Appalti, l’impugnativa del criterio al ribasso e la necessaria (o meno) partecipazione al bando di gara

Appalti, l’impugnativa del criterio al ribasso e la necessaria (o meno) partecipazione al bando di gara

Il nostro sistema giuridico è orientato verso una tutela giurisdizionale soggettiva che trova esplicito fondamento nell’art. 24 Cost. a mente del quale chiunque può agire in giudizio per far valere un diritto o interesse legittimo.

Le condizioni che legittimano l’azione sono la legittimazione ad agire, intesa come mera affermazione della titolarità della situazione giuridica azionata, la possibilità giuridica del provvedimento richiesto e l’interesse ad agire, vale a dire un vantaggio o utilità che il soggetto può ricavare dalla domanda di giustizia. L’utilità per essere effettiva richiede un interesse attuale, personale, reale.

Nel caso che ci occupa, occorre soffermarsi sulla dinamica della tutela in ambito amministrativo.

In particolare, i provvedimenti suscettibili di impugnativa giurisdizionale sono quelli che hanno rilevanza esterna e finale, in altri termini i provvedimenti che incidono negativamente sulla sfera giuridica del soggetto destinatario integrando un pregiudizio.

Quanto appena detto non pare, prima facie, ripetibile per gli atti endoprocedimentali, che in quanto prodromici all’adozione del provvedimento finale esauriscono i loro effetti nella sfera del procedimento senza arrecare alcun pregiudizio alla sfera giuridica del privato. Rispetto a questi ultimi mancherebbe un interesse ad agire, in quanto la lesione è imputabile solo all’atto finale, pertanto, ove si attivasse una tutela giurisdizionale il giudice rileverebbe il difetto di interesse a ricorrere pronunciando una sentenza di rito nei termini di inammissibilità della domanda di giustizia.

Se quanto appena affermato è vero, non si può escludere che vi siano atti endoprocedimentali che abbiano rilevanza esterna idonea a  cagionare un pregiudizio attuale.

Sul punto, occorre distinguere tra atti di arresto, soprassessori e provvisori.

Quanto ai primi, si afferma che tali atti seppur hanno rilevanza endoprocedimentale producono un effetto negativo immediato: l’arresto che ne consente l’immediata impugnativa.

Un ragionamento in parte analogo veniva in origine utilizzato anche per gli atti soprassessori con i quali la PA condizionava il soddisfacimento di un interesse legittimo al verificarsi di un evento futuro ed incerto. Sul punto, si era affermato che alla stregua di quanto si verificava per i primi, anche per quelli soprassessori si realizzava un arresto per un tempo ex ante indeterminabile che ne consentiva l’immediata impugnativa.

Lo stesso non vale per gli atti provvisori che anticipano il risultato del provvedimento finale che andrà a sostituirli. Rispetto a questi si ammette una mera facoltà e non un onere di impugnativa. Si pensi a quanto era previsto per la facoltà di impugnativa dell’aggiudicazione provvisoria (ora superata dal nuovo Codice degli Appalti Pubblici).

Nello specifico, la questio iuris relativa agli atti endoprocedimentali si è posta con riguardo al bando di gara della procedura ad evidenza pubblica.

In via generale, si afferma che il bando avendo natura di atto amministrativo generale, non si rivolge a destinatari determinabili a priori e quindi non può incidere negativamente sulla sfera giuridica dei concorrenti, in quanto la lesione effettiva può derivare solo dal provvedimento finale (aggiudicazione) che dovrà essere impugnato congiuntamente al primo, secondo il principio dell’invalidità derivata viziante.

Inizialmente, si affermava che il bando non poteva assumere una immediata rilevanza lesiva in presenza di clausole o prescrizioni illegittime, in quanto ben poteva accadere che l’amministrazione non applicasse le suddette clausole o le interpretasse in modo conforme alla legge.

Sul punto, si è obiettato che essendo il bando di gara lex specialis della procedura, vincolante, la PA è obbligata a darne esecuzione (salvo l’esercizio del potere di autotutela). Pertanto, un eventuale provvedimento di esclusione sarebbe atto dovuto in attuazione dello stesso.

La giurisprudenza ha, infatti, affermato che il bando di gara ben può contenere clausole immediatamente lesive che necessitano di immediata impugnativa nei termini di decadenza pena inoppugnabilità.

Tale soluzione fornita in via ermeneutica è stata recepita dallo stesso legislatore statuendo all’art. 120, co. 5 c.p.a. l’onere di immediata impugnativa per i bandi autonomamente lesivi.

Sul punto, sono immediatamente lesive le clausole escludenti sia in astratto che in concreto.

Quanto alle prime, ci si riferisce a quelle clausole che prevedono tra i requisiti di partecipazione particolari titoli o caratteristiche soggettive preesistenti che escludono ex ante la possibilità di partecipazione alla gara da parte del potenziale concorrente sprovvistone. Quanto alle seconde, si fa riferimento a quelle che seppure non precludono l’accesso alla procedura in astratto, la condizionano in concreto imponendo oneri, adempimenti abnormi e sproporzionati rispetto l’interesse pubblico perseguito dalla PA. Senza revoche in dubbio tali clausole rientrano tra quelle di arresto.

Più complessa è la questione relativa all’immediata lesività delle clausole illegittime diverse da quelle escludenti che impongono particolari adempimenti formali o prescrivono criteri di aggiudicazione al ribasso.

Si pensi al bando di gara che individui quale criterio di scelta del contraente il prezzo più basso, in luogo dell’offerta economicamente vantaggiosa. Tale questione assume particolare rilevanza alla luce del nuovo codice degli appalti che non ritiene più i suddetti criteri di scelta equivalenti, ma opera una scelta di preferenza e prevalenza a favore del secondo, che dovrebbe valorizzare una discrezionalità positiva e responsabile della Pa. Sul punto, la giurisprudenza maggioritaria afferma che, in realtà, ove la Pa prevedesse nel bando di gara il criterio del prezzo più basso mancherebbe un interesse ad impugnare la relativa previsione, in quanto, non si produrrebbe alcun effetto escludente. Ove si dovesse ammettere una valida impugnativa si farebbe valere non un interesse all’aggiudicazione, ma una pretesa all’agere legittimo della PA postulando una sorta di azione popolare espressione di una giurisdizione oggettiva.

A contrario, si è sostenuto che ove la Pa abbia previsto una clausola al ribasso tale debba ritenersi illegittima e contrastante con il nuovo codice che prevede il prezzo più basso come criterio sussidiario che necessita di apposita motivazione. Se è vero che l’immediata impugnativa non vale a conseguire l’aggiudicazione intesa quale bene vita finale, vale a garantire una partecipazione alla gara effettiva e concorrente, in quanto il criterio di scelta condiziona la formulazione dell’offerta economica alterando la concorrenza.

A fronte di questo contrasto ermeneutico si è, di recente, richiesto l’interno dell’Adunanza Plenaria [1] con il seguente quesito: vale a dire se sia ammissibile una impugnazione immediata del bando anche per il caso di erronea adozione del criterio del prezzo più basso, il luogo del miglior rapporto tra qualità e prezzo; b) se l’onere di immediata impugnazione del bando possa affermarsi più in generale per tutte le clausole attinenti le regole formali e sostanziali di svolgimento della procedura di gara, nonché con riferimento agli altri atti concernenti le fasi della procedura precedenti l’aggiudicazione, con la sola eccezione delle prescrizioni generiche e incerte, il cui tenore eventualmente lesivo è destinato a disvelarsi solo con i provvedimenti attuativi; c) se, nel caso in cui l’Adunanza Plenaria affermi innovativamente il principio della immediata impugnazione delle clausole del bando di gara riguardanti la definizione del criterio di aggiudicazione, e, individui, eventualmente, ulteriori ipotesi in cui sussiste l’onere di immediata impugnazione di atti della procedura precedenti l’aggiudicazione, la nuova regola interpretativa si applichi, alternativamente: c’) con immediatezza, anche ai giudizi in corso, indipendentemente dall’epoca di indizione della gara; c’’) alle sole gare soggette alla disciplina del nuovo codice dei contratti pubblici; c’’’) ai soli giudizi proposti dopo la pubblicazione della sentenza dell’Adunanza Plenaria, in conformità alle regole generali dell’errore scusabile e della irretroattività dei mutamenti di giurisprudenza incidenti sul diritto viventi (secondo i principi dell’overruling); d) se, nel caso di contestazione del criterio di aggiudicazione o, in generale, della impugnazione di atti della procedura immediatamente lesivi, sia necessario, ai fini della legittimazione a ricorrere, che l’operatore economico abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura, ovvero sia sufficiente la dimostrazione della qualità di operatore economico del settore, in possesso dei requisiti generali necessari per partecipare alla selezione.

Altro quesito strettamente connesso posto all’Adunanza Plenaria è quello relativo alla necessaria partecipazione alla gara ai fini della legittimazione ad impugnare il bando.

Sul punto, occorre effettuare delle precisazioni.

La giurisprudenza maggioritaria afferma che la partecipazione alla gara sia condizione necessaria ai fini dell’impugnativa del bando di gara, in quanto diversamente opinando la tutela non sarebbe più soggettiva e mancherebbe l’interesse attuale, personale e concreto a ricorrere.

Se quanto affermato vale in generale, vi sono ipotesi tassative ed eccezionali che non richiedono la necessaria partecipazione alla gara ai fini dell’impugnativa del bando di gara:

  • quando si contesta il ricorso alla procedura ad evidenza pubblica;

  • quando si contesta la mancata attivazione della procedura in luogo di un affidamento domestico;

  • nel caso affrontato delle clausole escludenti. In queste specifiche tre ipotesi è sufficiente dimostrare di essere un imprenditore che opera nel settore di interesse affinché vi sia una legittimazione ad impugnare, anche perché la necessaria partecipazione è un non senso nel caso di affidamento in house ove non sussiste un bando di gara o nel caso di clausola escludente ove il soggetto non ha il requisito per partecipare.

Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 245/2016, depositata il 22 novembre 2016, si è pronunciata sul punto in via incidentale, in quanto la questione di legittimità investiva i trasporti pubblici della Regione Liguria.

In punto di rilevanza, il Tribunale Amministrativo Regionale della Liguria aveva ritenuto infondata l’eccezione di difetto di interesse ad agire per mancanza di presentazione della domanda di partecipazione e per difetto di lesività delle clausole delle ricorrenti (tutte gestori di servizi di trasporto pubblico locale in ambito provinciale o sub-provinciale), perché, da un lato, “nessuna domanda di partecipazione alla gara necessitava ai fini dell’ammissibilità del ricorso, una volta   accertato (…) che le ricorrenti sono operatori del settore” e, dall’altro, la previsione di un  unico lotto di ampiezza coincidente  con  l’intero  territorio  regionale sarebbe “immediatamente lesiva delle posizioni  soggettive  delle  ricorrenti”. Sul punto, la Corte costituzionale propone un’interpretazione del requisito processuale dell’interesse ad agire tale per cui sarebbe inammissibile il ricorso proposto dalla impresa che non ha partecipato alla gara quando non sarebbe assolutamente certo ma soltanto altamente probabile che, per effetto della strutturazione della gara (ad esempio dimensione dei lotti) ovvero per effetto della normativa di gara l’impresa stessa non potrebbe conseguire l’aggiudicazione.

In applicazione di tale dicta, la possibilità di accedere alla tutela giurisdizionale anche quando l’impugnativa attenga al bando di gara e non all’intera procedura, richiederebbe la necessaria partecipazione. Predetta soluzione non pare conforme alle esigenze di tutela degli operatori di settore che si vedrebbero costretti a presentare una offerta con i relativi costi nella consapevolezza di non avere probabilità di aggiudicazione se non estremamente limitate, con eclatante lesione dei diritti degli stessi che palesa un contrasto con il diritto UE tanto che è stata rimessa alla Corte di giustizia ue la questione se gli artt. 1, parr. 1, 2 e 3, e l’art. 2, par. 1, lett. b), della direttiva n. 89/665 CEE, avente ad oggetto il coordinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, ostino ad una normativa nazionale che riconosca la possibilità di impugnare gli atti di una procedura di gara ai soli operatori economici che abbiano presentato domanda di partecipazione alla gara stessa, anche qualora la domanda giudiziale sia volta a sindacare in radice la procedura, derivando dalla disciplina della gara un’altissima probabilità di non conseguire l’aggiudicazione [2].

Alla luce di quanto esposto è possibile fornire delle conclusioni.

Gli ultimi interventi legislativi in materia di appalti e orientamenti giurisprudenziali, anche se allo stato minoritari sono volti in una univoca direzione: ampliare l’interesse ad agire in una ottica non più esclusivamente finalistica di conseguimento del bene vita, ma di partecipazione concorrente. Si valorizza l’interesse strumentale che sembra più orientato ad una tutela della legalità, al corretto agere della Pa, che alla tutela del diritto o interesse legittimo a conseguire il bene vita finale. Si assiste allora ad una espansione di giurisdizione oggettiva vuoi esplicita vuoi occulta. Quanto più si ammette una anticipazione della tutela tanto più ci si allontana da una lesione attuale, reale e personale allo stesso modo di quanto viene previsto in materia di reati di pericolo.

A fronte di tale parallelismo ben si potrebbe dire che se in  ambito penale la pena è minore quanto più si è lontani da una lesione effettiva, in materia di tutela giurisdizionale la tutela di un interesse strumentale, quale quello partecipativo tende ad assimilare la legittimazione processuale, in chiave difensiva ex art. 24 Cost. ad una legittimazione procedimentale, in chiave meramente partecipativa ai sensi della legge 241/90 e pertanto, il risultato, non sarà il conseguimento del bene vita, ma il mutamento delle condizioni necessarie a garantire una concorrenza effettiva.

In tal senso, sarebbe opportuno una rimeditazione sul nostro sistema non più improntato, in via esclusiva, ad una giurisdizione soggettiva, ma concedendo spazi di tutela oggettiva che ormai sono comprovati anche da dati normativi (rito superaccelerato di cui all’art. 120 bis cpa, autotutela doverosa Anac ora abrogata, nullità clausole escludenti) purché se ne specifichino in modo determinato gli ambiti di elezione.

Secondo un’altra impostazione l’anticipazione della tutela, o meglio la tutela giurisdizionale azionata contro atti prodromici al provvedimento finale non va a convertire una giurisdizione soggettiva in una oggettiva tout court. Ma è pur vero che l’impugnativa di un atto endoprocedimentale come il bando di gara contenente clausole illegittime diverse da quelle escludenti sembra finalizzato al mero ripristino della legalità, atteggiandosi ad azione popolare del quisque de populo tipicamente oggettiva.

Questa impostazione deve essere calata nel panorama normativo attuale che impone di ampliare il concetto di bene vita non più meramente finale come può essere l’aggiudicazione, ma anche strumentale come può essere la partecipazione alla gara secondo le previsioni normative che assicurino una concorrenza effettiva. In tal senso, la partecipazione concorrente è un bene vita autonomo che per essere tutelato richiede una lesione effettiva ed attuale. La previsione nel bando di gara di criteri di aggiudicazione che non impediscono la partecipazione, ma condizionano la formulazione dell’offerta determinando un vulnus alla concorrenza sono suscettibili di immediata impugnativa, perché in questi termini sempre può dirsi integrato l’interesse ad agire. Senza revoche in dubbio,  sussiste uno stretto nesso di causalità tra l’aggiudicazione e la legge di gara. Se a monte la legge di gara è illegittima, essendo la stessa vincolante, non potrà che essere illegittima l’aggiudicazione a valle.

Pertanto, una previa impugnativa del bando consente un risparmio di spesa alla Pa che si vedrebbe, nel caso di aggiudicazione illegittima, caducare l’intera procedura. Dall’altra parte, il rischio di molteplici azioni che paralizzano la procedura ad evidenza pubblica è cogente. In tal senso, la rilevanza dell’interesse ad agire come personale, attuale e reale, seppur rispetto alla tutela della concorrenza e non all’aggiudicazione, consente di pervenire a sentenze di rito per inammissibilità del ricorso ove l’uso dello strumento processuale sia solo temerario.


[1] Cons. St., sez. III, ord., 7 novembre 2017, n. 5138;

[2] Tar Liguria, sez. II, ord., 29 marzo 2017, n. 263.


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Giulia Puglia

Nata nel 1988, si è laureata nell'anno accademico 2011/2012 presso l’Università degli Studi di Torino discutendo con il Prof. Paolo Ferrua una tesi in diritto processuale penale dal titolo “La nuova disciplina dei collaboratori di giustizia e la fase esecutiva", conseguendo la votazione di 110 e lode. Nel biennio 2014-2015 ha frequentato la Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II, con pregresso tirocinio di sei mesi presso il Tribunale ordinario di Torino e successivo svolgimento della pratica forense presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli. Conseguito il titolo per l'esercizio della professione forense nel settembre 2016

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