Ambiente e Costituzione: tra ritardi e lacune

Ambiente e Costituzione: tra ritardi e lacune

Sommario: 1. La posizione costituzionale dell’ambiente – 2. Tra passato e presente – 3. Profili comparative – 4. Ambiente, ecosistema, solidarietà – 5. Conclusioni

 

1. La posizione costituzionale dell’ambiente

La nozione di “ambiente” è  erroneamente associata alla Costituzione. 

È il fisico Galileo Galilei a tracciare per primo un’astratta e riduttiva definizione, identificando come ambiente “lo spazio circostante l’uomo”[1].

L’insufficienza di tale nozione, dai contorni nebbiosi, preoccupa la giurisprudenza che, in poco tempo, mette a punto due nozioni giuridiche opposte: una riconducibile alla teoria pluralista, l’altra alla teoria monista.

La prima teoria[2] considera l’ambiente  un’espressione convenzionale nella quale far confluire vari e distinti beni giuridici.

La teoria monista, invece, collega la nozione di ambiente a tre fattori: le bellezze paesaggistiche e culturali, la difesa del suolo ed il territorio.

In tale contesto, deve essere collocata anche una storica sentenza della Suprema Corte, la quale riporta una nozione di ambiente più circoscritta[3].

Il termine “ambiente” è polisenso.

Esso, infatti, indica “lo spazio che circonda una cosa o una persona e in cui questa si muove o vive”, “il complesso di condizioni sociali, culturali e morali nel quale una persona si trova e sviluppa la propria personalità”, “l’insieme delle condizioni fisico-chimiche (quali la temperatura, l’illuminazione) e biologiche (presenza di ulteriori organismi) che permette e favorisce la vita degli esseri viventi”[4].

La sussistenza di una pluralità di significati complica il lavoro in corso, il cui obiettivo è quello di pervenire ad una nozione univoca.

“Dov’è la Costituzione?”.

La mancanza di una puntuale nozione di “ambiente” nel testo costituzionale non deve lasciar pensare ad una totale indifferenza della stessa in ordine a tale questione.

L’art. 9 Cost. dispone che “la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico artistico della Nazione”.

Tale previsione, dunque, traccia una distinzione tra ambiente e paesaggio.

Una corrente di pensiero sostiene che per “paesaggio” debba intendersi “la forma del paese, creata dall’azione cosciente e sistematica della comunità umana che si è insediata, in modo intensivo o estensivo, in una città o in una campagna, che agisce sul suolo, che produce segni nella sua cultura”[5].

Lo spostamento dell’attenzione all’epoca della stesura della Costituzione avalla la mancanza di dubbi in ordine alla sussistenza di ulteriori priorità e preoccupazioni, riservate ad uno sviluppo industriale incardinato sullo sfruttamento delle risorse naturali.

Sul piano giuridico, i tempi appaiono maturi per qualificare l’ambiente quale valore “sacro” e “inestimabile”, al pari di ulteriori già scolpiti nella Costituzione (si pensi, alla salute o alla proprietà).

A seguito di impulsi politici, l’Italia ha attuato una serie di iniziative perseguenti come unico obiettivo l’innesto della tutela ambientale nella Legge Fondamentale.

Nel 2001, con la Riforma del Titolo V, l’ambiente conquista maggiore terreno fertile.

Tra le materie di competenza esclusiva dello Stato affiora “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali” (art. 117 comma 2 lett.s), mentre tra le materie di competenza concorrente, “la valorizzazione dei beni culturali e ambientali” e “il governo del territorio” (art.117, comma 3)[6].

Tuttavia, la novella del 2001 non risolve la questione principale: essa, infatti, non concede una definizione chiara ed univoca di ambiente, ma tenta in qualche modo di appianare la questione.

Da tale momento, la Corte costituzionale inizia a identificare l’ambiente alla stregua di un valore “costituzionalmente protetto”[7], mentre la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema viene elevata a “interesse pubblico” e a “bene giuridico unitario[8].

Sebbene l’art. 9 Cost. debba essere considerato il principale parametro di riferimento in materia ambientale, taluni richiami vengono riscontrati anche in altre previsioni costituzionali.

Un ruolo di rilievo spetta all’art. 32 Cost., che introduce il c.d. diritto alla salubrità dell’ambiente, con il fine di evidenziare le  forme di inquinamento provocanti l’insorgenza di patologie.

Secondo la Consulta,  nell’art. 9 Cost. il “valore ambiente” è concepito come primario, in quanto “insuscettibile di essere subordinato a qualsiasi altro”[9].

Occorre sottolineare che l’art. 9 Cost., in raccordo con l’art. 32 Cost., non deve essere soltanto inteso alla stregua di una mera disponibilità di cure sanitarie in presenza di malattia, ma anche associato a fattori ambientali tali da provocare dei danni alla salute fisica e psichica dell’individuo.

Dottrina e giurisprudenza hanno ritenuto opportuno coinvolgere nel contesto della salute pubblica il “diritto alla salubrità dell’ambiente”.

Il binomio salute-ambiente diviene così oggetto di discussione.

La salubrità dell’ambiente costituisce una perfetta condicio sine qua non per la garanzia del benessere psico-fisico del singolo e della collettività.

Una volta “abbattute” le prime barriere, discendenti dalla storica[10] legge 8 luglio 1986, n. 349 (“Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”), la Corte costituzionale ha avvertito l’esigenza di conferire al concetto di ambiente un’importante riconoscimento, nonché quello di “diritto fondamentale della persona ed interesse fondamentale della collettività[11].

Tale momento giuridico presenta particolare rilevanza, in quanto la Corte, per la prima volta, colloca la tutela ambientale nel range dei diritti fondamentali della persona.

Come noto, l’art. 2 Cost. estende la protezione costituzionale anche a diritti non menzionati in forma esplicita.

L’art. 2 Cost. è configurato come una “norma a fattispecie aperta”, con la quale possono trovare collocazione diritti maturati nel tempo (si pensi, ad esempio, all’identità sessuale).

La tutela dell’ambiente deve essere intesa sia dal punto di vista individuale sia da quello sociale.

Sotto tale ultimo profilo, appare opportuno richiamare l’art. 3 Cost., il quale conferisce alla Repubblica il compito di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”.

Da ciò ne discende che “l’impostazione tradizionale che collega il bene alle norme rivolte alla tutela di interessi individuali collide in modo esplicito con la necessaria natura superindividuale dell’ambiente e della tutela delle risorse ambientali”[12].

La tutela dell’ambiente trova riscontro anche nell’art. 44 Cost., che assegna alla legge il compito di porre in essere una serie di attività al fine di “imporre obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissare limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie; promuovere ed imporre la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostruzione delle unità produttive; aiutare la piccola e la media proprietà”, e negli artt. 41 e 42 Cost., i quali pongono dei limiti “all’iniziativa economica privata che non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale  o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e può essere indirizzata e coordinata a fini sociali” ed anche alla proprietà privata di cui deve essere assicurata dalla legge “la funzione sociale”.

A prescindere da tali vedute, appare naturale evidenziare come il fenomeno “ambiente” non possa essere collocato nella categoria dei beni, in quanto esso non si identifica come tale.

L’ambiente, dunque, è un valore.

Tale dato trova conferma con la riforma del Titolo V della Costituzione, la quale, come già riportato, determina l’innesto della “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni” tra le competenze legislative dello Stato, e l’attribuzione alle Regioni, nell’ambito delle competenze concorrenti, della “valorizzazione dei beni ambientali e culturali”.

Prima di tale riforma, la tutela dell’ambiente costituiva oggetto di una leale e pacifica collaborazione istituzionale tra lo Stato e le Regioni.

L’aspetto più interessante consiste nel fatto che, pur essendo stata collocata tra le materie di competenza esclusiva statale, la tutela dell’ambiente viene qualificata dalla Corte come una materia trasversale.

Riprendendo quanto statuito dalla Consulta, il fatto che il legislatore italiano abbia ritenuto opportuno far rientrare “l’ambiente” tra le materie di esclusiva competenza statale, non induce a sopprimere “la preesistente pluralità di titoli di legittimazione per interventi regionali diretti a soddisfare ulteriori esigenze rispetto a quelle di carattere unitario definite dallo Stato”[13].

Tale puntualizzazione però viene meno.

Nel 2007, infatti, la Corte costituzionale introduce una distinzione a seconda della ripartizione tra legislazione statale e regionale, nonchè quella tra intreccio e concorso.

La prima nozione attiene al carattere trasversale della materia ambientale, ricollegandosi così all’orientamento precedentemente in vigore.

Il secondo concetto, invece, rispecchia il mix di competenze riconosciuto dalla Consulta: essa attribuisce allo Stato la tutela dell’ambiente in via esclusiva, mentre conferisce alle Regioni, in concorso con l’apparato statale, la valorizzazione dello stesso.

“Cosa accade ove un’entità prevalga o, viveversa, non adempia le proprie competenze?”.

Si pensi, ad esempio, ad una “svista” dello Stato.

“Di fronte a situazioni simili, le Regioni possono intervenire?”.

Tali diatribe richiamano, a livello costituzionale, un concetto presente in altre discipline giuridiche, come il diritto penale: lo stato di necessità.

“Lungo tale direttrice, la nozione di necessità del diritto pubblico, si allarga in confronto a quella propria di ulteriori rami del sistema giuridico. Imponendo un’alterazione del sistema delle fonti e dell’ordinamento giuridico non può essere disciplinato dal diritto normalmente vigente, non può trarre la propria forma e i propri contenuti da manifestazioni di volontà pertinenti la gerarchia ordinaria degli atti e delle norme[14].

Un ragionamento del genere viene compiuto in ragione del fatto che la tutela ambientale, di per sé, non si configura come una materia, bensì come un valore giurisprudenziale.

Tuttavia, la dottrina ha evidenziato come la Corte costituzionale abbia abusato prepotentemente del ruolo ad essa spettante: solo al legislatore, infatti, compete il potere di incidere sui principi costituzionali.

2. Tra passato e presente

In Italia, il diritto ambientale è contraddistinto da una serie di atti.

A parte il dettato costituzionale, affiorano leggi statali e regionali, decreti-legge e legislativi, decreti ministeriali e interministeriali, regolamenti amministrativi regionali, provinciali e comunali.

In tale sede, il principale scopo è quello di stabilire se il testo costituzionale necessiti o meno di una revisione e se lo stesso prevalga rispetto alla disciplina europea ed internazionale.

Sul versante europeo, particolare attenzione è stata riposta non solo agli aspetti economici, ma anche al profilo ecologico.

Il fine del legislatore comunitario è quello di costruire delle normative solide e compatte, comprensive di strumenti di tutela[15].

Se il panorama europeo, nel corso degli anni, ha dato modo di tenere particolarmente alla tutela dell’ambiente, anche il legislatore italiano non è rimasto indifferente, sebbene il reale problema attenga alla mancanza di una puntuale definzione di “ambiente”[16].

A fini di completezza, appare inevitabile richiamare anche le disposizioni penali, impiegate nei casi in cui le vicende non trovino una riposta nella normativa di riferimento[17].

Tornando alla prospettiva comunitaria, meritano menzione i quattro principi che, in origine, consentirono la pianificazione della materia ambientale: “chi inquina paga”, precauzione, prevenzione e sviluppo sostenibile.

Tali principi sono stati recepiti dal Trattato istitutivo della Comunità Europea sotto la rubrica “Ambiente[18].

Data l’importanza assunta, i suddetti principi meritano di essere delineati partendo dall’ultimo, nonché dallo sviluppo sostenibile, considerato il principio fondatore della politica ambientale.

Secondo la definizione tracciata nel rapporto del 1987, intitolato “Our Common Future”, pubblicato dalla Commissione Bruntland, la Commissione mondiale per l’ambiente e lo sviluppo del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente, lo “sviluppo sostenibile” è in grado di assicurare “il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di realizzare i propri[19].

In relazione al principio “chi inquina paga”, ogni tipo di inquinamento provocato dall’attività dell’uomo determina un’alterazione dell’ambiente, che non potendo assolutamente essere valutata in termini economici in conformità al reale danno ecologico, è quantificata alla stregua della spesa essenziale per il ripristino dello status quo ante ovvero alla perdita di valore che il bene patisce[20].

Il principio di prevenzione, invece, persegue uno scopo preciso: scongiurare, almeno in parte, i danni ambientali derivanti dall’attività compiuta dall’uomo; essa si traduce in una previa valutazione, da parte di Autorità competenti, di progetti aventi ad oggetto le cause[21].

Il principio di precauzione, invece, non trova una definizione puntuale: un cenno si riviene esclusivamente nell’art. 174 comma 2, nella parte in cui si sostiene che “la politica della Comunità in materia ambientale è fondata sui principi (…) della precauzione[22].

Occorre porre in luce le differenze sussistenti tra il principio di prevenzione ed il principio di precauzione: il primo trova accoglimento solo nel caso in cui il rischio di lesioni ambientali sia scientificamente prevedibile; il secondo, ossia il principio di precauzione, prevede l’attuazione di talune misure tali da evitare o alleviare la possibile realizzazione di danni ambientali, non prevedibili.

I quattro principi sono ravvisabili nel T.U. Ambiente.

Con riguardo all’ambito legislativo, il d.lgs. 16 gennaio 2008 n. 4, all’art. 3-bis, recita: “I principi posti dal presente articolo e dagli articoli seguenti costituiscono i principi generali in materia di tutela dell’ambiente”[23].

Il disegno di legge n. 1883/2015 (“Modifica all’art. 9 della Cost. in materia di protezione della natura”)[24] richiede una modifica dell’art. 9 Cost.

In esso, la proponente sottolinea che “quello che manca adesso, anche dopo la ripartizione di competenze operata dal nuovo titolo V della parte seconda della Costituzione, è un riferimento alla tutela dell’ambiente nella nostra Carta costituzionale. Gli aspetti che vanno precisati e che giustificano quindi una modifica costituzionale sono quelli della natura giuridica di questo diritto e del suo oggetto. È chiaro che si tratta di un diritto collettivo appartenente al singolo in quanto tale ma, anche in quanto membro della collettività e quanto all’oggetto, esso è il bene “ambiente”, la cui salvaguardia è indispensabile per la dignità, la libertà e la sicurezza dell’uomo. In sostanza, si tratta di un diritto soggettivo collettivo su una base comune: l’ambiente, appunto. Va ribadito allora, in questa prospettiva, il concetto unitario di ambiente, inteso come un complesso di beni (aria, acqua, suolo, natura, biodiversità ed energie) appartenenti al singolo individuo e all’umanità nel suo complesso. Ciascun individuo ha un diritto soggettivo collettivo all’aria respirabile, all’acqua pulita, alla bellezza del paesaggio e così via dicendo”.

Il presente disegno di legge, dunque, persegue la finalità di introdurre nell’ordinamento giuridico “un esplicito, indiscutibile e solenne riconoscimento costituzionale del diritto all’ambiente, come già proclamato in numerosi Paesi, in linea con l’evoluzione della tutela ambientale elaborata in sede di Trattato sul funzionamento dell’Unione europea”[25].

Segue poco dopo il DDL. S. 1429-D (“Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione”)[26].

Un aspetto interessante del disegno di legge in esame attiene alle “modifiche del Titolo V della Parte II della Costituzione”.

L’art. 31 implica la modifica dell’art. 117 Cost.[27] e persegue un duplice scopo.

L’art. 32, invece, comporta una modifica dell’art. 118 Cost.[28]; tali variazioni sono  compiute con un esito preciso: attribuire alla legge statale la disciplina delle forme di intesa e coordinamento in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici.

A fronte di tali proposte[29] e alla luce del  progresso europeo, una revisione del testo costituzionale deve considerarsi irrealizzabile.

L’obiettivo principale resta quello di mettere a punto una definizione di ambiente in forma esplicita.

In tale scenario, suonano forti le parole di Piero Calamandrei: “Però vedete la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza politica, l’indifferentismo politico che è una malattia dei giovani”[30].

La Costituzione è – a parere di chi scrive – una sorta di “sacramento” [31]: un’eventuale modifica potrebbe provocare effetti dirompenti, a livello politico, giuridico ed economico.

La determinazione della futura politica legislativa è legata alla necessità di dar luogo a processi decisionali che siano in grado di conformare la tutela dell’ambiente alle politiche da realizzare.

3. Profili comparativi

Il contesto europeo conosce un trend positivo a proposito delle revisioni costituzionali.

La Costituzione francese contempla la cd. Charte de l’environnement (la Carta dell’Ambiente) con la quale l’ambiente ha assunto rilievo nella veste di “bene costituzionalmente protetto[1].

In Germania, l’art. 20 della Costituzione, intitolato “Protection of the natural foundations of life and animals”, statuisce che: “Indful also of its responsibility towards future generations, the state shall protect the natural  foundations of life and animals by legislation and, in accordance with law and justice, by executive and judicial action, all within the framework of the constitutional order”.  

In Belgio, invece, la Costituzione si pronuncia nei seguenti termini: “Everyone has the right to live a life which is in accordance with human dignity, and in order to do so,  any law, decree or regulation shall, in the light of the correlational obligations, guarantee the economic, social and cultural rights and determine the conditions for their exercise. Mainly: the right to work and the free choice of a professional activity;  the right to social security, health protection and social, medical and legal assistance;  the right to a decent home; the right to the protection of a healthy environment; the  right to cultural and social advancement”.

In Grecia, l’art. 24 della Costituzione stabilisce che: “La protezione dell’ambiente naturale e culturale costituisce un dovere per lo Stato. Lo Stato e tenuto a prendere misure speciali preventive o repressive per la sua conservazione”[32].

La Costituzione spagnola, all’art. 45, prevede solennemente che: “Tutti hanno diritto di fruire di un ambiente adeguato per lo sviluppo della persona e hanno il dovere di preservarlo”.

L’art. 66 della Costituzione Portoghese, più volte soggetta a modifiche, riconosce a tutti il “diritto ad un ambiente di vita umano, sano ed ecologicamente equilibrato e il dovere di difenderlo”.

Infine, la Costituzione olandese, revisionata nel 1983, afferma, all’art. 21, che: “I poteri pubblici provvedono a tutelare l’abitabilità del Paese e a proteggere e migliorare l’ambiente”.

4. Ambiente, ecosistema, solidarietà

Come già espresso, l’art. 117 comma 2 Cost. inscrive, tra le materie di esclusiva potestà legislativa dello Stato, “la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni comuni”, mentre al comma 3 riporta la “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” tra le materie di potestà concorrente Stato-Regioni.

Il legame ambiente-ecosistema merita una riflessione: la giurisprudenza esalta la “tutela dell’ambiente”, emarginando invece l’ecosistema, che rimane così privo di tutela.

Con il termine “ecosistema”, deve intendersi “l’insieme degli organismi viventi e delle sostanze non viventi con le quali i primi stabiliscono uno scambio di materiali e di energia, in un’area delimitata, per es. un lago, un prato, un bosco ecc.”[33].

Ricorrendo ad un’interpretazione sistemica, la giurisprudenza ha definito l’ambiente come “bene della vita materiale e complesso”, legandolo al concetto di biosfera.

Tale relazione ha subito “soffocato” l’autonomia di entrambi i concetti, confondendoli.

La Consulta ammette una diversità di fondo tra i due concetti: il termine “ambiente”, concerne l’habitat degli esseri umani, mentre il vocabolo “ecosistema” attiene alla conservazione della natura come valore in sé[34].

Un ragionamento analogo viene compiuto anche in ambito amministrativo.

In un caso di specie, il Consiglio di Stato ha sostenuto la presenza di due nozioni di “ambiente”: l’ambiente-paesaggio, presentato come “ambito territoriale in cui si svolge la vita dell’uomo e si sviluppa la persona umana”, e l’ambiente-ecosistema, che attiene alla specifica dinamica inerente il mantenimento e la pienezza delle matrici ambientali[35].

La giurisprudenza costituzionale ricava il fulcro giuridico-costituzionale della tutela dell’ambiente nel principio di solidarietà.

Tale principio rientra tra “i valori fondanti dell’ordinamento giuridico, tanto da essere solennemente riconosciuto e garantito, insieme ai diritti inviolabili dell’uomo, dall’art. 2 del testo costituzionale come base della convivenza sociale normativamente prefigurata dal costituente”[36].

Dall’esaltazione dell’ambiente come valore costituzionale ne consegue la collocazione dello stesso tra i doveri di solidarietà.

L’esecuzione di tali doveri in ambito ambientale rende possibile la concretizzazione del progetto costituzionale relativo allo sviluppo della persona umana, in relazione all’ambiente di vita dell’uomo[38].

Una considerazione di tale calibro trova una valida giustificazione: l’art. 2 Cost., infatti, come già sostenuto in tale sede, rappresenta una “porta aperta” nei confronti di nuovi valori che emergono con il tempo.

Tale dimensione non deve ritenersi priva di effettiva tutela: con la sentenza n. 173 del 2016, la Corte costituzionale si è pronunciata sui rilievi mossi dalle Sezioni della Corte dei conti circa la legittimità del prelievo forzoso introdotto a riguardo delle pensioni c.d. “d’oro” (cioè di importo più elevato) per gli anni 2014-2016.

Nel caso di specie, le censure investivano la disposizione dell’art.1, comma 486, L. 147/2013, per contrasto con gli articoli 2, 3, 4, 35, 36, 38, 53, 81, 97, 136 della Costituzione.

Nel suddetto giudizio di legittimità, la Corte Costituzione conferisce specifico rilievo alla c.d. mutualità intergenerazionale.

In virtù del principio di integrazione, il dovere di solidarietà ambientale è oggi definibile come un criterio generale che circoscrive le decisioni della PA.

5. Conclusioni

Il problema della tutela dell’ambiente è particolarmente avvertito in Italia: il legislatore ha evidenti difficoltà nello svincolarsi dalle radici storiche.

A parere di chi scrive, i tempi appaiono ormai maturi per inquadrare l’ambiente nel testo costituzionale.

Il tema “ambiente” resta comunque complesso.

Una conferma discende dall’omessa formulazione di una definizione a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione.

Il medesimo atteggiamento viene assunto anche dal legislatore comunitario, che si svincola dalla questione definitoria incentrando l’attenzione sulla tutela.

L’opera della giurisprudenza costituzionale invece si è rivelata decisiva.

La risoluzione del problema ambientale risulta indispensabile, poiché dalla salvaguardia dell’ambiente dipende il vivere quotidiano del genere umano.

L’Italia è chiamata a compiere un passo in avanti.

La nozione di ambiente –  sempre a giudizio di chi scrive – necessità di essere accostata al principio di solidarietà.

Come riportato dalla dottrina pontificia (Giovanni Paolo II, 1987), “la solidarietà non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, essa è la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno perché tutti siamo veramente responsabili di tutti”.


[1] Secondo G. Morano, Pubbliche amministrazioni e nuovi istituti green Strumenti giuridici del cittadino per proteggere l’ambiente in cui si vive, Aracne, Ariccia (RM), 2016, p. 15, “il concetto di ambiente, pertanto, rileva in tre dimensioni: quella spaziale, relativa al tipo di ambiente cui fare concreto riferimento, sarà esso globale, nazionale, regionale o locale; quella temporale, che rivela una prospettiva dinamica, intrecciata ai mutamenti ed alle evoluzioni legate al naturale decorso del tempo; quella relazionale, legata al connubio tra uomo e fattori naturali”.
[2] M. S. Giannini, Ambiente: saggio sui diversi suoi aspetti giuridici, in Riv. trim. dir. pubbl., 1973, cit., 15
[3] Cass. Civ., sez. III, 9 aprile 1992, n. 4362. Secondo la Suprema Corte, il termine “ambiente” indica “un insieme unico di beni, quali, flora, fauna, suolo, acque ecc., il quale, distinguendosi ontologicamente da essi, si identifica in una realtà, priva di consistenza materiale, ma espressiva di un autonomo valore collettivo costituente specifico oggetto di tutela da parte dell’ordinamento”.
[4] Voce “Ambiente”, in Enciclopedia Europea, Vol. I, Milano, 1976, p. 340.
[5] A. Predieri, Significato della norma costituzionale sulla tutela del paesaggio, in Studi per il XX anniversario dell’Assemblea costituente, Vallecchi, Firenze, Vol. II, 1969, , p. 387.
[6] M. Cecchetti, Riforma del Titolo V della Costituzione e sistema delle fonti: problemi e aspettative nella materia “Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema”, in federalismi.it, 2002, p. 1, osserva che “la sensazione più immediata è quella di trovarsi di fronte ad una innovazione destinata ad assumere una notevole portata, non solo e non tanto perché l’ambiente trova finalmente riconoscimento in una norma positiva di livello costituzionale, quanto per il fatto che la sua qualificazione in termini di “materia” affidata alla potestà legislativa esclusiva statale sembra prefigurare una radicale reimpostazione dei rapporti tra fonti statali e fonti regionali in questo settore e forse, più in generale, il pericolo di una netta inversione di tendenza rispetto al modello di governo dell’ambiente che si era faticosamente affermato in precedenza grazie alle ricostruzioni della giurisprudenza costituzionale e agli interventi legislativi culminati con la riforma amministrativa avviata dalla legge n. 59 del 1997”.
[7] Corte cost., 26 luglio 2002, n. 407; Corte cost., 20 dicembre 2002, n. 536
[8] Corte cost., 14 novembre 2007, n. 378
[9] Corte cost., 27 giugno 1986, n. 151
[10] Come precisato da D. Cerè, L’attuale normativa in tema di danno ambientale e profili di criticità, in cassaforense.it, n. 3, 2018, “solamente con la L. 8 luglio 1986, n. 349 (Istituzione del Ministero dell’ambiente e norme in materia di danno ambientale”), che ha istituito la responsabilità civile per danno ambientale e l’azione giurisdizionale amministrativa per l’annullamento dei provvedimenti lesivi dell’ambiente, è stato configurato per la prima volta l’ambiente come bene giuridico autonomo, unitario, immateriale, non patrimoniale, di natura composita, in relazione al quale si configurano interessi individuali, collettivi e pubblici. Ai sensi dell’art. 18 comma I, infatti, “qualunque fatto doloso o colposo in violazione di disposizioni di legge o di provvedimenti adottati in base a legge che comprometta l’ambiente, ad esso arrecando danno, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, obbliga l’autore del fatto al risarcimento nei confronti dello Stato”. Con tale legge, dunque, è stato introdotto un sistema di responsabilità per colpa, la cui competenza spetta al giudice ordinario che all’uopo è dotato di un grande potere discrezionale nella determinazione del danno in via equitativa (qualora una precisa quantificazione non sia possibile)”.
[11] Corte cost. sent. 28 maggio 1987, n. 210.
[12] V. Angiolini, Necessità ed emergenza nel diritto pubblico, Cedam, Padova, 1986, p. 102
[13] R. Chieppa, R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Giuffrè, Milano, 2017, p. 1043.
[14] Corte cost. 26 luglio 2002, n. 407.
[15] Si riportano solo alcuni esempi: -Direttiva 70/220/CEE, del 20 marzo 1970; -Direttiva 79/409/CEE; – Direttiva 84/360/CEE, del 28 giugno 1984; -Direttiva 87/217/CEE, del 19 marzo 1987; -Direttiva 91/689/CEE, del 21 dicembre 1991; -Direttiva 92/43/CEE; -Direttiva 99/31/CE del 26 aprile 1999; -Direttiva 2000/60/CE, del 23 ottobre 2000; -Direttiva 2001/18/CE, del 17 aprile 2001; -Direttiva 2004/35/CE, del 21 aprile 2004; -Direttiva 2006/44/CE, del 6 settembre 2006; -Direttiva 2006/117/Euratom, del 20 novembre 2006; -Direttiva 2008/50/CE, del 21 maggio 2008; -Convenzione internazionali di Espoo del 25 febbraio 1991; -Convenzione internazionale di Aarhus del 25 giugno 1998; -Regolamento delegato (UE) 2017/2100 del 4 settembre 2017; -Regolamento (UE) 2018/2005 del 17 dicembre 2018; -Regolamento (UE) 2018/1881 del 3 dicembre 2018; -Regolamento (UE) 2019/957 dell’11 giugno 2019.
[16] Si riportano solo alcuni esempi: -R.D. 8 ottobre 1931, n. 1604; -Legge 8 luglio 1986, n. 349; -Legge 6 dicembre 1991, n. 394; -Legge 7 febbraio 1992, n. 150; -Legge 11 febbraio 1992, n. 157; -D.lgs.17 marzo 1995,  n. 230; -Legge 26 ottobre 1995, n. 447; -D. M. 25 ottobre 1999, n. 47; -Legge 22 febbraio 2001, n. 36; -D. lgs 8  luglio 2003, n. 224; -D.lgs. 18 febbraio 2005, n. 59; -D. lgs. 2 aprile 2006, n. 152; -D. lgs. 13 agosto 2010, n. 155; D.lgs. 7 luglio 2011, n. 121.
[17] -Art. 423-bis cod. pen. Incendio boschivo; -Art. 426 cod. pen. Inondazione, frana valanga; -Art. 427 cod. pen.  Danneggiamento seguito da inondazione, frana, valanga -Art. 434 cod. pen. Crollo di costruzioni o altri disastri dolosi; -Art. 438 cod. pen. Epidemia; -Art. 439 cod. pen. Avvelenamento di acque o di sostanze alimentari; -Art. 440 cod. pen. Adulterazione e contraffazione di sostanze alimentari; -Art. 449 cod. pen. Delitti colposi di danno; -Art. 452 cod. pen. Delitti colposi contro la salute pubblica; -Art. 500 cod. pen. Diffusione di una malattia delle piante o degli animali;-Art. 632 cod. pen. Deviazione di acque e modificazione dello stato dei luoghi; -Art. 635 cod. pen. Danneggiamento; -Art. 674 cod. pen. Getto pericoloso di cose.
[18] Ai sensi dell’art. 174 del presente Trattato: “La politica della Comunità in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi: salvaguardia, tutela e miglioramento delle qualità dell’ambiente; protezione della salute umana; utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali; promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale. La politica della Comunità in materia ambientale mira ad un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle  situazioni nelle varie regioni della Comunità Europea. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell’azione  preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.
[19] Come marcato da J. Prescott, Sviluppo sostenibile: quali sono i progressi 31 anni dopo la pubblicazione del rapporto Brundtland?, in mondialisation.ca, 2017, “il Rapporto della Commissione Brundtland identifica chiaramente i problemi ambientali degli anni ’80: la crescita demografica incontrollata, il disboscamento e il pascolo eccessivi, la distruzione delle foreste tropicali, l’estinzione delle specie viventi, l’aumento dell’effetto serra che provoca i cambiamenti climatici, le piogge acide, l’erosione dello strato di ozono stratosferico, ecc. Insiste anche sugli aspetti socioeconomici e, in particolare, sugli effetti perversi di una crescita economica sfrenata e dell’eccessivo consumo di risorse da parte dei Paesi più ricchi. In vista di uno sviluppo sostenibile, la Commissione identifica una serie di obiettivi strategici che includono in particolare la modifica della qualità della crescita economica, la padronanza della demografia, la soddisfazione dei bisogni umani essenziali, la salvaguardia e la valorizzazione della base delle risorse, la considerazione dell’ambiente nella realizzazione di tecnologie innovative e l’integrazione delle preoccupazioni ecologiche ed economiche nei processi decisionali. La Commissione propone inoltre delle soluzioni applicabili su scala mondiale. Ad esempio, la diminuzione del consumo energetico nei paesi industrializzati ed il sostegno dello sviluppo delle energie rinnovabili, la promozione del rimboschimento massiccio nelle nazioni colpite dalla desertificazione, la realizzazione di riforme fiscali e fondiarie per ridurre le pressioni sugli ecosistemi, l’adozione di una convenzione internazionale per la protezione delle specie. Benché questi provvedimenti mirino alla salvaguardia dell’ambiente, il Rapporto Brundtland insiste sull’importanza di combattere la povertà e l’ingiustizia, che sono a loro volta cause ed effetti dei problemi ambientali. Per realizzare e finanziare questa svolta ecologica, la Commissione Brundtland propone una riforma delle istituzioni internazionali, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, che dovrebbero valutare meglio gli obiettivi sociali e ambientali e alleggerire i debiti delle nazioni molto più povere. La Commissione chiede anche un diverso orientamento delle spese militari a beneficio della lotta contro la povertà e le diseguaglianze, ed interpella le grandi aziende affinché si impegnino nella prospettiva di una produzione e un consumo più responsabili”.
[20] Come evidenziato da F. Vanetti, L. Ugolini, Contaminazioni storiche e responsabilità di gruppo: l’evoluzione giurisprudenziale in relazione alla successione di imprese e agli obblighi di bonifica, in Riv. Giur. Ambiente, 2020, “il c.d. principio “chi inquina paga” trae la sua origine nel Trattato CEE del 1958, al comma 2 dell’art. 174, inserendolo nel novero dei principi cardine in materia ambientale accanto a quelli di precauzione, prevenzione e correzione del danno ambientale. Dopo la sua introduzione nel Trattato CE, tale principio viene utilizzato per la prima volta nel 1962 dal comitato ambientale dell’OECD (organizzazione avente un ruolo prevalentemente consultivo) e, successivamente, lo stesso compare all’interno del primo Environment Action Programme, che sancisce come l’addebito dell’inquinamento ad uno o più soggetti debba essere ammesso in misura corrispondente al loro effettivo contributo, al verificarsi dell’inquinamento ed al rischio di inquinamento stesso. Nel 1975 il principio chi inquina paga vede una delle sue prime declinazioni economiche in un documento della Comunità europea, vale a dire la Raccomandazione del Consiglio n.436, ritenuta ancora oggi da parte della dottrina fonte di primaria importanza quanto a definizione del principio chi inquina paga; in particolare l’art.2 del suo Allegato afferma che “sia le Comunità europee a livello comunitario, sia gli Stati membri nelle loro legislazioni nazionali in materia di protezione dell’ambiente devono applicare il principio “chi inquina paga”, secondo il quale le persone fisiche oppure giuridiche, di diritto pubblico o privato, responsabili di inquinamento debbono sostenere i costi delle misure necessarie per evitare questo inquinamento ovvero per ridurlo, al fine di rispettare le misure e le misure equivalenti che consentono di raggiungere gli obiettivi di qualità o, qualora non esistano i suddetti obiettivi, le norme e le misure equivalenti fissate dai pubblici poteri”. In ultima battuta, prima di giungere all’evoluzione del principio dei primi decenni del 2000, il suddetto fa il suo ingresso nell’Atto Unico Europeo del 1987, il quale sancisce che “L’azione della Comunità in materia ambientale è fondata sui principi dell’azione preventiva e della correzione, anzitutto alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonché sul principio “chi inquina paga”.
[21] Come riportato da G. M. Palamoni, Il principio di prevenzione, in Riv. Giur. Ambiente e Diritto, 2014, “prevenire”,   dal latino “prae” e “venire”, dunque, “venire prima”, significa “prendere tutte le precauzioni necessarie perché  un evento negativo o dannoso non si verifichi”. Più specificamente, il principio di prevenzione o di azione preventiva, fondando le strategie di tutela ambientale, rappresenta un principio cardine del diritto dell’ambiente, principio che una autorevole dottrina ha sintetizzato richiamando il semplice e famoso slogan pubblicitario che  recita “prevenire è meglio che curare”. Ciò non solo perché i danni ambientali, una volta verificati, non sempre  sono riparabili, ma anche poiché, pur laddove lo siano, l’attività di ripristino, generalmente, è molto più onerosa di quella di prevenzione, con la conseguenza che anch’esso non può prescindere da considerazioni di rilevanza economica. Si potrebbe dire, pertanto, di essere di fronte ad uno di quei principi che consente di perseguire una politica mirante ad un elevato livello di protezione dell’ambiente ed anche di miglioramento della sua qualità,  integrando le esigenze di tutela nella definizione e nell’attuazione delle azioni comunitarie. Il principio di prevenzione, insieme con gli altri in materia ambientale, peraltro, costituisce un limite generale nell’adozione degli atti normativi, di indirizzo e coordinamento e nell’emanazione dei provvedimenti di natura contingibile e urgente, vincolanti l’esercizio del potere discrezionale nell’attività amministrativa e l’esercizio di tutte le attività private”.
[22] Comunicazione della Commissione sul ricorso al principio di precauzione, in eur-lex.europa.eu, 22 febbraio 2000:“Il principio di precauzione è citato nell’articolo 191 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (UE). Il suo scopo è garantire un alto livello di protezione dell’ambiente grazie a delle prese di posizione preventive in caso di rischio. Tuttavia, nella pratica, il campo di applicazione del principio è molto più vasto e si estende anche alla politica dei consumatori, alla legislazione europea sugli alimenti, alla salute umana, animale e vegetale. La definizione deve anche avere un impatto positivo a livello internazionale, al fine di garantire un livello appropriato di protezione dell’ambiente e della salute nei negoziati internazionali. Infatti, tale principio è stato riconosciuto da varie convenzioni internazionali e figura in special modo nell’Accordo sulle misure sanitarie e fitosanitarie (SPS) concluso nel quadro dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC). Secondo la Commissione europea, il principio di precauzione può essere invocato quando un fenomeno, un prodotto o un processo può avere effetti potenzialmente pericolosi, individuati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, se questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza. Il ricorso al principio si iscrive pertanto nel quadro generale dell’analisi del rischio (che comprende, oltre la valutazione del rischio, la gestione e la comunicazione del rischio) e più particolarmente nel quadro della gestione del rischio che corrisponde alla fase di presa di decisione. La Commissione sottolinea che il principio di precauzione può essere invocato solo nell’ipotesi di un rischio potenziale, e che non può in nessun caso giustificare una presa di decisione arbitraria. Il ricorso al principio di precauzione è, pertanto, giustificato soltanto quando riunisce tre condizioni: l’identificazione degli effetti potenzialmente negativi; la valutazione dei dati scientifici disponibili; l’ampiezza dell’incertezza scientifica. Nella maggior parte dei casi, i consumatori europei e le associazioni che li rappresentano devono dimostrare il pericolo associato a un processo ovvero a un prodotto messo sul mercato, eccezione fatta per i medicinali, i pesticidi o gli additivi alimentari. Tuttavia, nel caso di un’azione presa a titolo del principio di precauzione, si può pretendere che sia il produttore, il fabbricante o l’importatore a dimostrare l’assenza di pericolo. Questa possibilità deve essere esaminata caso per caso; non può essere estesa a livello generale all’insieme dei prodotti e dei processi messi sul mercato”.
[23] L’art. 3-ter si rifà a tali principi affermando che:“La tutela dell’ambiente e degli ecosistemi naturali e del patrimonio culturale deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche o private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, dell’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente, nonche’ al principio “chi inquina paga” che, ai sensi dell’articolo 174, comma 2, del Trattato delle unioni europee, regolano la politica della comunità in materia ambientale”. L’art.3-quater, invece, è completamente dedicato all sviluppo sostenibile:“Ogni attività umana giuridicamente rilevante ai sensi del presente codice deve conformarsi al principio dello sviluppo sostenibile, al fine di garantire che il soddisfacimento dei bisogni delle generazioni attuali non possa compromettere la qualità della vita e le possibilità delle generazioni future. Anche l’attività della pubblica amministrazione deve essere finalizzata a consentire la migliore attuazione possibile del principio dello sviluppo sostenibile, per cui nell’ambito della scelta comparativa di interessi pubblici e privati connotata da discrezionalità gli interessi alla tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale devono essere oggetto di prioritaria considerazione. Data la complessità delle relazioni e delle interferenze tra natura e attività umane, il principio dello sviluppo sostenibile deve consentire di individuare un equilibrato rapporto, nell’ambito delle risorse ereditate, tra quelle da risparmiare e quelle da trasmettere, affinchè nell’ambito delle dinamiche della produzione e del consumo si inserisca altresì il principio di solidarietà per salvaguardare e per migliorare la qualità dell’ambiente anche futuro. La risoluzione delle questioni che involgono aspetti ambientali deve essere cercata e trovata nella prospettiva di garanzia dello sviluppo sostenibile, in modo da salvaguardare il corretto funzionamento e l’evoluzione degli ecosistemi naturali dalle modificazioni negative che possono essere prodotte dalle attività umane”.
[24] Tale disegno di legge è stato proposto dalla senatrice Loredana Petris (Gruppo Misto-Sinistra Ecologia e Libertà), comunicato alla Presidenza il 20 aprile 2015 ed assegnato alla 1° Commissione permanente (Affari Costituzionali) in sede referente il 7 maggio 2015.
[25] Ai sensi dell’art. 1 di tale disegno di legge: “All’articolo 9 della Costituzione,  dopo il secondo comma sono aggiunti i seguenti: “Tutela l’ambiente e gli ecosistemi, come diritto fondamentale  della persona e della comunità, promuovendo le condizioni che rendono effettivo questo diritto. Persegue il miglioramento delle condizioni dell’aria, delle acque, del suolo e del territorio, nel complesso e nelle sue  componenti, protegge la biodiversità e promuove il rispetto degli animali. La tutela dell’ambiente è fondata sui princìpi della precauzione, dell’azione preventiva, della responsabilità e della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente”.
[26] Tale disegno di legge, presentato dall’allora Presidente del Consiglio (Renzi) e dal Ministro per le Riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento (Boschi), è stato oggetto di una serie di modifiche, a partire dall’8 agosto 2014.
[27] L’art. 117 Cost., al comma 2, indica le materie per le quali lo Stato possiede legislazione esclusiva. In particolare, la lettera s) subisce la seguente modifica: “tutela e valorizzazione dei beni culturali e  paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo”. Si stabilisce, altresì, che in ordine alle altre materie, “spetta alle Regioni la potestà legislativa in materia di promozione (…) dei beni ambientali, culturali e paesaggistici”. Nella vigente disposizione, si prevede che la c.d. “valorizzazione dei beni culturali e ambientali” rientri nella legislazione concorrente.
[28] In materia ambientale, al terzo comma dell’art. 118 Cost., i seguenti termini “nella materia della tutela dei beni  culturali” sono sostituiti dai termini: “in materia di tutela dei beni culturali e paesaggistici”.
[29] I progetti più recenti, aventi come scopo quello di intervenire sull’art. 9 Cost, sono due. Il progetto n. 1535, presentato il 17 ottobre 2019 dall’On. Gallone, si limita ad una modifica minimale del testo costituzionale, inserendo la parola “ambiente” al secondo comma dell’art. 9 Cost.; b) il disegno di legge n. 1203, depositato il 26 maggio 2019 dal Senatore Perilli, ha il merito di mettere connettere la protezione ambientale con il principio costituzionale di solidarietà intergenerazionale”
[30] Piero Calamandrei nel “Discorso ai giovani”, 26 gennaio 1955, Milano
[31] In senso critico, T. Groppi, La revisione della Costituzione. Commento all’art.138, in astrid-online.it, 2006, ritiene che “la questione della procedura da seguire per la sua modifica sorge nel momento stesso in cui nasce la costituzione nel senso moderno del termine: un atto normativo imposto a tutti i soggetti dell’ordinamento, che definisce la titolarità e disciplina l’esercizio del potere sovrano. Tale concezione si afferma alla fine del XVIII secolo con le grandi rivoluzioni in Francia e in America, come una realizzazione pratica di quell’insieme di dottrine che hanno posto al centro della loro riflessione l’assoggettamento del potere a regole giuridiche e che si ricomprendono sotto il nome di costituzionalismo. Le costituzioni dei moderni si pongono in linea di principio come non modificabili con legge ordinaria, nel senso che hanno la pretesa di durare, e di imporsi a tutti i soggetti dell’ordinamento, anche al potere legislativo, la cui “tendenza ad assorbire gli altri due poteri” deve essere contrastata. Supremazia della costituzione e sua continuità e durata sono facce della stessa medaglia, e proprio perché la costituzione è qualcosa di permanente tutti i poteri ne debbono essere vincolati, compreso quello legislativo. Con le parole di Bryce, tali costituzioni, che si collocano al di sopra delle leggi ordinarie e non possono essere modificate dall’autorità legislativa ordinaria, sono definite “rigide”. Fin dall’inizio emerge però che l’aspirazione alla  stabilità pone un problema di difficile soluzione: essa rischia di dar luogo a una vera e propria tirannia   intergenerazionale. Le esigenze opposte di fissità e di rinnovamento si fronteggiano nel momento della nascita  delle costituzioni dei moderni. Da un lato sta la necessità di garantire stabilità e certezza al nuovo ordine, di  limitare il “terribile potere” (costituente), dall’altro l’idea di progresso e la volontà di evitare che l’unica via di  mutamento percorribile sia quella che porta al crollo totale dell’ordine vigente. Ciò che prevale è, nella maggioranza dei casi, una via intermedia: “le procedure speciali per il mutamento costituzionale presentano una doppia faccia, l’una che guarda al mutamento e l’altra alla conservazione: una doppiezza che storicamente è destinata a suscitare il timore oppure l’impazienza dei partiti dei conservatori e degli innovatori”. Rispetto al  problema dell’alternativa tra assoluta immodificabilità e totale modificabilità, l’introduzione nella costituzione di clausole di revisione offre una via di uscita”.
[32] La Charte de l’environnement è composta da dieci articoli: 1. Ognuno ha il diritto di vivere in un ambiente equilibrato che rispetti la salute; 2. Ognuno ha il dovere di prendere parte alla conservazione e al miglioramento dell’ambiente; 3. Tutte le persone devono, alle condizioni definite dalla legge, prevenire il danno che possono causare all’ambiente o, in mancanza, limitare le conseguenze; 4. Tutti devono aiutare a riparare i danni che provocano all’ambiente, alle condizioni definite dalla legge; 5. Quando il verificarsi di un danno, sebbene incerto
[33] 15 febbraio 2007 – Interrogazione scritta di Dimitrios Papadimoulis, Margrete Auken, Bairbre de Brún, Roberto Musacchio, Kartika Tamara Liotard e Adamos Adamou alla Commissione. Il governo greco ha reso nota l’intenzione di sottoporre a revisione l’articolo 24 della Cost., relativo all’obbligo di garantire la protezione delle foreste e dell’ambiente naturale. Tale revisione consisterebbe in particolare nel circoscrivere la definizione di foresta, con la conseguenza di declassare tutte le grandi superfici boscose, di privarle della protezione speciale di cui beneficiano ai sensi dell’attuale quadro costituzionale e, di comportare il loro deterioramento e la loro trasformazione. Tutte le associazioni di specialisti dell’ecologia e di silvicoltori, le organizzazioni ecologiste, nonché i principali ordini di avvocati e associazioni di magistrati, si sono già mobilitati per opporsi alla revisione del suddetto articolo. È noto che una simile revisione della Costituzione compete esclusivamente agli Stati membri. Ciononostante, la gestione, la manutenzione e lo sviluppo sostenibile delle foreste figurano tra le principali preoccupazioni delle politiche attuali dell’Unione europea (europarl.europa.eu)
[34] Nell’ambito di un ecosistema, il complesso ecologico in cui vive una determinata specie animale o vegetale, o una particolare associazione di specie, viene definito biotopo; il complesso degli organismi (vegetali, animali ecc.) che occupano un certo spazio biota. In un ecosistema, o sistema ecologico, si distinguono i vari componenti: materiale abiotico (non vivo), costituito di sostanze inorganiche e organiche; produttori, organismi autotrofi (piante verdi e batteri) capaci di costruire sostanze organiche a spese di talune sostanze inorganiche; consumatori, organismi eterotrofi (animali, piante parassite e saprofite) che si nutrono di altri organismi oppure di sostanze organiche da questi prodotte; decompositori, organismi eterotrofi (batteri, funghi, altri organismi saprobi) che degradano le molecole organiche e liberano sostanze più semplici le quali sono utilizzate dai produttori. Quasi sempre gli ecosistemi sono sistemi aperti, che hanno scambi più o meno intensi di materiali e di energia con altri ecosistemi (Voce “Ecosistema” in Enc. Treccani).
[35] Corte cost, sent.  del 23 gennaio 2009, n. 12
[36] Consiglio di Stato, 14 dicembre 2001, n. 9; Come sottolineato da L. Carbone, Ambiente, paesaggio e beni culturali e ambientali, in federalismi.it, n. 19, 2004, “l’ambiente comprende ovviamente anche il territorio, perché anche esso è intorno a noi (e ormai il livello di disequilibrio è tale che ogni opera “consistente” vi incide ulteriormente e richiede una V.I.A.), ma ontologicamente lo supera e ne prescinde, perché opera su una dimensione ancora più vasta e generale, che giunge ad abbracciare l’intero pianeta. In questa accezione, forse il valore di ambiente si avvicina davvero molto, e comunque ricomprende, quello di “ecologia”, nata come branca della biologia che studia i rapporti fra gli organismi viventi e l’“ambiente circostante” e si è sviluppata includendo l’uomo tra questi organismi viventi, prima di evolversi nella scienza che tutela questi stessi organismi dall’intervento squilibrante dell’uomo. Accogliendo questa nozione di ambiente, ne deriva che all’interno del diritto dell’ambiente si giustifica la presenza di tutte quelle discipline di settore in cui si persegue come finalità prevalente la tutela degli equilibri ecologici: disciplina dell’aria, dell’acqua, del rumore, della difesa del suolo, dello smaltimento dei rifiuti, della protezione della natura, delle aree protette, quegli strumenti tipicamente rivolti alla tutela degli equilibri ecologici quali la valutazione di impatto ambientale e il danno ambientale e, sotto limitati profili, anche discipline quali quella paesistica. La nozione di paesaggio è forse la più problematica, poiché prende le mosse da una norma “valoriale” generale come l’art. 9 ma oggi cerca di ritagliarsi connotazioni autonome rispetto a tutti gli altri lemmi in gioco. Quello che caratterizza il paesaggio dagli altri lemmi in gioco è, quindi, la “valenza culturale – identitaria” del rapporto uomo-natura, nella sua percepibilità attraverso la forma esteriore del territorio (si pensi, ad esempio, alle colline toscane: un paesaggio identificabile da un punto di vista naturale ma anche culturale). Abbastanza chiara è anche la distinzione di paesaggio da “ecosistema”, poiché esso riguarda esclusivamente gli equilibri ecologici strettamente intesi, indipendentemente dalle interazioni con l’uomo. Problematica ma individuabile è anche la differenza con l’“ambiente” tout court. Quello che appare più chiaro è che l’ambiente è “qualcosa in più”, poiché come si è visto esso concerne tutto il rapporto uomo-natura ricomprendendovi anche degli aspetti non fisicamente percepibili nella forma del territorio (il cd. “ambiente non visibile”). Appare invece più difficile chiarire che cosa abbia il paesaggio in più dell’ambiente, poiché la tutela degli equilibri uomo-natura tipici del valore di ambiente giunge a tutelare gran parte di quelle “parti omogenee di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni” (si pensi ad un qualsiasi paesaggio naturale o costiero o fluviale: l’equilibrio naturale o anche umano-naturale lo connota coma un’area protetta in maniera meno imperativa dei parchi, ma pur sempre come un’area protetta)”.
[37] Corte cost., 18 luglio 19 1989, n. 409; Corte cost., sent. 28 febbraio 1992, n. 75
[38] Secondo P. Dell’Anno, Tutela dell’ambiente come materia e valore costituzionale di solidarietà e di elevata protezione, in lexambiente.it, 2001, “dall’espressione costituzionale dell’art. 117, lett. s), che unisce tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali, si rileva che l’oggetto della tutela “non si esaurisce nella sola natura e nel suo equilibrio” ecologico, ma “va indirizzato anche verso le popolazioni future” ed all’intero ambiente di vita dell’uomo, secondo una prospettiva che non richiama la categoria del (preteso) diritto all’ambiente, ma la tutela, espressione connotata dalla doverosità della funzione da esercitare. Sotto altra prospettiva, l’art. 2 Cost. indica un comportamento doveroso di tutti i soggetti dell’ordinamento, tanto pubblici che privati”.


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Dott.ssa Luana Leo

La dottoressa Luana Leo è dottoranda di ricerca in "Teoria generale del processo" presso l'Università LUM Jean Monnet. È cultrice di Diritto pubblico generale e Diritto costituzionale nell'Università del Salento. Ha conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso il medesimo ateneo discutendo una tesi in Diritto Processuale Civile dal titolo ”Famiglie al collasso: nuovi approcci alla gestione della crisi coniugale”. È co-autrice dell'opera "Il Presidente di tutti". Ha compiuto un percorso di perfezionamento in Diritto costituzionale presso l´Università di Firenze. Ha preso parte al Congresso annuale DPCE con una relazione intitolata ”La scalata delle ordinanze sindacali ”. Ha presentato una relazione intitolata ”La crisi del costituzionalismo italiano. Verso il tramonto?” al Global Summit ”The International Forum on the Future of Constitutionalism”. È stata borsista del Corso di Alta Formazione in Diritto costituzionale 2020 (“Tutela dell’ambiente: diritti e politiche”) presso l´Università del Piemonte Orientale. È autore di molteplici pubblicazioni sulle più importanti riviste scientifiche in materia. Si occupa principalmente di tematiche legate alla sfera familiare, ai diritti fondamentali, alle dinamiche istituzionali, al meretricio, alla figura della donna e dello straniero.

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