Auto usate con tachimetro manomesso: truffa contrattuale o frode in commercio?

Auto usate con tachimetro manomesso: truffa contrattuale o frode in commercio?

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 maggio 2018, n. 24027

Accusato e condannato per truffa un venditore di auto usate che aveva manomesso l’indicazione del tachimetro riducendo notevolmente i chilometri di una BMW venduta ad un prezzo notevolmente maggiore rispetto a quello che sarebbe stato il reale valore della vettura. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna riqualificando però il fatto come frode in commercio ex art. 515 c.p. e rideterminando dunque la sanzione.

La Suprema Corte ha già stabilito la differenza tra la truffa contrattuale ed il reato di frode in commercio, precisando che la truffa si concretizza quando l’inganno perpetrato nei confronti della parte offesa è stato determinante per la conclusione del contratto, mentre la frode in commercio si perfeziona nel caso di consegna di una cosa diversa da quella dichiarata o pattuita, ma sul presupposto di un vincolo contrattuale costituito liberamente senza il concorso di raggiri o artifici (cfr. Sez. 3, n. 40271 del 16/07/2015, Manconi, Rv. 265163).

Secondo quanto ricostruito dalle sentenze di merito nel caso di specie, le modalità della condotta posta in essere dall’imputato, assumono le caratteristiche degli artifici e raggiri: la manomissione degli strumenti di misurazione dei chilometri percorsi dell’auto offerta in vendita, benché non commessa dallo stesso imputato, ma certamente dallo stesso conosciuta e taciuta nel corso delle trattative ed il prezzo di vendita stabilito in relazione all’apparente minore chilometraggio percorso dall’auto (129.000 chilometri). In tal modo il venditore aveva lucrato la consistente differenza di prezzo rispetto al valore di mercato di un autoveicolo BMW che aveva nella realtà percorso oltre 200 mila chilometri.

La Corte ha così riqualificato i fatti in truffa contrattuale, riqualificazione certamente favorevole all’imputato, in quanto mentre il delitto di frode in commercio, benché punito con una pena edittale meno grave, è procedibile d’ufficio, quello di truffa risulta procedibile solo a querela.

Ebbene, nel caso di specie, la querela era stata rimessa e ciò ha comportato l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per essere il reato ascritto, qualificato come violazione dell’art. 640 c.p., estinto per remissione della querela.


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