Autonoma risarcibilità del danno conseguente alla mancata acquisizione del consenso informato

Autonoma risarcibilità del danno conseguente alla mancata acquisizione del consenso informato

Cassazione Civile, ordinanza del 15 maggio 2018, n. 11749

Il Supremo Consesso ha statuito che la mancata acquisizione del consenso informato da parte del sanitario comporta una lesione del diritto fondamentale all’autodeterminazione derivandone, secondo il principio “id quod plerumque accidit“, un danno-conseguenza autonomamente risarcibile costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sé sia psichicamente che fisicamente.

Il fatto

La Suprema Corte è stata adita dalla parte del paziente soccombente del procedimento di appello il quale si è visto respingere la domanda spiegata dei confronti del chirurgo e della società di gestione della casa di cura ove è stato sottoposto a intervento di chirurgia oftalmica ossia “cataratta sottocapsulare all’occhio sinistro”, sfociata in trapianto di cornea.

Tale domanda aveva ad oggetto la richiesta di condanna al risarcimento dei danni patiti in seguito al suddetto intervento per la violazione, da parte del predetto medico, dell’obbligo di renderlo edotto, tramite il consenso informato, del tipo di intervento, dei suoi rischi e delle possibili complicanze.

La Corte territorialmente competente ha inteso rigettare l’impugnazione pur rilevando che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, l’appellante aveva tempestivamente allegato che, ove fosse stato adeguatamente informato dei rischi connessi all’intervento, si sarebbe rifiutato di sottoporvisi.

In proposito, la Corte di Appello ha ritenuto che non fosse stata criticata la sentenza impugnata nè nella parte in cui aveva ritenuto che l’attore non avesse dato la prova che egli avrebbe rifiutato il suo consenso all’intervento qualora fosse stato debitamente informato dei rischi e delle possibili complicanze nè nella parte in cui aveva escluso che tale circostanza potesse ritenersi dimostrata sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti; inoltre ha ritenuto che l’appellante non avesse indicato i pregiudizi non patrimoniali subiti in seguito alla mancanza di informazione, nè avesse chiarito in cosa fossero consistite le “sofferenze fisiche e psichiche” genericamente allegate quale conseguenza del deficit informativo.

Cosa si intendente per diritto di autodeterminazione

A norma dell’articolo 32 della Costituzione “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana

In una prima prospettiva, la norma conferisce ai singoli il diritto soggettivo alla salute, da considerarsi quale diritto a non subire lesioni della propria integrità psico-fisica che viene intesa come lo stato di benessere complessivo della persona, come diritto di libertà individuale, diritto di difesa o oppositivo.

Il comma secondo, prevede la non obbligatorietà a sottoporsi ad un determinato trattamento sanitario ciò in quanto la legge non può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana se non per disposizione di legge.

Nasce, da ciò, il problema dei trattamenti sanitari obbligatori strettamente connesso al riconoscimento del diritto alla salute come diritto di libertà, in quanto la regola è quella della libertà di rifiuto dei trattamenti sanitari ovvero della volontarietà del trattamento.

La pacifica manifestazione di tale diritto trova estensione nel c. d. consenso informato inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico.

Lo stesso (medico), così per come previsto dal codice di Deontologia Medica, “non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente”.

Tale consenso nel nostro sistema ordinamentale è oggi contemplato dalla L. n. 219 del 2017, articolo 1, il quale tutela espressamente il diritto all’autodeterminazione della persona e regola le modalità di ricezione delle informazioni e di espressione e documentazione del consenso.

Pertanto, in capo al sanitario grava l’obbligo di acquisire il consenso informato del paziente in quanto senza la preventiva acquisizione di tale consenso, l’intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, illecito, anche quando è nell’interesse del paziente (Cass. 16/10/2007, n.21748).

Il medico ha pertanto il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento nonchè in ordine alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili.

La pronuncia

La Corte inizia la propria analisi precisando che mentre la responsabilità per lesione del diritto alla salute, consegue all’inesatta esecuzione della prestazione medico-terapeutica, può configurarsi anche in presenza di consenso consapevole, la responsabilità per lesione del diritto all’autodeterminazione, conseguente alla violazione del dovere di informazione, può configurarsi anche in assenza di danno alla salute allorquando l’intervento terapeutico abbia un esito assolutamente positivo (Cass. 12/06/2015, n. 12505).

In estrema sintesi, diversi sono i diritti fondamentali, tutelati entrambi costituzionalmente, garantiti.

Ciò detto è il caso di ricordare che non è da escludersi che la lesione della salute sia causalmente collegabile alla violazione dell’obbligo informativo.

Quanto suddetto si verifica nell’ipotesi in cui l’intervento sanitario, non preceduto da un’adeguata informazione del paziente circa i possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, sia stato correttamente eseguito ma da esso siano tuttavia derivate conseguenze dannose per la salute.

In tal caso la violazione del dovere di informazione non determina soltanto il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sè considerato, ma anche il danno alla salute riconducibile alla mancata corretta informazione atteso che si possa ragionevolmente ritenere che, se questa fosse stata data, il paziente avrebbe deciso di non sottoporsi all’intervento e di non subirne le conseguenze invalidanti (Cass. 16/05/2013, n. 11950).

In tal caso è necessario dimostrare il nesso causale esistente tra il danno subito e la violazione.

Questa prova non è invece necessaria ai fini dell’autonoma risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione in sè considerato in quanto “la struttura di tale illecito deve essere ricostruita sulla base della necessaria distinzione, di rilievo generale in tema di fatto illecito civile, contrattuale o extracontrattuale, tra l’individuazione dell’evento che lo integra (c.d. danno-evento) e quella delle sue conseguenze dannose (c.d. danno-conseguenza), che fanno sorgere il diritto alla riparazione”.

Più analiticamente, la Corte ha tipizzato, riprendendo un ormai consolidato orientamento giurisprudenziale (Cassazione 12/06/2015, n. 12505 e Cassazione 05/07/2017, n. 16503), le conseguenze dannose derivanti della violazione dell’obbligo informativo.

Pertanto, oggi è possibili affermare che le stesse sono rappresentate:

“a) dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di sè stesso, psichicamente e fisicamente, patite dal paziente in ragione dello svolgimento dell’intervento medico sulla sua persona, durante la sua esecuzione e nella relativa convalescenza;

b) eventualmente, dalla diminuzione che lo stato del paziente subisce a livello fisico per effetto dell’attività demolitoria, che abbia eliminato, sebbene ai fini terapeutici, parti del corpo o la funzionalità di esse: poichè tale diminuzione si sarebbe potuta verificare solo se assentita sulla base dell’informazione dovuta e si è verificata in mancanza di essa, si tratta di conseguenza oggettivamente dannosa, che si deve apprezzare come danno-conseguenza indipendentemente dalla sua utilità rispetto al bene della salute del paziente, che è bene diverso dal diritto di autodeterminarsi rispetto alla propria persona;

c) eventualmente, dalle “perdite” relative ad aspetti della salute, con riferimento alla possibilità che, se il consenso fosse stato richiesto, il paziente avrebbe potuto determinarsi a rivolgersi ad altra struttura e ad altro medico, qualora si riveli che sarebbe stata possibile in relazione alla patologia l’esecuzione di altro intervento meno demolitorio o determinativo di minore sofferenza”.

La ratio di quanto statuito risiede nel fatto che la mancata informazione determina in capo al paziente la perdita della possibilità di esercitare consapevolmente una serie di scelte, tra cui quella di non sottoporsi all’intervento, quella di non sottoporvisi immediatamente o quella di indirizzarsi altrove per la sua esecuzione.

Non vi sono dubbi sul fatto che la perdita della possibilità di esercitare tutte queste opzioni comporta la privazione della libertà del paziente di autodeterminarsi a livello sia fisico che psichico.

Applicando queste considerazioni generali al caso di specie prospettato alla valutazione della Corte Suprema, pur ritenendo corretto quanto statuito in sede di appello con riferimento alla esclusione della risarcibilità del danno da lesione del diritto alla salute derivato dalla violazione dell’obbligo di acquisizione del consenso informato, la stessa ha ritenuto censurabile la medesima decisione nella parte in cui ha escluso la risarcibilità del danno da lesione del diritto all’autodeterminazione autonomamente considerato con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinviando alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione.

A tale conclusione è giunta attraverso la considerazione che vi sia stata la violazione dell’obbligo di acquisizione del consenso informato nei confronti dell’allora paziente, specificando che in relazione al danno-conseguenza, costituito dalla sofferenza e dalla contrazione della libertà di disporre di se stesso, non occorre fornire alcuna prova specifica.


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