Bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Bancarotta fraudolenta e sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte

Cass. Pen., sez. III, 27 gennaio 2016, n. 3539

a cura di Antonio Caiazzo

Sussiste concorso formale tra i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte. Le motivazioni della Cassazione non convincono.

Con sentenza n. 3539/2016, la Terza sezione della Suprema Corte di Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi sulla controversa questione del concorso formale tra il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, previsto dall’art. 216 co. 1 L. Fall., e quello di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, punito dall’art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, ritenendo peraltro non necessario provocare, nonostante la sussistenza di due opposti orientamenti giurisprudenziali, l’intervento delle SS.UU., così come peraltro espressamente richiesto dalla difesa del ricorrente.

In particolare, nella sentenza in commento, i giudici di piazza Cavour hanno ritenuto di dover aderire a quell’orientamento di legittimità, inaugurato con la sentenza n. 1843/2011, secondo il quale sussisterebbe tra i reati succitati un concorso formale e non apparente, che ne consentirebbe dunque l’imputazione ai sensi dell’art. 81 co. 1 c.p.

Il caso sottoposto alla valutazione dei giudici di legittimità concerneva la vicenda di un imprenditore udinese che, nelle more del processo dibattimentale instaurato dinanzi al Tribunale di Udine per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, vedeva emettere nei propri confronti dal GIP del medesimo tribunale, per il diverso reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, un decreto di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, avente a oggetto beni in ipotesi accusatoria sottratti alla società fallita. Avverso tale provvedimento cautelare, la difesa dell’indagato ricorreva al Tribunale del riesame di Udine, affinché questi pronunciasse l’impromovibilità del procedimento a quo per violazione del principio del ne bis in idem, essendo già stata promossa, nei propri confronti e per i medesimi fatti, l’azione penale per il diverso reato di bancarotta fraudolenta. I giudici del capoluogo friulano, tuttavia, rigettavano l’istanza concludendo per la configurabilità di un concorso formale tra i contestati reati e, quindi, per la loro contestabilità in due procedimenti giudiziari distinti, nonostante la clausola di riserva espressamente prevista dalla formulazione originaria dell’art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, in vigore al momento della realizzazione delle condotte distrattive.

Investita della questione, la Suprema Corte di Cassazione ha innanzitutto ripercorso i termini del contrasto giurisprudenziale esistente sulla configurabilità o meno di un concorso formale tra i succitati delitti allorquando essi concernano condotte distrattive realizzate da un contribuente imprenditore dichiarato successivamente fallito, ritenendo in conclusione di dover aderire all’orientamento di legittimità secondo il quale, considerate la diversità strutturale delle fattispecie astratte punite nonché l’eterogeneità dei beni giuridici tutelati, sussisterebbe un concorso formale e non apparente tra il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale e quello di sottrazione fraudolenta di beni al pagamento d’imposte, che escluderebbe dunque l’imputabilità del solo reato fallimentare ai sensi dell’art. 15 c.p. ovvero dell’art. 84 c.p., consentendo pertanto la contestazione, per i medesimi fatti, anche del reato fiscale, finanche in un distinto e successivo procedimento giurisdizionale, ai sensi dell’art. 81 c.p.

I giudici di legittimità hanno, infatti, evidenziato come, in caso di concorso tra l’art. 216 co. 1 L.Fall. e l’art. 11 D.Lgs. 74/2000, non risulti innanzitutto ravvisabile il requisito della regolamentazione della “stessa materia” da parte delle norme penali in conflitto, richiesto dall’art. 15 c.p. ai fini dell’applicazione del solo reato che risulti strutturalmente speciale tra quelli concorrenti. In particolare, secondo gli Ermellini, l’eterogeneità delle materie disciplinate dal reato di sottrazione fraudolenta al pagamento d’imposta e dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale sarebbe deducibile: dalla diversità della natura giuridica oggettiva dei reati succitati, di pericolo per il reato fiscale e di danno per quello fallimentare; dal differente elemento psicologico punito, dolo specifico per il reato fiscale e dolo generico per quello fallimentare; infine, dall’eterogeneità dei beni giuridici tutelati dai predetti delitti, essendo il primo preposto a sanzionare condotte che pregiudichino l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva dei crediti erariali, il secondo a salvaguardare l’interesse del ceto creditorio di massa dell’impresa al soddisfacimento dei propri singoli crediti.

L’applicabilità al conflitto normativo in esame dell’art. 84 c.p. sarebbe invece da escludersi, secondo i giudici di legittimità, in ragione della chiara diversità della trama lessicale dei due enunciati normativi predisposti dall’art. 216 co. 1 L.Fall. e dall’art. 11 D.Lgs. n. 74/2000, nonché della <<profonda diversità della configurazione della soggettività attiva, più ristretta in quello di bancarotta fraudolenta (…), più ampia in quello fiscale, essendo astrattamente riferibile a ogni contribuente, ancorché non imprenditore o normativamente assimilato>>.

Infine, secondo la Suprema Corte, tali considerazioni indurrebbero altresì a escludere che l’applicabilità del solo reato fallimentare sia sostenibile alla luce della clausola di sussidiarietà applicativa prevista dalla formulazione originaria del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, atteso che, secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, la clausola di riserva “salvo che il fatto costituisca più grave reato” troverebbe applicazione nella sola ipotesi di concorso tra reati posti a tutela dello stesso bene giuridico.

In conclusione, sia comunque consentito, a chi scrive, di segnalare come le argomentazioni poste dalla Corte a sostegno del concorso formale tra i due reati in esame non convincano pienamente.

Nella sentenza in commento, infatti, il concorso formale tra i reati in esame e dunque l’inapplicabilità della regola di risoluzione dei conflitti tra norme penali sancite dagli artt. 15 e 84 c.p. viene innanzitutto sostenuta dai giudici della Terza sezione della Corte di Cassazione sulla base di una presunta differenza strutturale tra la natura giuridica del reato di sottrazione fraudolenta di beni al pagamento di imposte, ritenuta di pericolo, e quella del reato di bancarotta patrimoniale, individuata troppo frettolosamente in quella di reato d’evento, dimenticando, tuttavia, come l’annosa questione della natura di tale reato fallimentare impegni da molto tempo la giurisprudenza della Corte di legittimità, che sembrerebbe comunque essersi invece progressivamente assestata verso una lettura della fattispecie prevista dall’art. 216 co. 1 L.Fall. come reato non di evento ma di condotta e di pericolo, sorretto dal dolo generico, al cui oggetto rimarrebbe estranea non solo la sentenza dichiarativa di fallimento, ma anche lo stato d’insolvenza o di dissesto che ne costituiscono il presupposto.

Inoltre, giova ricordare come le differenze strutturali individuate dalla Corte per affermare, nella sentenza in esame, la sussistenza di concorso formale tra il reato fiscale e quello fallimentare, attinenti al grado dell’offesa punita (pericolo o danno) e dell’elemento psicologico (dolo generico o specifico) sanzionato da questi ultimi, siano invece state sempre considerate dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza di legittimità quali elementi indicativi – a fronte della punizione, da parte di due distinti reati, di modalità astratte di aggressione di uno stesso bene giuridico, in parte o totalmente sovrapponibili (come nel caso di specie) – della sussistenza di un rapporto di specialità o di continenza tra le fattispecie in astratto incriminate dalle norme penali in conflitto (cfr. Cass. 32901/2007, Cass. SS.UU. 1235/2011), risolvibile ai sensi dell’art. 15 c.p. ovvero dell’art. 84 c.p. e non anche dell’art. 81 c.p., ritenuto invece applicabile nella sola ipotesi di conflitto tra fattispecie penali astratte neppure in parte sovrapponibili ovvero, seppur sovrapponibili, comunque destinate alla salvaguardia di beni giuridici differenti.

Infine, tutt’altro che convincente sembrerebbe il tentativo, compiuto nella pronuncia giurisprudenziale in commento, di sostenere il concorso formale tra i succitati reati sulla base dell’affermata eterogeneità tra i beni giuridici tutelati dalle predette fattispecie delittuose, considerato che l’interesse fiscale al buon esito della riscossione coattiva dei crediti erariali, salvaguardato dal reato fiscale, altro non sembrerebbe che l’interesse dell’Erario al soddisfacimento di un proprio credito, che ben potrebbe ritenersi coincidere con l’interesse del ceto creditorio di massa dell’impresa al soddisfacimento dei propri singoli crediti, tutelato dal reato fallimentare.

Tali osservazioni, pertanto, inducono chi scrive a ritenere condivisibile la diversa tesi, sostenuta dalla Suprema Corte nella diversa sentenza n. 42156/2011, della sussistenza tra i succitati reati di un rapporto di specialità reciproca, che consentirebbe dunque la contestazione, nell’ipotesi di un loro conflitto in riferimento alla medesima condotta, del solo reato più speciale e più grave, individuabile in quello di bancarotta fraudolenta patrimoniale.

consulenza legale salvis juribus

Segui la nostra redazione anche su Facebook!

Sei uno Studio Legale, un’impresa o un libero professionista? Sponsorizzati su Salvis Juribus! Scopri le nostre soluzioni pubblicitarie!


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Antonio Caiazzo

Laureato in Giurisprudenza, presso l’Università Federico II di Napoli, con tesi in diritto penale, relatore prof. Antonio Cavaliere, e diplomando presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali della predetta università. Ha svolto il Tirocinio giudiziario formativo ex art. 73 D.L. n. 69/2013 presso la Procura della Repubblica di Napoli, acquisendo una preparazione tecnica specifica nella responsabilità penale connessa all’esercizio della professione medica e nei reati contro la Pubblica Amministrazione. Praticante avvocato, collabora presso studi legali in materia di diritto penale e civile.

Articoli inerenti