Art. 4 Statuto dei Lavoratori: evoluzione normativa e non solo

Art. 4 Statuto dei Lavoratori: evoluzione normativa e non solo

L’articolo 4 dello Statuto dei Lavoratori è stato riformato dal c.d. “Jobs Act” (rectius dall’art. 23 del decreto legislativo n. 151/2015, in vigore dal 24 settembre 2015, attuativo del c.d. “Jobs Act”,  ovvero legge delega n. 183/2014, art. 1, comma 7, lett. f), che si riporta testualmente: «revisione della disciplina dei controlli a distanza sugli impianti e sugli strumenti di lavoro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive ed organizzative dell’impresa con la tutela della dignità e della riservatezza del lavoratore») che ha introdotto importanti modifiche rispetto alla possibilità del datore di lavoro di operare un controllo sull’attività lavorativa svolta dai propri dipendenti. A sua volta l’art. 4 comma 1,  terzo periodo  è stato nuovamente novellato dall’art. 5 c. 2 D.Lgs. n. 185/2016 (in vigore dal 8 ottobre 2016) contente disposizioni correttive ed integrative del D.Lgs. 151/2015.

Prima della riforma voluta dal Jobs Act, vigeva un divieto assoluto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Facevano eccezione a tale divieto i casi in cui  il datore di lavoro, per esigenze organizzative, produttive o di sicurezza del lavoro, intendesse installare nuove apparecchiature dalle quali potesse derivare un controllo a distanza dell’attività lavorativa dei dipendenti: in tal caso, era necessario il previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali o,  in mancanza, di un’autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro competente.

Nella vigenza della precedente disciplina vi erano stati numerosi pronunciamenti giurisprudenziali che hanno preso le mosse dalle norme a tutela della privacy.

In particolare si era raggiunto l’apice del dibattito sulla necessità o meno di subordinare eventuali controlli difensivi da parte del datore di lavoro, ovvero a tutela del proprio patrimonio aziendale, a procedure di autorizzazione sindacali o pubbliche.

Con la rivoluzione tecnologica degli ultimi anni  che ha toccato anche il mondo del lavoro (basti pensare all’avvento dei sistemi di comunicazione mobile che permettono un collegamento perenne a internet) si è sentita l’esigenza di aggiornare la normativa di fronte a mutate esigenze organizzative e produttive della impresa.

Già il Garante della Privacy aveva fatto da “apripista” fornendo indicazione con le linee guida del 1/3/2007 sull’utilizzo della posta elettronica e di internet.

Così, nella nuova versione dell’art.4  è stato eliminato l’esplicito divieto di controllo a distanza della prestazione lavorativa e, in luogo di esso, sono state individuate le condizioni e finalità per le quali è permesso l’utilizzo degli  strumenti che consentono un tale controllo.

Più precisamente, al primo comma si è specificato che  gli  impianti audiovisivi e di altri strumenti dai quali derivi anche  un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (ad esempio, gli impianti di videosorveglianza, sistemi di geolocalizzazione installati su veicoli utilizzati dai lavoratori, personal computers fissi e portatili e tablets utilizzati senza password da più lavoratori,  telefoni cellulari utilizzati senza codici personali da più lavoratori, centralino telefonico elettronico,  registratori di cassa elettronici etc.) possono essere utilizzati dall’imprenditore esclusivamente per esigenze di carattere organizzativo e produttivo, di sicurezza del lavoro e di tutela del patrimonio aziendale.

Pertanto, il controllo sull’attività del lavoratore –  non già del lavoratore –  consentito da tali applicativi deve essere solo “incidentale” e non può assumere i connotati di un monitoraggio prolungato e costante a dispregio della libertà e dignità del controllato, ancorché sia indispensabile per garantire adeguate modalità organizzative e produttive all’interno dell’azienda.

Inoltre, affinché la loro installazione ed il loro utilizzo sia considerato legittimo, è necessario che vi sia un accordo sindacale circa le modalità di utilizzo di tali apparecchiature (accordo stipulato con le RSA o le RSU o se si tratta di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione o in più regioni con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale).  Se tale accordo manca, il datore di lavoro deve ottenere la previa autorizzazione della  sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro o, per le imprese con più unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali dell’Ispettorato, della sede centrale dell’Ispettorato nazionale del lavoro.

Ne discende che, prima di installare ed utilizzare tali sistemi all’interno dell’impresa (non più i soli impianti audiovisivi come nella versione normativa precedente, ma anche tutti quegli “strumenti dai quali derivi la possibilità di controllare a distanza l’attività dei lavoratori), il datore di lavoro deve aver raggiunto un accordo con le rappresentanze sindacali o, quantomeno, aver ricevuto l’autorizzazione  pubblica:  in entrambi i casi, è prevista una verifica della legittimità e della correttezza dell’impiego di questi strumenti a tutela di tutti i lavoratori impiegati nell’impresa.

Altra novità importante è che, al secondo comma dell’art. 4 St.Lav., è stato precisato che le limitazioni e le procedure sopra descritte non si applicano con riferimento  all’utilizzo di altri strumenti che il datore di lavoro assegna ai propri dipendenti per lo svolgimento della prestazione lavorativa (ad esempio, computer, telefoni, tablets purché assegnati al singolo lavoratore o anche a più lavoratori ma con accesso personalizzato per ciascuno, carte di credito, telepass), nonché gli strumenti di rilevazione degli accessi (come ad es. nei centri di ricerca, progettazione e sperimentazione) e delle presenze (c.d. lettori badge), anche laddove dagli stessi, possa derivare potenzialmente la possibilità di un controllo a distanza del dipendente.   In questo caso, pertanto, non c’è l’obbligo per il datore di lavoro di raggiungere una intesa sindacale o di ottenere l’autorizzazione amministrativa: il controllo è libero e può essere effettuato anche senza un’esigenza organizzativa o produttiva. Pertanto, spetterà al singolo lavoratore verificare se il controllo è esercitato dall’imprenditore in modo legittimo ed eventualmente recarsi presso un sindacato o un legale per tutelare i propri diritti.

Anche per questi motivi, all’ultimo comma dell’art. 4 si è precisato che il datore di lavoro può utilizzare le informazioni raccolte attraverso l’esercizio del potere di controllo a distanza nonché con gli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione, per tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, purché  i lavoratori  siano informati adeguatamente circa le modalità con le quali devono essere utilizzati gli strumenti concessi in dotazione (es. se destinati ad un uso privato o lavorativo oppure promiscuo, se il loro utilizzo è tollerato o vietato all’interno dell’impresa),  le modalità con le quali verrà esercitato il controllo (indicazione dei nominativi dei soggetti preposti ai controlli; la periodicità o occasionalità; il tipo di programmi informatici utilizzati) e sempre nel rispetto di quanto disposto dal D.Lgs. n. 196/2003, c.d. codice della privacy (es. specificando le informazioni che sono oggetto di temporanea memorizzazione, la durata della conservazione dei dati etc.).

In questi casi, dunque, una volta che il datore di lavoro ha fornito ai propri dipendenti adeguate informative circa le discipline e regole aziendali inerenti l’utilizzo delle e-mail, dei telefoni cellulari, dei pc etc., sulle modalità di effettuazione dei controlli da parte dell’azienda, ed ha rispettato la normativa sulla privacy, gli elementi raccolti tramite tali apparecchiature potranno essere utilizzati anche al fine di verificare la diligenza del dipendente nell’adempimento dei propri obblighi, con evidenti risvolti disciplinari.

Qualora, però, il lavoratore non sia adeguatamente informato dell’esistenza e delle modalità d’uso delle apparecchiature di controllo e delle modalità di effettuazione dei controlli, i dati raccolti non saranno utilizzabili a nessun fine, nemmeno a scopo disciplinare.

Con il nuovo art. 4 dello Statuto dei lavoratori, quindi, è possibile adottare un licenziamento o una  sanzione disciplinare più lieve facendo uso  delle immagini o dei dati raccolti tramite strumenti di controllo a distanza.

Nulla è stato modificato in ordine al sistema sanzionatorio previsto dal combinato disposto degli articoli 171 e 172, D.Lgs. n. 196/2003 e dall’art. 38, legge n. 300/1970.

Di fronte ad un controllo sempre più pervasivo del datore di lavoro sull’attività dei propri dipendenti, incoraggiato anche dall’uso dei componenti hardware e software, che spesso costituiscono parte integrante degli strumenti utilizzati dai lavoratori sul luogo di lavoro, non si è fatto attendere l’intervento “correttivo”dell’Autorità Garante della Privacy.

Si segnala, infatti, una interessante Newsletter n. 424 del 17 febbraio 2017 pubblicata dall’Autorità, con la quale, tra le altre cose, è stato ribadito che l’accesso in maniera indiscriminata alla posta elettronica o ai dati personali contenuti negli smartphone in dotazione al personale, da parte del datore di lavoro, è un comportamento illecito.

In pratica, l’Autorità,  nel vietare ad una multinazionale l’ ulteriore utilizzo dei dati personali trattati in violazione di legge con l’unico limite di conservazione per la tutela dei diritti in sede giudiziaria, ha  riconosciuto la facoltà del datore di lavoro di verificare l’esatto adempimento della prestazione professionale ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte dei dipendenti ma nel rispetto della libertà e la dignità dei controllati. Tali controlli a distanza, in sostanza, ha affermato il Garante,  pure a seguito delle modifiche disposte con l’art. 23 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 151, non consentono “l’effettuazione di attività idonee a realizzare (anche indirettamente) il controllo massivo, prolungato e indiscriminato dell’attività del lavoratore“.

Tutto è nato perché il dipendente della multinazionale si era rivolto con un reclamo al Garante lamentando un illegittimo trattamento del datore di lavoro, che avrebbe acquisito delle informazioni anche private contenute nella e-mail e nel telefono aziendale, sia in costanza del rapporto di lavoro sia dopo il suo licenziamento. Dagli accertamenti effettuati dall’Autorità garante, la società aveva commesso numerose irregolarità, tra cui per quello che quivi interessa, l’aver effettuato una raccolta sistematica delle comunicazioni elettroniche in transito sugli account aziendali dei dipendenti in servizio, la loro memorizzazione per un periodo di dieci anni e con possibilità di accedervi attraverso una procedura che consentiva alla società di effettuare il controllo dell’attività dei dipendenti. Inoltre, poiché suddetta società consentiva l’uso di e- mail a scopo privato in orario non lavorativo, i sistemi utilizzati dalla stessa permettevano l’eventuale trattamento di dati non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del dipendente, nonché di dati sensibili in violazione dell’art. 8 della legge 20 maggio 1970 n.300 e 10 del D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 76 (sul punto è stata richiamata la pronuncia della Corte di Cassazione, 19.9.2016, n. 18302 che con riferimento alla violazione del menzionato art. 8 ha ritenuto che “acquisire e conservare dati che contengono (o possono contenere) simili informazioni importa già l’integrazione della condotta vietata“).

L’unica cosa certa è che l’evoluzione tecnologica non consente più la distinzione tra uno strumento di lavoro inerte (che non contenga al suo interno un impianto di controllo) e lo strumento che lo contenga (ormai, oggi, tutti gli strumenti di lavoro utilizzati contengono al loro interno apparecchi di controllo). Ex. nel sistema di rete vi è un firewall che consente di includere tutta l’attività svolta nella rete.

In effetti, non è un compito semplice catalogare i sistemi ed i software sempre più massicciamente presenti sui luoghi di lavoro, ovvero,  ricondurli nell’ambito degli “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa”, e dunque al di fuori dell’accordo sindacale o dell’autorizzazione amministrativa, oppure  inquadrarli in tutti quelli strumenti che consentono un controllo a distanza, per i quali la normativa statutaria prevede specifiche garanzie per il lavoratore.

Potrebbe verificarsi il caso in cui lo strumento attraverso il quale il lavoratore rende la propria prestazione venga modificato (ad esempio, con l’aggiunta di appositi software di localizzazione o filtraggio) per controllare il suo operato. Ecco che in tali casi ricorrerebbero le particolari esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale, la necessità di un accordo sindacale o l’autorizzazione previsti per gli impianti audiovisivi e per tutti gli altri strumenti che consentono un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.

Un caso simile è stato affrontato sempre dal Garante della Privacy  in una decisione assunta in data 13 luglio 2016, ove ha stabilito che “verifiche indiscriminate sulla posta elettronica e sulla navigazione web del personale sono in contrasto con il Codice della Privacy e con lo Statuto dei Lavoratori“. Il caso è sorto a seguito di una denuncia effettuata dal personale amministrativo e docente di una Università per la violazione della propria privacy e per il controllo a distanza posto in essere dall’Ateneo, in quanto l’infrastruttura ivi presente consentiva una verifica costante e indiscriminata degli accessi degli utenti alla rete e all’e-mail (tramite tracciamento puntuale degli indirizzi internet e degli identificativi hardware dei pc assegnanti ai dipendenti), utilizzando strumenti operanti in background, con modalità non percepibili per gli utenti.

E’ stato così ritenuto illecito il trattamento dei dati personali raccolti dall’Ateneo attraverso un sistema che consentiva controlli eccessivamente invasivi con pregiudizio dei diritti dei lavoratori, che avrebbero trovato una giustificazione  solo in casi limite (malfunzionamenti o virus).

Da ultimo, per ciò che attiene l’impiego della video sorveglianza, si segnala la nota 4619 del 24 maggio 2017  dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro,  con la quale sono stati forniti alcuni chiarimenti.

Di seguito i punti  essenziali.

1) la procedura autorizzativa dell’Ispettorato territoriale del Lavoro è successiva al mancato accordo verificatosi in sede aziendale con gli organismi sindacali interni, dal momento che l’accordo con le rappresentanze aziendali costituisce il percorso preferenziale previsto dal Legislatore per l’installazione degli strumenti indicati dalla disposizione.

2)  l’autorizzazione rilasciata dall’Ispettorato Territoriale del Lavoro può essere sostituita da un successivo accordo sindacale poiché anche laddove sia stato rilasciato il provvedimento autorizzatorio per i sistemi di controllo a distanza da parte dell’Ispettorato competente, in seguito a mancato accordo sindacale, l’autorizzazione in parola possa comunque essere sempre sostituita da un successivo accordo.

3) le organizzazioni sindacali deputate al raggiungimento dell’accordo sono la RSU o la RSA e ed i soggetti coinvolti nella contrattazione c.d. di prossimità ex art. 8, D.L. n. 138/2011, ovvero le associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale per la sottoscrizione di contratti a livello aziendale o territoriale. Invero,  l’art. 8 del citato D.L. n. 138/2011 trova applicazione solo in presenza di determinate finalità, fra le quali la “maggiore occupazione, la qualità dei contratti di lavoro, l’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, l’emersione del lavoro irregolare, gli incrementi di competitività e di salario (ecc.)

4) le intese raggiunte ex art. 8, comma 2, della legge n. 148/2011 in materia di video sorveglianza, sotto forma di contratti a livello aziendale o territoriale da parte di associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale, debbono trovare il proprio fondamento negli obiettivi indicati al comma 1 e nel rispetto dei vincoli stabiliti dal comma 2 bis della medesima disposizione, nonché della Costituzione, delle norme comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia di lavoro. In assenza di tali presupposti trovano sempre applicazione i dettami dell’art. 4 della L. n. 300/1970.

5) l’accordo viene ritenuto valido se raggiunto con la sola maggioranza della RSA.

Tale nota è importante, in quanto ribadisce il concetto – se mai ve ne fosse stato il bisogno – della preferenza accordata dal Legislatore alle rappresentanze sindacali unitarie o aziendale (o alle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale) rispetto alle decisioni dell’Ispettorato, nel riscontrare se gli impianti audiovisivi di cui il datore di lavoro intende avvalersi abbiano o meno l’idoneità a ledere la dignità dei lavoratori per la loro potenzialità di controllo a distanza ovvero la loro effettiva rispondenza alle esigenze tecnico-produttive o di sicurezza, così da disciplinarne, mediante l’accordo collettivo, le modalità e le condizioni d’uso.

Un quesito è d’obbligo: tale apertura agli accordi collettivi può spingersi fino a consentire ad un accordo sindacale (inizialmente assente) di recuperare, in un secondo momento, sistemi di controllo a distanza di cui è stata negata l’autorizzazione dall’Ispettorato, così da esautorare l’Istituzione di ogni crisma di autorevolezza?


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Avv. Tommaso Modesti

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