Art. 131-bis c.p. e reato continuato

Art. 131-bis c.p. e reato continuato

Per l’effetto della entrata in vigore del D.Lgs. 28 del 2015, è stato inserito ex novo nel codice penale l’art. 131-bis, il quale al comma primo riserva preliminarmente il proprio ambito di applicazione ai soli reati per i quali è prevista una pena detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. La rispondenza a tali limiti sanzionatori rappresenta, tuttavia, soltanto la prima delle condizioni per l’esclusione della punibilità, che infatti richiede, congiuntamente, la particolare tenuità della offesa e la non abitualità del comportamento.

Con riferimento a quest’ultimo indice-criterio (così li definisce la relazione allegata allo schema di decreto legislativo), il terzo comma dell’art. 131-bis indica tre ipotesi in cui il comportamento “é abituale”, ovverosia quando: a) l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero b) abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui c) si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. La disposizione in parola ha dato adito a diversi problemi interpretativi, concernenti principalmente l’attribuzione di un significato preciso ai termini utilizzati dal legislatore e, nello specifico, non è agevole comprendere a cosa si riferisca l’aggettivo “reiterate”, nonché in cosa si distingua dal concetto di “plurime” e quale differenza intercorra fra l’ipotesi della commissione di più reati della stessa indole e le condotte “reiterate”.

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Proprio tali difficoltà ermeneutiche sono alla base di uno dei principali interrogativi circa la norma in questione, ossia la compatibilità della causa di esclusione della punibilità con la fattispecie del reato continuato.

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La questione è affrontata a più riprese dalla terza Sezione della Corte di Cassazione, la quale con una prima pronuncia (n. 29897/2015), sostiene che il terzo comma dell’art. 131-bis descriva soltanto alcune ipotesi di “presunzione di abitualità”, ampliando quindi il concetto stesso di “abitualità”, entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità. In questa occasione gli Ermellini hanno concluso, quindi, statuendo che “La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 – bis cod. pen. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un’ipotesi di ” comportamento abituale”, ostativa al riconoscimento del beneficio“. L’operazione ermeneutica operata dalla Corte non appare, tuttavia, pienamente condivisibile, in ragione della necessità, alla luce del principio del favor rei, di interpretare restrittivamente una norma -l’art. 131-bis comma 3 c.p.- che limita l’applicazione di un istituto che opera a favore dell’imputato.

Con una successiva pronuncia (n. 4756/2015), la stessa Terza sezione è giunta a conclusioni maggiormente, ma non ancora del tutto, convincenti. In questa occasione la Corte, operando una interpretazione della norma maggiormente restrittiva, ha cercato di comprendere entro quale delle ipotesi indicate all’art. 131-bis comma 3 c.p. si debba ricondurre il reato continuato. Ebbene, la predetta Corte ha escluso la possibilità di sussumere nell’ambito di applicabilità della causa di non punibilità, da un lato, quelle ipotesi di reato continuato che siano costituite da reiterazione di reati fra loro omogenei o, qualora i reati siano fra loro disomogenei, da almeno tre condotte autonomamente atte ad integrare il reato; dall’altro, il caso in cui il reo abbia già commesso più reati della stessa indole e sia dunque pregiudicato con sentenza irrevocabile per fatti aventi la medesima indole di quelli per i quali si procede.

Ciò posto, i principi espressi sono sicuramente condivisibili con riferimento al reato continuato costituito da condotte reiterate, essendo esse indicate al terzo comma dell’art. 131-bis c.p. come situazioni sintomatiche di abitualità del comportamento, ma non può non evidenziarsi che essi sembrano porsi in contrasto con la valutazione unitaria che la Corte (anche a sezioni unite) suggerisce in relazione al reato continuato.

Invero, il “medesimo disegno criminoso”, elemento che distingue l’ipotesi del concorso materiale da quella del reato continuato, implica l’unicità dello scopo che il reo si prefigge. Il motivo per cui il legislatore ha scelto di applicare a tale ipotesi il più favorevole sistema del c.d. cumulo giuridico risiede proprio nel fatto che nei reati continuati riscontriamo “non già più e diverse determinazioni criminose, ma una sola” (FIANDACA-MUSCO), il che dimostra minore inclinazione criminale di colui che realizza più reati con più scopi diversi.

Sulla scorta di tali osservazioni, autorevole dottrina (FIANDACA-MUSCO, ANTOLISEI) sostiene che l’istituto in questione debba essere considerato a certi fini come reato unico e a certi fini come reato plurimo. Precisamente, in considerazione della ratio legis, che è ispirata ad un trattamento di favore per il reo, va ritenuto reato unico per tutti quegli aspetti, come quello della operatività di una causa di non punibilità, che possono andare a favore del reo. Pertanto, l’automatismo tra continuazione e abitualità del comportamento criminoso appare incompatibile con la ratio sottesa al disposto dell’art. 81, comma 2, c.p.

Una più ragionevole soluzione, quindi, potrebbe essere quella di lasciare al giudice la possibilità di effettuare, nel caso di reato continuato, una valutazione caso per caso, così da pervenire a soluzioni ragionevoli, che tengano conto della eterogeneità dei casi che “entrano” nelle aule di Tribunale.

Concludiamo con un esempio emblematico: l’automatica esclusione del reato continuato dall’ambito di applicazione dell’art. 131-bis c.p. condurrebbe ad un proscioglimento per particolare tenuità del fatto di colui che commette il furto di due mele in un unico supermercato (un solo reato di furto) e, invece, alla condanna di chi commette, nello stesso giorno, per il medesimo motivo, due furti, ciascuno di una mela, ma in supermercati diversi (due furti unificati ex art. 81 cpv. c.p.). E’ evidente che anche nel secondo caso si sia in presenza di un reato bagatellare e che sarebbe pretestuoso erigere il vincolo della continuazione a circostanza ostativa all’operatività dell’art. 131-bis c.p.


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Umberto Martella

Praticante Avvocato
Laureato in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Perugia nel dicembre 2014, inizia subito a svolgere la pratica forense presso un importante studio legale ternano che si occupa prevalentemente di diritto penale. Da gennaio 2016, inoltre, frequenta la "Scuola Forense G. Gatti" di Perugia, che lo terrà impegnato fino alla fine dell'anno, quando dovrà affrontare l'esame di Stato per conseguire la qualifica di Avvocato.

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