Autoriciclaggio: la controversa ipotesi di realizzazione plurisoggettiva

Autoriciclaggio: la controversa ipotesi di realizzazione plurisoggettiva

Il concorrente extraneus che prende parte alla fase di “ripulitura” dei proventi risponde a titolo differenziato rispetto all’autore del delitto-presupposto non colposo.

Il rischio di un “paradosso punitivo”

Premessa. Sotto il profilo applicativo, la fattispecie di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter.1 c.p., inserita nel nostro ordinamento giuridico a partire dal primo gennaio 2015 e inquadrabile in un più generale sistema di misure di contrasto all’inquinamento del mercato, risulta tutt’altro che priva di rilievi critici; primo fra questi, quello della controversa ipotesi di concorso del terzo (extraneus) nel reato (proprio). Giova precisare che la soluzione della problematica in esame ha un’indubbia rilevanza pratica, considerato che l’autore del reato-presupposto (quello dal quale provengono ‹‹il denaro, i beni o le altre utilità››) ben difficilmente realizza il fatto in forma monosoggettiva, ricorrendo il più delle volte a un terzo riciclatore che si occupi di destinare i proventi dell’illecito ad attività di sostituzione, trasferimento o impiego finalisticamente produttivo – si pensi, ad esempio, a un’associazione criminale che si affidi a un professionista terzo per il reinvestimento delle somme provenienti dai delitti a monte.

Questione. Stante la scelta del legislatore di riservare alla fattispecie in esame un trattamento sanzionatorio relativamente benevolo (reclusione da due a otto anni) in confronto alle contigue fattispecie di cui agli artt. 648 bis e 648 ter c.p., resta da capire come assicurare il rispetto delle esigenze di politica criminale generatrici della nuova figura criminosa nell’ipotesi di realizzazione plurisoggettiva del delitto. Invero, il rischio paventato dalla dottrina è quello del “paradosso punitivo” che si avrebbe in caso di applicazione dell’art. 117 c.p. con mutamento del titolo di reato in capo al concorrente extraneus, il quale sarebbe chiamato a rispondere, a titolo di concorso, del “meno grave” delitto di autoriciclaggio, laddove, prima dell’introduzione dell’art. 648 ter.1 c.p., il medesimo fatto avrebbe integrato gli estremi della fattispecie di riciclaggio (o, in alternativa, di impiego ex art. 648 ter c.p.) punita più severamente; così facendo, il terzo beneficerebbe di un favor sanzionatorio che il legislatore ha previsto in ragione del minor disvalore che anima la condotta incriminata dalla nuova norma, ma (solo!) se posta in essere dal responsabile del delitto-presupposto. Il rischio da scongiurare, dunque, è quello di un “deragliamento” della fattispecie di nuovo conio rispetto all’intento riformatore, con un inspiegabile indebolimento della risposta sanzionatoria rispetto all’extraneus (riciclatore) dal quale si genererebbe un vero e proprio cortocircuito nella lotta al fenomeno “riciclatorio”.

La soluzione proposta dagli Ermellini

Massima. – Nell’ottica di una decisa tutela delle esigenze di diritto sostanziale poste a base del superamento dell’ormai anacronistico privilegio di autoriciclaggio, è intervenuta in maniera dirompente la Suprema Corte con la sentenza n. 17235 del 17 gennaio 2018, optando per la differenziazione dei titoli di reato tra intraneus ed extraneus, a prescindere dalla tipologia di apporto fornito dal concorrente. A tal proposito, il Collegio ha ritenuto che ‹‹nel rispetto della ratio che ha ispirato l’inserimento nel codice penale dell’art. 648 ter.1 […] il soggetto il quale, non avendo concorso nel delitto-presupposto non colposo, ponga in essere la condotta tipica di autoriciclaggio, o comunque contribuisca alla realizzazione da parte dell’intraneus delle condotte tipizzate dall’art. 648 ter.1 c.p., continui a rispondere del reato di riciclaggio ex art. 648 bis c.p. (ovvero, ricorrendone i presupposti, di quello contemplato dall’art. 648 ter c.p.) e non di concorso (a seconda dei casi, ex artt. 110 o 117 c.p.) nel (meno grave) delitto di autoriciclaggio ex art. 648 ter.1 c.p.›› .

Iter argomentativo. – La dirimente pronuncia cui è giunta la Cassazione prende le mosse dal massiccio ricorso a parallelismi normativi con fattispecie definite “a soggettività ristretta”, le quali prevedono una differenziazione dei titoli di reato in relazione a condotte latu sensu concorrenti: tra queste, l’evasione rispetto alla procurata evasione, l’infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale di cui all’art. 578 c.p. e l’interruzione di gravidanza ex art. 19 della L. n. 194/1978. Soffermandoci sul caso esemplificativo offerto dagli artt. 385 e 386 c.p., la meno severa pena cui va incontro l’evasore rispetto al terzo che lo agevola si giustifica in ragione del diverso grado di colpevolezza che investe i due individui: l’istintiva tendenza alla libertà incide in chiave di attenuazione sulla rimproverabilità soggettiva del recluso, mentre ciò non può dirsi con riferimento a chi non si trovi ristretto in carcere. In senso analogo, la peculiare condizione psicologica di chi (autore del delitto-presupposto) intende utilizzare con modalità dissimulatrice quanto ha ottenuto in modo illecito giustifica un trattamento sanzionatorio più lieve in ragione dell’istintiva esigenza di voler allontanare le indagini da sé, il che rende meno riprovevole la condotta dal punto di vista soggettivo.

Lo sviluppo logico-argomentativo della sentenza in parola affonda chiaramente le sue radici nell’esigenza di garantire uno spazio di salvaguardia a un principio, quello del nemo tenetur se detegere, che per anni aveva rappresentato un ostacolo decisivo all’incriminazione delle condotte di self-laundering, per poi cedere il passo a esigenze pratiche di politica criminale. Il soggetto che cerchi di sottrarsi alle conseguenze negative di una precedente condotta illecita mediante operazioni di ripulitura dei proventi, infatti, è perseguibile ai sensi dell’art. 648 ter.1 c.p. solo in ragione dello spostamento del baricentro di tutela e dell’individuazione del regolare gioco concorrenziale quale ulteriore e principale bene giuridico leso dalle condotte auto-riciclatorie. Orbene, l’intervento riformatore del 2015, pur rispettoso dei principi cardine del nostro ordinamento giuridico, si ferma a metà strada dal punto di vista sanzionatorio: se da un lato, infatti, viene riconosciuta autonoma rilevanza penale a condotte ben lontane dal concetto di post factum non punibile, dall’altro, le medesime si ritengono comunque “meno gravi” rispetto a quelle, parimenti riciclatorie, poste in essere dal soggetto che non sia né autore né coautore del delitto a monte.

Critiche. Parte della dottrina si è scagliata contro la soluzione offerta dalla Suprema Corte, rea di aver operato un’ingiustificata forzatura del dato normativo nel punire a titolo di riciclaggio (o di impiego) anche condotte di mera agevolazione all’autoriciclaggio che, come tali, rimarrebbero fuori dai confini di tipicità tracciati dall’art. 648 bis c.p. (o 648 ter), nonché di essere ricorsa a parallelismi con fattispecie che (esse sì) prevedono espressamente una differenziazione del trattamento sanzionatorio tra intraneus ed extraneus.

La soluzione auspicata dagli studiosi in materia si muove nel senso della regolamentazione legislativa dell’ipotesi di concorso del terzo nel reato proprio, sulla scorta del modello offerto dal citato art. 578 del codice penale.


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Jacopo Palermo

Laureatosi in giurisprudenza presso l'Università di Roma "Tor Vergata" con una tesi in diritto penale, attualmente collabora come praticante avvocato del Foro di Roma in uno Studio legale specializzato nella materia penalistica e svolge lo stage teorico-pratico ex art. 73 D.L. 69/2013 presso la Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma. Quale giovane redattore, collabora con alcune riviste scientifiche di informazione giuridica.

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