare e, dunque, di scegliere.12

Se è vero, come ha scritto Gustave Thibon che “non vi sono diritti senza doveri”,13 è vero anche che nella democrazia partecipativa, gli interessi dei cittadini traslano “da una condizione di indifferenza giuridica ad una valutazione positiva da parte dell’ordinamento.”14

“La società più armoniosa è quella in cui l’esercizio dei diritti e l’adempimento dei doveri si fondono nel più rigoroso equilibrio,”15 con l’ulteriore precisazione per cui non solo il privato è titolare di diritti e destinatario di doveri, ma anche la stessa amministrazione pubblica, la quale è deputata a curare gli interessi dei cittadini medesimi, in un costante bilanciamento in cui non figurano più solo i meri doveri dei cittadini, di fronte al potere autoritativo e a senso unico, bensì doveri e quel che più è importante sottolineare, soprattutto diritti, in un circolo in cui appaiono addirittura reinventarsi i tradizionali rapporti tra sfera pubblica e privata.

Più nello specifico, l’amministrazione non ha più “la forza di contenere e somministrare scelte unilaterali senza un assenso.” Anzi, è lo stesso cittadino ad offrire il proprio contributo all’autorità, in forza del dettato costituzionale e nella preminente direzione della ricerca di soluzioni condivise e partecipate.16 Così si sviluppa la deriva evolutiva dei rapporti tra potere autoritativo e ragioni della parte privata, partendo dal binomio comando-obbedienza e dirigendosi verso una dimensione orizzontale, che privilegia il convergere degli interessi degli individui liberamente associati al fine di assicurare decisioni libere e razionali.17

D’altronde lo stesso Karl Popper, nel XX secolo, contrapponendo la “società aperta” alla “società chiusa,” ha individuato nell’atteggiamento critico e libero dei cittadini la possibilità di partecipazione effettiva alle decisioni, in antitesi al modello totalitario che impone agli individui rigide norme senza lasciar loro margini di valutazione e di apprezzamento, criticando quel modello di superstizione introdotto da Platone e Aristotele e poi sviluppato da Hegel e K. Marx.18

La garanzia oggi riconosciuta all’amministrato di partecipare e perciò di far valere la “propria voce”19 prima che il procedimento sia concluso e la decisione assunta, costituisce l’obiettivo principale, in armonia con i valori costituzionali, comunitari e internazionali.

Del resto ogni ordinamento, per essere valido ed effettivo, presuppone l’esistenza di regole fondamentali che ne costituiscono le fondamenta: nella species Costituzione, fonti comunitarie e regole internazionali.

De iure condendo non appare possibile trascurare quest’endemico mutamento di rotta, di cui lo stesso legislatore pare aver preso coscienza riconoscendo esplicitamente i diritti di intervento e di partecipazione.20

L’art. 7 della legge 241/1990 , in materia di comunicazione di avvio del procedimento, individua i soggetti a cui deve essere comunicato l’avvio del procedimento; mentre l’art. 9 della stessa legge , riconosce invece ai soggetti, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, la “facoltà di intervenire nel procedimento” medesimo.

Quel che merita di essere posto in evidenza, è che l’effettività di siffatti principi, non può trovare realizzazione senza un riscontro concreto che presuppone una costante dialettica tra soggetti pubblici e privati, o, detto con altri termini, una cooperazione tenace, coerente e costante tra tutti i soggetti coinvolti.

Un interrogativo resta però irrisolto. Contano più le esigenze del cittadino che partecipa alla vita delle istituzioni o le istituzioni stesse?

Si tratta di una nuova sfida, resa evidente dai diversi segnali che quotidianamente mostrano come il desiderio principale del cittadino, nella dialettica istituzionale, sia quello di partecipare e pertanto di far valere la propria voce per avere un ruolo attivo nei processi decisionali.21

Da qui l’esigenza di dotare il cittadino di strumenti adeguati per partecipare alla vita pubblica, in modo incisivo ed efficiente, con regole semplici e chiaramente delineate, con ciò al contempo onerandolo dal peso di un’asfissiante normativa creatrice di intricate selve oscure che favoriscono il delinearsi di condotte poco limpide e generatrici del connesso dilemma della corruzione.

Non a caso l’ingente numero di leggi che creano un intricato labirinto per i cittadini e per gli esperti del settore, è uno dei problemi più preoccupanti, ma non ancora risolti. Anzi, tale fenomeno continua con il passare del tempo ad assumere aspetti sempre più cronici, nonostante l’avvertimento dato da Tacito 22 già nel remoto periodo repubblicano: “Corruptissima re publica plurimae leges”.

Basti pensare che attualmente, in Italia, convivono circa duecentomila fonti che, poste in rapporto con quelle di altri ordinamenti giuridici, mostrano un’evidente sproporzione che rischia di minare la stessa possibilità di partecipazione cosciente alla funzione pubblica.

L’inefficacia dei poteri pubblici, che si riflette sul procedimento amministrativo, potrà allora essere sanata valorizzando il contributo partecipativo dei privati, seppur valutando i rischi dello sconfinamento verso la disintermediazione.

Su queste chiavi di lettura, può concludersi che ai cittadini deve essere garantito ex lege il diritto di incidere nella vita pubblica, non richiedendosi un’abdicazione della potestà decisionale da parte dell’autorità e dunque un isolamento del singolo di fronte allo Stato, bensì stimolando sinergiche forme di collaborazione da attuare con strumenti semplici e con regole chiare, affinché venga finalmente raggiunta quella parificazione tra area pubblica e area privata, non incompatibili, ma indivisibili e regolabili solo uniformemente, che rappresenta una delle sfide mai tramontate di ieri ed oggi. Sminuire questo concetto, usando pesi e misure diverse per il cittadino e per lo Stato, corre il rischio di minare il valore stesso dell’idea di Repubblica e il concetto di democrazia su cui essa si fonda e si erge. Due binari paralleli, ma non isolati, destinati ad incontrarsi lungo un compenetrante percorso e a rinsaldarsi nelle pertinenti disposizioni ordinamentali che impongono una leale cooperazione tra le parti, il tutto in perfetta sintonia con i valori comunitari, a partire dal fondamentale “diritto ad una buona amministrazione” codificato all’interno della Carta di Nizza. Spetterà, quindi, non solo alla classe politica, ma anche alla scienza giuridica riconsiderare in termini generali le possibilità partecipative, senza perdere il contatto con le basi remote, bensì muovendo da quella direttrice classicamente delineata dalla dottrina 23 già diversi decenni fa, allorquando consapevolmente ha posto l’accento sull’esigenza di riconoscere all’utente non soltanto un ruolo passivo di difesa dai poteri, quanto piuttosto un ruolo attivo nella partecipazione alla cosa pubblica e all’adozione dell’atto destinato ad incidere sui suoi interessi, riverberando contemporaneamente effetti nella correlativa sfera giuridica.

Vi è perciò da ritenere che la sfida fondamentale, nell’odierna civitas, sia quella di stimolare la comprensione di un assioma le cui radici, sebbene lontane, non smettono di trovare un quanto mai fertile humus nello scenario più recente e attuale della nostra democrazia, affinché il concetto naturale di partecipazione venga epurato dal paradosso della democrazia, specie quella contemporanea “incompiuta, fragile, vulnerabile.”24


1 Si rimanda a N. IRTI, Nichilismo giuridico, Lecce, La Terza, 2014, p. 7
2 In tal senso M. CASTELLS, La nascita della società in rete, Milano, Bocconi Editore, 2014
3 L’acuta espressione “paradigma bipolare” è stata utilizzata per la prima volta da S. CASSESE, in L’Arena Pubblica, Nuovi Paradigmi per lo Stato, in Riv.trim.dir.pubb, 2001, p. 602
4 In modo esaustivo G. ARENA, Un nuovo modo di amministrare, in Rivista Italiana di Comunicazione pubblica, 2004, p. 2 e ss.
5 L’espressione è di F. BENVENUTI: “È questo il grande principio, dunque di una vera demo-crazia, o se si voglia coniare una nuova espressione di demarchia, in contraddizione con monarchia, dove quest’ultimo termine non rappresenta più una struttura come quella dello Stato assoluto, dominato dall’esterno (se si voglia dal Re, tale per grazia di Dio) o dominato dall’interno da un dittatore (autoproclamatosi Führer o Duce o Caudillo), ma rappresenta una struttura in cui lo Stato oggi è il mono-detentore di tutte le funzioni pubbliche, a loro volta mono-detenute da un apparato partitico fondato su apparenti o superficiali distinzioni, ma su una identica volontà di dominio,” Il nuovo cittadino, in Scritti Giuridici, Volume I, Milano, 2006, p. 884
6 G. M. ESPOSITO, Il diritto all’iniziativa procedimentale, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2012, p. 151 e ss.
7 L’analisi è stata condotta da G. ARENA, Tre regole per le nuove forme della democrazia, nel corso di un Convegno tenutosi a Perugia l’11 e il 12 aprile del 2010
8 G. ARENA, Introduzione all’amministrazione condivisa, in Studi parlamentari e di politica costituzionale, Roma, 1997, p. 33
9 Cartesio, Principia philosophiae 1, 7 e 10, 1644.
10 L’espressione plastica è di L. PANICO, Partecipo quindi sono, Brescia, 2016. Lo scritto dell’A. citato, offre un interessante contributo, in tema di partecipazione in generale e di bilancio partecipativo in particolare, “ripartendo dal basso per rifondare un’idea totalmente nuova della società che vogliamo” e per ridare voce alle coscienze dei cittadini e al loro diritto di partecipare.
11 Ivi, G. ARENA, Introduzione all’amministrazione condivisa, p. 33, op. cit.
12 Imprescindibile il riferimento a Martin Heiddeger, Essere e tempo, ed. Mondadori, 2017
13 GUSTAVE THIBON, in Studi Cattolici, n. 230-231, aprile-maggio 1980, pp. 273-274. “Sono due cose inseparabili, giacché non vi sono diritti senza il corrispettivo di doveri,” scrive l’A. dando priorità ai doveri, perché è solo “Se ognuno adempisse a tutti i suoi doveri verso il prossimo, sarebbero garantiti tutti i diritti senza dover essere proclamati e rivendicati.”
14 In tal senso, M. C. ROMANO, Interessi diffusi e intervento nel procedimento amministrativo, in Foro amm. CDS, fasc.6, 2012, p. 1691
15 GUSTAVE THIBON, in Studi Cattolici, op. cit.
16 G.M. ESPOSITO, Il diritto all’iniziativa procedimentale, op. cit., p. 155 e ss.
17 R. LEONARDI, La comunicazione di avvio del procedimento amministrativo nelle pronunce giurisprudenziali, in Foro Amm., TAR, fasc. 2, 2002, p. 785
18 Per un approfondimento del tema, K. POPPER, The Ope Society and its Enemies, vol. II, trad. it., La società aperta e i suoi nemici, 1945, a cura di D. ANTISERI, 1981
19 Sulla tematica, M. D’ALBERTI, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, Giappichelli Editore, 2017, p. 217
20 Lo specifico riferimento è agli artt. 7 e 9 della legge 241/1990
21 L’analisi è stata condotta da G. ARENA, Tre regole per le nuove forme della democrazia nel corso di un Convegno tenutosi a Perugia l’11 e il 12 aprile del 2010
22 TACITO, Annales, Libro III, 27
23 F. BENVENUTI, Il nuovo cittadino, in Scritti Giuridici, Volume I, op. cit., p. 884 e ss.
24 Si riprendono le parole di S. Cassese. Così nel recente contributo La democrazia e i suoi limiti, Mondadori, 2018

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