APPALTO: l’incompletezza delle dichiarazioni sui requisiti morali non comporta l’esclusione

APPALTO: l’incompletezza delle dichiarazioni sui requisiti morali non comporta l’esclusione

Consiglio di Stato, Sezione III, 4 novembre 2015, n. 5041

a cura di Claudia Tufano

In sede di gara per l’affidamento di un contratto di appalto di lavori, servizi e forniture da parte delle pubbliche amministrazioni, l’esclusione dei partecipanti è disposta non già per la mera incompletezza delle dichiarazioni relative alla sussistenza dei requisiti di moralità, che siano state rese con formule definitorie sintetiche anziché analitiche, ma solo quando i suddetti requisiti risultino effettivamente mancanti.

Il fatto

L’Asl di Bari indiceva una gara per l’affidamento del servizio di trasporto agli utenti diversamente abili presso i centri riabilitativi di tutti i Comuni della provincia di Bari, da assegnare secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Risultava vincitrice la società CA s.r.l. in raggruppamento temporaneo di imprese con le società mandanti AU. s.r.l. e BA. s.r.l.. La società TU. s.r.l., esclusa dall’aggiudicazione definitiva, impugnava la deliberazione con la quale l’Azienda Asl aveva assegnato l’appalto alla società CA., chiedendo ma non ottenendo, dai giudici di primo grado, l’annullamento dello stesso. Risultando soccombente in primo grado di giudizio, la società TU. decideva di proporre ricorso al Consiglio di Stato avverso la sentenza del TAR per la Puglia.

La decisione

Il Consiglio di Stato respingeva il ricorso dell’appellante. La società soccombente TU lamentava la violazione e falsa applicazione dell’art.38, comma 1, lett.c, del D.lgs. n.163/2006, deducendo che la dichiarazione dell’aggiudicataria in ordine al possesso dei cc.dd. requisiti morali era incompleta in quanto espressa con formula sintetica ed “onnicomprensiva”, e che, nella dichiarazione in questione era stato omesso lo specifico riferimento al mancato compimento dei fatti di reato ritenuti più gravi. Il Consiglio di Stato considerava il motivo di gravame infondato per vari motivi. In primo luogo era lo stesso Disciplinare di gara (all’art.10 lett. C) a consentire di formulare la dichiarazione di cui all’art.38 del codice degli appalti in modo onnicomprensivo, permettendo, cioè, di rendere dichiarazione con una formula sintetica, ma non perciò imprecisa, circa la inesistenza di tutte le cause di esclusione previste dalla norma, in conformità con il principio della libertà delle forme. Il secondo motivo per il quale risultava infondata la doglianza era relativo al principio di portata generale secondo cui, l’esclusione dalla gara va disposta non già per il semplice fatto della mera incompletezza della dichiarazione relativa alla sussistenza dei requisiti di moralità (fatto puramente formale), ma solamente nel caso in cui questi ultimi risultino effettivamente mancanti. Questo assunto si basa sulla possibilità che il dichiarante possa dimostrare di essere in possesso di tutti i requisiti morali, oltre a quelli richiesti dal bando, attraverso il ricorso ad appositi strumenti procedimentali a tal uopo previsti, come il c.d. soccorso istruttorio.  Grazie a tale strumento, disciplinato in via generale dall’art. 6 lett. b), l. 7 agosto 1990 n. 241, l’amministrazione può invitare il privato a completare o a fornire chiarimenti in ordine al contenuto dei certificati, documenti e dichiarazioni presentati, purché sussistano dichiarazioni in atti effettivamente rese, sebbene non in modo pienamente intellegibile o senza il rispetto dei requisiti formali. Tale istituto non può, però, operare in presenza di dichiarazioni del tutto omesse, in quanto in tal modo, l’amministrazione non colmerebbe una mera incompletezza documentale, ma si andrebbe a sostituire ad un onere che spettava esclusivamente alla parte. Nella fattispecie in esame, il Giudici di Palazzo Spada rilevavano l’inesistenza della mancanza assoluta dei documenti richiesti dal bando, seppure questi ultimi necessitavano di un’integrazione documentale tramite il meccanismo del “soccorso istruttorio”.

Altro motivo di doglianza rilevato dalla società appellante TU. riguardava la presunta genericità del contratto di avvalimento, sotto il profilo del c.d. quantum “prestato” e dei mezzi materiali messi a disposizione della c.d. società “ausiliata”, sottoscritti dalla società CA. con la società BA. s.r.l. e dalla società AU., anch’essa con la società BA. s.r.l.. Anche tale doglianza non era accolta dai giudici d’appello. Quando un’impresa intenda avvalersi mediante stipula di contratto di avvalimento dei requisiti finanziari di un’altra, come nel caso di specie, la prestazione specifica oggetto dell’obbligazione è costituita non dalla messa a disposizione di strutture organizzative e beni materiali da parte dell’impresa ausiliaria, ma dal suo impegno a garantire l’impresa ausiliata con le proprie complessive risorse economiche. In altre parole, ciò che viene prestato è il valore aggiunto in termini di solidità finanziaria e di acclarata esperienza nel settore, pertanto risulta irrilevante che la dichiarazione contrattuale si riferisca a specifici beni materiali da descrivere con precisione, essendo sufficiente che emerga l’impegno contrattuale della società ausiliaria di garantire, con la propria capacità finanziaria, l’impresa ausialata per tutta la durata dell’appalto. Il Consiglio, infatti, rilevava che nella fattispecie esaminata, non solo emergevano i requisiti poc’anzi esaminati per la validità del contratto di avvalimento, ma riscontrava anche la presenza di una specifica documentazione attinente alla dichiarazione del fatturato della società ausiliaria (società BA. s.r.l.), idoneo ad integrare il requisito finanziario richiesto dalla Stazione appaltante.

Ulteriore aspetto chiarito dai giudici d’appello, riguardava la portata dell’art. 49, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, in virtù del quale è vietato che un’impresa ausiliaria, di cui si avvale un concorrente, possa prestare i propri requisiti anche ad un altro concorrente. La società appellante, aveva, a tal proposito, lamentato la violazione della norma citata sulla base del fatto che, nel caso in esame, la società BA s.r.l. fungeva da impresa ausiliaria sia alla società CA (capogruppo) sia alla società AU. (mandante). Anche tale doglianza appariva, però, infondata, in quanto, considerare la norma censurata operativa anche all’interno di raggruppamenti di imprese (che sono tutt’al più in cooperazione tra loro e non in competizione) risultava una contraddizione con l’intera normativa in esame, che consente alle imprese di raggrupparsi proprio al fine di conseguire insieme risultati che da sole non sarebbero capaci di raggiungere.

L’ultimo motivo di gravame presentato dalla ricorrente era relativo alla violazione del c.d. “principio di corrispondenza fra quote di partecipazione, quote di qualificazione e quote di esecuzione” in base al quale “in capo ad ogni componente del medesimo raggruppamento temporaneo d’imprese dev’esservi una corrispondenza tra quote proporzionali di partecipazione al raggruppamento, quote proporzionali relative all’esecuzione della prestazione e quote proporzionali dei relativi requisiti finanziari” e nel caso di specie, le due società CA. e AU. avevano dichiarato di partecipare al raggruppamento per le quote, rispettivamente, del 50% e del 40%. Tuttavia, neppure tale doglianza veniva accolta dal Consiglio, il quale precisava che, il suddetto principio non era operante per la materia dei contratti pubblici di servizi, per i quali a carico dei raggruppamenti di imprese sopravvive esclusivamente l’obbligo di indicare in sede di offerta le parti del servizio da eseguirsi da ciascun operatore.

Alla luce di quanto esposto, il Consiglio di Stato respingeva il ricorso principale e dichiarava improcedibile quello incidentale, e compensava le spese processuali tra le parti costituite.


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Claudia Tufano

Nata a Napoli nel 1987, ha conseguito la laurea in giurisprudenza nel luglio 2012, presso l'Università degli studi Federico II di Napoli, discutendo una tesi in diritto amministrativo dal titolo "Commento alla sent. TAR Umbria n. 23/2010. L'abusivismo edilizio", relatore Prof. Lorenzo Liguori. Da novembre 2012 a maggio 2014 inizia il tirocinio forense presso uno studio legale, occupandosi prevalentemente di contenzioso amministrativo e civile. Nel luglio 2014 consegue il diploma presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali. Nel gennaio 2016 è abilitata all'esercizio della professione forense.

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