Applicazioni del principio di offensività: la truffa contrattuale a prestazioni equivalenti

Applicazioni del principio di offensività: la truffa contrattuale a prestazioni equivalenti

Sommario: 1. Il principio di offensività – 2. Distinzione reati in base all’offesa – 3. La truffa – 4. In particolare: la truffa contrattuale a prestazioni equivalenti – 5. La giurisprudenza

 

1. Il principio di offensività

Il principio di offensività subordina la sanzione penale all’offesa di un bene giuridico, tanto nella forma della lesione, quanto in quella dell’esposizione a pericolo.

Tale principio è di fondamentale importanza perché impedisce al legislatore e al giudice di poter punire in concreto tutti quegli atteggiamenti “interiori” a cui non segue una concreta lesione o messa in pericolo del bene (nullum crimen sine iniuria).

Sebbene non vi sia una norma specifica in tema di offensività, se ne può dedurre il rango costituzionale da altri referenti normativi cardine come: art. 13 Cost. che tutela la libertà persona, da cui discende che l’irrogazione di una sanzione penale può essere ammessa solo come reazione ad una condotta che offenda un bene di pari rango; art. 25 co. 2 Cost., che subordina la sanzione penale alla commissione di un fatto, sicchè è necessario che il legislatore punisca condotte materiali offensive; art. 27 co. 3 Cost. che, ancorando la sanzione penale alla rieducazione del condannato, sarebbe violato ove venissero punite mere violazioni di doveri o condotte non offensive di alcun bene.

Accanto alle indicazioni costituzionali, si registrano anche previsioni di rango primario che sanciscono la centralità del principio de quo nel sistema penale. In particolare, l’art. 49 co.2 c.p., esclude la punibilità quando per “l’inidoneità dell’azione o per l’inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso”.

2. Distinzione reati in base all’offesa

Sulla base dell’offesa al bene giuridico, la dottrina tende a dividere i reati in due categorie.

I reati plurioffensivi per la cui consumazione è richiesta la lesione di tutti i beni protetti. Paradigma di questa categoria è l’art. 628 c.p. (rapina), descritto come “impossessamento della cosa altrui mediante violenza o minaccia”, dove è necessaria non solo la lesione del patrimonio (leso dall’impossessamento) ma anche il diritto all’autodeterminazione (leso dalla violenza/minaccia).

Abbiamo poi una seconda categoria costituita dai c.d. reati plurioffensivi per la cui consumazione è sufficiente la lesione di uno solo dei beni presidiati. Esempio classico è quello del “peculato” (art. 314 c.p.), dove si sostiene la realizzazione anche con la mancanza di un danno patrimoniale conseguente all’appropriazione, essendo leso, dalla condotta dell’agente, l’altro interesse protetto dalla norma, il buon andamento della p.a.

3. La truffa

Si possono fare delle riflessioni molto interessanti in tema di rapporto tra consumazione del reato e offesa al bene giuridico, analizzando la figura della truffa (art. 640 c.p.) in particolare una sua declinazione: la c.d. “truffa contrattuale”, quando eseguita a prestazioni equivalenti. Per poter analizzare in maniera esaustiva gli aspetti problematici della stessa, occorre effettuare una breve disamina sulla figura generica di truffa.

La truffa è un reato che consiste nel fatto di chi, inducendo, con artifici o raggiri, taluno in errore, procura a sé o ad altri, un ingiusto profitto con altrui danno. Si tratta di un reato che si consuma in due momenti: la deminutio patrimonii (altrui danno) e l’iniusta locupletatio (ingiusto profitto).

Si tratta innanzitutto di un reato plurioffensivo e comune, potendo essere commesso da chiunque. Rientra tra le fattispecie a forma vincolata in quanto, ad essere incriminata, è la condotta di chi, ricorrendo ad “artifici o raggiri” induce taluno in errore, determinandolo al compimento di un atto di disposizione patrimoniale foriero di un profitto ingiusto per il truffatore e di un danno patrimoniale per la vittima.

Per “artificio” si intende la simulazione o dissimulazione della realtà esterna, atta ad indurre in errore una persona per effetto della percezione di una falsa apparenza. Per “raggiro” invece si intende una attività simulatrice sostenuta da parole o argomentazioni atte a far scambiare il falso con il vero e opera sulla psiche del soggetto.

L’elemento soggettivo richiesto è il dolo generico, con irrilevanza degli eventuali scopi perseguiti.

La consumazione, infine, si realizza con la compiuta integrazione di tutti gli elementi della fattispecie tipica, tra cui vi rientra, seppur indicato implicitamente, un “atto di disposizione patrimoniale” ad opera del soggetto passivo.

È proprio su quest’ultimo elemento che bisogna soffermarsi per poter analizzare l’aspetto problematico in relazione al principio di offensività e consumazione del reato.

4. In particolare: la truffa contrattuale a prestazioni equivalenti

La truffa contrattuale a prestazioni equivalenti si ha quando la truffa consiste nella stipula (tramite gli artifici e i raggiri) di un contratto, senza che però si determini un’alterazione patrimoniale in danno del soggetto indotto in errore.

Esempio classico è quello del soggetto che viene indotto fraudolentemente ad acquistare un bene, del quale, però, paga il giusto prezzo. Ci si chiede in tal caso se questa fattispecie integri o meno gli estremi della truffa penalmente sanzionata.

Un primo orientamento giurisprudenziale riteneva integrata la fattispecie de qua in quanto l’incriminazione della truffa protegge tanto il patrimonio della vittima, quanto la sua autonomia negoziale, intesa come libertà di addivenire o meno alla stipula dei contratti. Contratto che il soggetto passivo, senza gli artifici o i raggiri, non avrebbe stipulato.

La dottrina, contrariamente, partendo dal dato letterale (necessità di un “danno”) e dalla collocazione sistematica della norma (reati contro il patrimonio), riteneva che per potersi dire realizzata la truffa fosse necessaria la violazione del bene protetto dalla norma, vale a dire l’integrità patrimoniale del soggetto passivo della truffa.

La querelle tra dottrina e giurisprudenza, come si può notare, è frutto di una diversa interpretazione del significato di “danno” quale evento naturalistico della truffa. In particolare, si possono dare due configurazioni allo stesso: una concezione economica ed una giuridica.

Per la prima, il danno deve essere inteso come diminuzione patrimoniale, sia nella forma del lucro cessante (mancato guadagno) che in quella del danno emergente (perdite subite). Aderendo a tale concezione, risulta agevole comprendere che in caso di corrispondenza valoristica tra le prestazioni, non si perfeziona la truffa per mancanza di pregiudizio economico.

La concezione giuridica di danno, invece, è individuata nella perdita di una situazione favorevole o nell’acquisizione di una situazione sfavorevole, prescindendo dalla diminuzione patrimoniale. Ciò che rileva non è la circostanza che le prestazioni siano equivalenti, ma l’inutilità della prestazione eseguita dal soggetto passivo indotto a stipulare con artifici o raggiri.

5. La giurisprudenza

La giurisprudenza maggioritaria, pur ricostruendo il danno alla stregua della configurazione effettuata nella concezione economica, aderisce, di fatto, alla concezione giuridica, ritenendo perfezionato il reato anche se la stipula del contratto non abbia determinato in concreto un depauperamento.

Si è espressa in questi termini, di recente, la Cassazione (sez. II) n. 4039/2020: “Il professionista che con l’inganno fa credere al cliente di dover eseguire dei lavori (in realtà non occorrenti), inducendolo a sottoscrivere un preventivo ed a erogare un acconto senza poi eseguire quanto concordato né restituire il denaro ricevuto, risponde del delitto di truffa contrattuale, ciò in quanto la vittima si è determinato a contrarre nell’erronea convinzione della necessità delle opere, a nulla rilevando l’eventuale mancanza di diligenza da parte sua, risolvendosi in una mera deficienza di attenzione causata dalla fiducia ottenuta con artifizi e raggiri (nel caso di specie, il titolare di un’impresa idraulica aveva indotto un suo cliente a sottoscrivere un contratto e ad erogarli un acconto per la sostituzione della caldaia facendogli credere che la stessa non fosse più idonea all’uso)”.


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