Bitcoin: potenzialità e limiti del fenomeno delle criptovalute

Bitcoin: potenzialità e limiti del fenomeno delle criptovalute

1. Premessa

L’epoca dei millenials è caratterizzata da importanti innovazioni nel settore informatico e tecnologico, tra le quali vanno di certo annoverate le criptovalute, frutto del perenne evolversi dei sistemi di pagamento.

Procediamo con ordine. Cosa significa criptovaluta? Il termine criptovaluta si compone di due parole: cripto e valuta. Infatti, si tratta delle c.d. “monete digitali”, criptate dietro ad un codice. Senza voler troppo entrare nel merito della questione, vengono intese sia come vera e propria moneta (quindi valuta) per acquistare beni e servizi o per convertire le valute tradizionali (le valute cosiddette FIAT, quindi dollari, euro, Yen, ecc.) sia come asset su cui investire tramite il trading sulle piattaforme online chiamate Broker.

Le criptovalute sono nate per rendere il sistema monetario decentralizzato, basato sul concetto di distributed ledger technology, o blockchain: una rete di scambi peer to peer (P2P) in cui non vi è un’autorità centrale incaricata di convalidare e registrare le transazioni e pertanto, senza l’intervento di alcun soggetto con funzioni di controllo e coordinamento: le monete virtuali nascono dalla rete per la rete.

2. Evoluzione storica

Come e quando sono nate le criptovalute? Indubbiamente il boom di crescita del fenomeno si è avuto nell’anno di lancio del Bitcoin per opera del misterioso Satoshi Nakamoto. In realtà, quello che molti non sanno è che negli anni ‘80 David Chaum ideò un algoritmo che rimarrà poi alla base dei metodi di crittografia moderni per internet. Esso consentiva lo scambio di informazioni tra due parti, in modo sicuro e senza che tali informazioni potessero essere alterate durante lo scambio.

David Chaum, dopo essersi trasferito nei Paesi Bassi, decise di fondare “DigiCash” che si occupava di produrre proprio una criptovaluta, venduta poi a privati che potevano utilizzarla per effettuare scambi ed acquisti. DigiCash, però, a differenza delle odierne criptovalute, non era decentralizzata ma anzi aveva il monopolio sulla criptovaluta: la produceva e la controllava. Tuttavia, il sogno DigiCash sfumò quando le autorità finanziarie dei Paesi Bassi presero di mira il suo tentativo di creare una valuta alternativa a quella nazionale, spendibile sul web.

Dopo questo primo tentativo fallito, la ben nota PayPal è diventata negli anni successivi società leader nel settore dei pagamenti digitali e trasferimento di denaro tra utenti. Tanto utilizzata da essere posta sotto la lente di ingrandimento del Fisco italiano e presa in considerazione anche per la dichiarazione dei redditi.

Alla fine degli anni ‘90, però, nacque anche “e-gold”, società con sede in Florida (USA), che si occupava di comprare oro dagli utenti e in cambio non dava loro denaro tradizionale ma appunto la propria criptovaluta: l’e-gold. Gli utenti potevano così usare l’e-gold per fare scambi con altri utenti, comprare dell’oro vero o rivendere i propri e-gold in cambio di dollari.  L’idea ebbe successo, tanto che ad inizio 2000 e-gold aveva un grande seguito negli USA. Tuttavia, e-gold divenne ben presto un facile target per gli hacker e nel 2009 chiuse i battenti per sempre dopo una decina di anni di attività.

Satoshi Nakamoto, voleva riuscire dove altri, come visto, avevano fallito: creare una moneta digitale parallela a quella tradizionale, non manipolabile da parte dei poteri centrali.

Vediamo come.

3. Caratteristiche principali

Quali sono le caratteristiche essenziali delle criptovalute ed in particolare di Bitcoin?

  1. Il sistema decentralizzato rispetto alle normali valute tradizionali: non esiste una banca centrale che si occupa di “stampare” il denaro, controllarne il flusso, e così via;

  2. l’anonimato: molte criptovalute riescono a garantire un alto ma non assoluto livello di anonimato negli scambi che avvengono tra utenti, anche per acquisti e vendite. Ad esempio Bitcoin prevede un meccanismo di doppia chiave, pubblica e privata. Tutte le transazioni per essere identificate e successivamente autorizzate necessitano di entrambe le chiavi;

  3. il numero limitato: la maggior parte delle criptovalute ha un numero “limitato” di moneta che può essere “prodotta” (per il Bitcoin ad esempio è di 21 milioni);

  4. la sicurezza: le transazioni che avvengono con le criptovalute sono estremamente sicure, proprio in virtù del particolare network che utilizzano;

  5. la natura digitale (online): le criptovalute non hanno una natura fisica. Non prevedono quindi banconote di carta o monete in metallo. Tutte le transazioni avvengono online, ma stanno diventando poco a poco anche mezzo di pagamento nei negozi fisici, o uno strumento per cambiare e prelevare denaro contante (si pensi agli ATM);

  6. la blockchain, innovazione introdotta da Bitcoin, consiste in un database che annovera tutte le transazioni mai eseguite nella rete durante tutta la sua storia, una sorta di registro digitale unico, un libro mastro in cui sono annotati sia l’importo della transazione che lo pseudonimo corrispondente a chi la compie. La blockchain è articolata in blocchi di transazioni: ogni nuovo blocco od insieme di operazioni è legato al precedente formando di riflesso la catena dei b locchi. L’ultimo blocco al termine delle maglie della catena è temporalmente posteriore ad ogni blocco che lo precede;

  7. il Wallet. Le criptovalute possono essere memorizzate in portafogli elettronici, definiti wallet mediante un apposito software su dispositivi elettronici o in portafogli online la cui gestione è demandata a specifici portali che offrono questo tipo di servizio. Questi wallet provider consentono di detenere, conservare e trasferire criptovaluta, favorendo l’esecuzione delle transazioni non solo con gli Exchanger ma anche con i commercianti che accettano di ricevere valuta virtuale in cambio della fornitura di beni e servizi.

4. Trading, mining e mixing

4.1 Il Trading

Il mercato delle criptovalute sviluppa la maggior parte del proprio volume d’affari grazie alla prestazione di servizi di cambio di moneta virtuale per moneta reale e viceversa. Queste appartengono alla categoria delle valute virtuali a flusso bidirezionale in cui la valuta reale può essere convertita in moneta virtuale utilizzabile per l’acquisto di beni o servizi essendo a sua volta riconvertibile in valuta reale[1].

Le operazioni di buying/selling/exchange assumono denominazioni differenti a seconda che si valorizzi la fisionomia delle valute virtuali come strumento finanziario ovvero le si consideri moneta a tutti gli effetti. L’attività dell’intermediario oltre che nel mettere a disposizione il servizio di portafoglio digitale (e-wallet) si risolve nel favorire le transazioni che i privati effettuano su una infrastruttura tecnologica sottratta al suo controllo (c.d. trading indiretto). L’intermediazione della compravendita è solitamente remunerata dai costi di transazione predeterminati in misura percentuale rispetto al valore della stessa, per assicurarsi i quali alcuni intermediari offrono servizi e garanzie di sicurezza e anonimato maggiori rispetto agli altri operatori sul mercato. Altre piattaforme di cambio invece offrono un vero e proprio servizio di “cambiavalute virtuale” consentendo agli utenti di acquistare valuta digitale in cambio di moneta elettronica reale ad un tasso di cambio predefinito (c.d. trading diretto). Tali operatori noti come exchangers operano sul mercato rastrellando valori virtuali che acquistano ad un prezzo vantaggioso o “autoproducono” attraverso il mining. La raccolta è finalizzata al successivo cambio in valuta reale ad un prezzo sicuramente maggiore di quello di acquisto o di “produzione”.

4.2 Il mining

Alla base della peer to peer money vi è un singolare procedimento di emissione. L’attività di regolazione dell’offerta di valuta è totalmente soppiantata e autogestita dall’infrastruttura tecnologica sulla quale viaggia il flusso di transazioni tra gli utenti (la distributed ledger technology). Si tratta di un’offerta di moneta con tendenza deflazionistica dal momento che la quantità massima di circolante è predeterminata dall’algoritmo di base. La quantità di criptomoneta circolante è quindi direttamente proporzionale alla potenza di calcolo del complesso dei nodi che compongono l’infrastruttura stessa. Per dare vita ad un sistema complesso di nodi e assicurare il mantenimento in attività degli elaboratori, alcuni utenti (miners) sostengono delle spese notevoli per l’acquisto di server e la fornitura elettrica. L’attività di mining consiste dunque nella creazione automatica di nuovo circolante, quale contropartita della volontaria messa a disposizione finalizzata ad aumentare la potenza di calcolo dell’infrastruttura tecnologica a risolvere specifici problemi matematici. Alla base di tale circostanza sta la necessità di rendere sicure le transazioni e di prevenire fenomeni di double spending: ogni transazione deve essere autenticata utilizzando un protocollo di codifica che richiede la potenza di calcolo di una rete di computer privati chiamati mining rigs.

Le nuove transazioni in bitcoin sono poste inizialmente sotto lo stato di non confermato, in attesa della validazione della rete; una volta verificate vengono raggruppate nei blocchi. E’ in questa fase che entrano in gioco i miner, gli estrattori ovvero quei nodi della rete che tentano di risolvere i blocchi[2].

4.3 Il mixing

Le transazioni in criptomoneta sono annotate sulla blockchain e associate all’indirizzo di portafoglio delle parti. Pertanto, le movimentazioni in valuta virtuale anche se anonime sono in linea di principio perfettamente tracciabili. Per ridurre le tracce dei passaggi di mano di valuta virtuale è possibile affidarsi a servizi di mixing. Un utente deposita un determinato ammontare di criptovaluta su uno o più conti di ingresso, per poi riprendersi il denaro virtuale su conti di uscita preesistenti o appositamente creati. Il mixing farà in modo che non sia possibile associare direttamente l’ammontare di denaro depositato a quello ritirato alla fine e tratterà – quale corrispettivo della propria intermediazione – una percentuale sul valore della transazione. I prestatori di servizi di mixing utilizzano tendenzialmente due tecniche. La prima consiste nell’invio “a catena” di moneta da numerosi portafogli, dai quali poi partiranno altre operazioni dirette a diversi conti. L’obiettivo è quello di rendere la rete dei passaggi talmente complessa da rendere pressoché impossibile la ricostruzione dei singoli passaggi intermedi. Gli indirizzi che partecipano a questa attività sono chiamati conti bounce (conti di rimbalzo)[3]. La seconda tecnica consiste nel raggruppare i fondi di più utenti che si sono rivolti al servizio di mixing in un unico indirizzo, detto conto pool o pot e poi inviarli nuovamente a più indirizzi (es. Monero). A differenza delle due precedenti attività, il mining è avvolto da un’aura di sospetto sul suo impiego a fini criminosi, tale da poterlo considerare intrinsecamente illecito. E’ chiaro che non emerge nessun’altra ragione per cui un utente dovrebbe avvertire la necessità di ricorrere ad un siffatto servizio se non al fine di disperdere le tracce di un’operazione economica o di un flusso di denaro.

5. Bitcoin: moneta virtuale?

Da quanto sinora esposto risulta davvero difficile parificare il bitcoin, su un piano prettamente economico, ad una moneta tradizionale in quanto essa assolverebbe solo parzialmente alle classiche funzioni monetarie necessarie. Con riguardo alla qualità di mezzo di scambio le problematiche più importanti sono legate non soltanto alla mancanza di un riconoscimento legale che, appunto, pone la sua adozione alla spontaneità degli attori ma soprattutto alla mancanza di un’adeguata struttura di diritti e tutele nei confronti degli utilizzatori è un freno ad un ipotetico riconoscimento legale. Inoltre, si è visto che anche le caratteristiche che potrebbero potenzialmente garantire un vantaggio competitivo considerevole come il basso costo delle transazioni o la pressoché infinita divisibilità, in realtà, nascondono insidie che tendono a controbilanciare gli effetti positivi. Non mancano dubbi sulla capacità di preservare il proprio valore nel tempo e di configurarsi sia come unità di conto che come una riserva di valore affidabile. Il valore del bitcoin è infatti pericolosamente esposto a comportamenti speculativi ed agli eventi politici, giuridici ed economici esterni al mondo Bitcoin.

6. Primi tentativi di inquadramento giuridico

In attesa che economisti ed esperti di teoria monetaria stabiliscano se il bitcoin sia o meno una unità di scambio è sul versante della prassi e dei riflessi applicativi che si sta formando una teoria circa gli algoritmi figli della tecnologia blockchain. Come vedremo, in particolare gli adempimenti antiriciclaggio e la tassabilità delle operazioni di “incrocio” tra moneta reale e virtuale sono stati i primi tentativi di inquadramento delle criptovalute, terreno su cui l’Italia e più in generale anche l’Europa stanno svolgendo un ruolo pionieristico in assenza di una regolamentazione da parte delle banche centrali.

7. Banca d’Italia

La corsa del Bitcoin finisce per la prima volta sotto i riflettori della Banca d’Italia nel rapporto di stabilità finanziaria del 2014 ove si esplicitano le preoccupazioni sulle criptovalute con specifico riguardo a Bitcoin, peraltro, riprendendo posizioni condivise a livello comunitario. Queste preoccupazioni riguardano principalmente il possesso e l’uso di criptomoneta, in particolar modo in ragione della mancanza di qualsivoglia forma di tutela degli utilizzatori.

Da gennaio 2015, la Banca d’Italia e la UIF hanno messo in guardia i consumatori e gli intermediari sui possibili rischi connessi alle valute virtuali. La Banca d’Italia è tornata sull’argomento il 30 gennaio 2015 attraverso la divulgazione di una “Avvertenza sull’utilizzo delle cosiddette valute virtuali” sul proprio sito online in contemporanea con una Comunicazione al sistema bancario[4]. La posizione riprende su molti punti l’opinione divulgata dall’EBA soprattutto sulla visione delle valute virtuali come “rappresentazioni digitali di valore”. Infatti, ha scoraggiato le banche e gli altri intermediari vigilati dall’acquistare, detenere o vendere valute virtuali, sia in virtù dell’assenza di un quadro legale certo sia poiché le corrette modalità di funzionamento degli schemi di valute virtuali possono integrare nell’ordinamento nazionale la violazione di disposizioni normative, penalmente sanzionate che riservano l’esercizio della relativa attività ai soli soggetti legittimati. Nel raccomandare particolare prudenza si stabilisce che gli intermediari che vogliano trattare criptovaluta debbano portare l’orientamento della Banca d’Italia a conoscenza degli utenti prima di intraprendere operazioni con essi.

In corrispondenza con la linea precedente, il 19 marzo 2018, Banca d’Italia, ESMA (l’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati), EBA (l’Autorità bancaria europea) e EIOPA (l’Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) hanno emesso delle avvertenze rivolte ai consumatori riguardo ai rischi legati all’acquisto e/o alla detenzione delle valute virtuali.

Secondo le Autorità, “Le valute virtuali attualmente disponibili sono una rappresentazione digitale di valore, non sono emesse né garantite da una banca centrale o da un’autorità pubblica e non godono dello status giuridico di valuta o di moneta. Si tratta di strumenti ad alto rischio, generalmente non garantiti da immobilizzazioni materiali; inoltre, non sono regolamentati ai sensi del diritto dell’Unione e, pertanto, non offrono alcuna tutela giuridica ai consumatori”.

La preoccupazione di Banca d’Italia e delle tre AEV è legata al numero sempre crescente di possessori di criptovalute, spesso inconsapevoli del rischio significativo di perdere il denaro investito.

In primis i rischi legati all’alta volatilità delle valute virtuali e la loro non idoneità per la maggior parte degli scopi (tra cui la pianificazione d’investimenti o previdenziale); a seguire i rischi legati all’impossibilità per l’UE di garantire protezione per strumenti e valute non regolamentate; non per ultimo, i rischi legati agli exchange (sia per le possibili interruzioni delle operazioni delle piattaforme sia per la mancanza di trasparenza sui prezzi e le informazioni fuorvianti che vengono date al pubblico). Le Autorità avvertono della necessità di comprendere perfettamente le caratteristiche delle criptovalute e i rischi a cui si espongono, di non investire più di quanto ci si possa permettere di perdere e di adottare tutte le precauzioni adeguate ed aggiornate per la sicurezza dei dati.

8. CONSOB

In attesa di ulteriori chiarimenti sul possibile inquadramento giuridico dell’attività di vendita di criptovalute, anche Consob invita i risparmiatori alla prudenza per il tramite di alcune sue delibere.

Con la delibera n. 20207 del 6 dicembre 2017[5] la Consob ha vietato che una società estera operante in Italia continuasse ad offrire “portafogli di investimento” in criptovalute, venendo a configurarsi un’offerta al pubblico di prodotti finanziari. L’analisi di Consob si è focalizzata sulla possibilità da parte dell’investitore di acquistare “portafogli di investimento”, offerti in vendita tramite il sito internet dalla società estera in questione. Attraverso l’acquisto del prodotto, al cliente si offrivano rendimenti mensili del capitale investito, derivanti dall’attività di trading in criptovalute (ad es. Coinoa – Becfd Limited – Chimera Investment Corporation – Leads Capital Inc. / Trade Up Ltd – Housers Services International Bv).

In merito la Commissione Nazionale per le Società e la Borsa ha ordinato, secondo quanto disposto ai sensi dell’articolo 7-octies, lettera b) del Testo unico della finanza di porre termine alla violazione dell’articolo 18 del TUF consistente nell’offerta e nello svolgimento nei confronti del pubblico italiano di servizi e attività di investimento ad una serie di società.

Nel caso esaminato dalla delibera n. 19968 del 20 aprile 2017, Coinspace Ltd attraverso il sito www.coinspace1.com non aveva adempiuto agli obblighi di prospetto ragione per cui la Consob, dopo una prima sospensione, ne ha vietato l’attività di pubblicità e offerta agli investitori italiani. Stessa sorte è toccata a Crypto Trade Capital dove la Consob ha accertato che l’offerta al pubblico italiano di “portafogli di investimento”, cui era collegata la promessa di rendimenti periodici predeterminali, consisteva in un’offerta di “investimenti di natura finanziaria” che richiede la preventiva comunicazione alla Consob ed il prospetto informativo destinato alla pubblicazione[6].

Dello stesso tenore è la delibera n. 20414 del 24 aprile 2018[7], con la quale ha ordinato ai sensi dell’art. 7-octies, comma 1, lett. b), del D. lgs. n. 58/1998 (“Tuf”) di porre termine alla violazione dell’art. 18 del Tuf posta in essere tramite il sito internet www.mrtmarkets.com. La Consob ha chiaramente stabilito che i “pacchetti di estrazione di criptovalute” hanno la natura di “prodotto finanziario sub specie di investimento di natura finanziaria” lì dove implichino la compresenza di un impiego di capitale; un’aspettativa di rendimento di natura finanziaria; l’assunzione di un rischio connesso all’impiego di capitale. Ebbene, davanti a questo tipo di prodotti finanziari, venduti in termini standardizzati e uniformi, si profila quindi un’ipotesi di un’offerta al pubblico definita nell’art. 1, comma 1, lett. t del TUF con conseguente obbligo preventivo di pubblicazione di un prospetto informativo a tutela dell’investitore. Inoltre “prima della pubblicazione del prospetto è vietata la diffusione di qualsiasi annuncio pubblicitario riguardante offerte al pubblico di prodotti finanziari diversi dagli strumenti finanziari comunitari”[8].

Con riferimento, infine, agli investimenti di criptovalute emesse con ICO- Initial Coin Offerings (per le quali si stanno diffondendo, a livello internazionale, diverse iniziative volte a proporre linee guida standard per regolamentarle, fornendo suggerimenti pratici, etici, tecnici e normativi) la situazione è ancora più complessa dal momento che il rapporto contrattuale fra investitore e startup è regolato dai white paper. Si tratta sostanzialmente di “condizioni generali di servizio”, soggette alla legge del luogo di emissione dei token, che non contengono procedure di reclamo o di contestazione a difesa dell’investitore. Quest’ultimo si potrebbe trovare sprovvisto quindi della pur minima tutela legale e contrattuale dopo l’acquisto dei token, considerato irreversibile e espressamente compiuto con dichiarazione di piena conoscenza e assunzione del rischio da parte dell’investitore circa la natura dei token acquistati.

In conclusione, la prima buona norma consigliata è la prudenza: l’investitore deve richiedere tutte le informazioni necessarie ad individuare i soggetti emittenti e soprattutto la tipologia delle criptovalute che si intendono acquistare.

9. AML (Anti Money Laundering)

Il primo riferimento alle criptovalute in un testo normativo si è avuto con l’aggiornamento del D.lgs. 231/2007 nel contesto degli obblighi di prevenzione del rischio riciclaggio che incombono su intermediari (banche, assicurazioni ecc.) e professionisti[9]. Il legislatore nell’ambito delle nuove regole sulla IV direttiva europea antiriciclaggio, ha preteso che al momento dell’acquisto di bitcoin dovesse rimanere traccia reale dell’investitore, prima dell’immersione nel poco tracciabile mondo delle blockchains.

Anche Bruxelles, preso atto che le operazioni in valute virtuali beneficiano di un maggior grado di anonimato rispetto ai classici trasferimenti di fondi, ha inserito nella proposta di modifica alla IV direttiva antiriciclaggio nuove misure per contrastare l’uso di valute virtuali per scopi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo. In questo senso sembrano volte le nuove disposizioni proposte dalla Commissione e approvate dal Parlamento Europeo nella V Direttiva Antiriciclaggio, a testimonianza della volontà di regolare – con rigore – le operazioni che abbiano ad oggetto criptovalute.

In primo luogo, il Legislatore europeo si è preoccupato di ampliare la portata della normativa AML anche ai nuovi protagonisti del mercato delle monete virtuali. A questo proposito, all’art. 2, paragrafo 1, punto 3) sono state aggiunte le nozioni di “prestatore di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali” e “prestatore di servizi di portafoglio digitale”, le cui categorie divengono entrambe soggette agli obblighi generalmente previsti della Direttiva.

Per quanto riguarda il servizio di cambio di valute virtuali, la definizione di siffatta attività si ricava dalla lettura in combinato disposto con il nuovo art. 3, punto 18), che a sua volta inserisce la nozione di “valuta virtuale”, vale a dire «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». Ne consegue, quindi, che chiunque scambi monete a corso legale contro valute virtuali, o viceversa, sarà tenuto al rispetto degli obblighi di quella che sarà la nuova Direttiva. Sono naturalmente ricompresi in questa categoria anche i c.d. exchange, vale a dire le aziende commerciali che operano di norma attraverso piattaforme online e consentono di acquistare o vendere criptovalute, attori fondamentali in questo mercato.

Gli altri soggetti cui è estesa la normativa sono i “prestatori di servizi di portafoglio digitale”, definiti specificatamente all’art. 3, punto 19) come i soggetti che «forniscono servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali». Si tratta, in sostanza, di coloro che predispongono i servizi di “wallet”, vale a dire depositi informatizzati attraverso cui detenere monete virtuali e compiere operazioni.

A fronte di tale estensione della disciplina, il legislatore ha anche previsto al nuovo art. 47, paragrafo 1, che «gli Stati membri assicurano che i prestatori di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali, e i prestatori di servizi di portafoglio digitale siano registrati». Viene così introdotto l’obbligo per le Autorità nazionali di predisporre strumenti idonei a registrare coloro che operano in criptovalute, al fine di esercitare un controllo più penetrante sulle movimentazioni che coinvolgono questi assets. Questa misura, per quanto utile, garantisce solamente di vigilare sui prestatori dei servizi, lasciando un velo di mistero per quanto riguarda le operazioni svolte autonomamente, le quali sfuggono così ad ogni sorta di controllo.

10. Giurisprudenza di merito

In questa prospettiva si muove la prima decisione di un giudice italiano. Il Tribunale di Verona con la sentenza n. 195 del 2017[10] ha risolto il caso di investitori che avevano comprato bitcoin versando euro senza però riuscire a vedersi aperto il cosiddetto wallet di moneta virtuale. Il giudice ha qualificato le operazioni di cambio «come attività professionale di prestazioni di servizi a titolo oneroso, svolta in favore di consumatori». Trattandosi di servizi finanziari conclusi a distanza nei confronti di un consumatore, il Tribunale ha ritenuto applicabile il Codice del consumo e i previsti obblighi di informativa nei confronti del cliente (artt. 67-duodecies ss. del Codice del Consumo), oltre all’esistenza di un documento contrattuale in forma scritta. Il giudice ha poi suggerito di inquadrare la fattispecie nell’«offerta al pubblico di prodotti finanziari» (descritta dall’articolo 1, lettere t) e u), del Dlgs 58/1998) ovvero a quella dei «servizi e attività di investimento» in «valori mobiliari» (ex articolo 1-bis, comma primo, lettere c) e d), nonché comma 5, lettera a), del Dlgs 58/1998), avendosi riguardo a negoziazione per conto proprio di «qualsiasi altro titolo normalmente negoziato che permette di acquistare o di vendere i valori mobiliari indicati alle precedenti lettere» (ossia azioni e altri titoli equivalenti di società, di partnership eccetera) ovvero di «qualsiasi altro titolo che comporta un regolamento in contanti determinato con riferimento ai valori mobiliari indicati alle precedenti lettere, a valute, a tassi di interesse, a rendimenti, a merci, a indici o a misure».

La decisione di Verona è inequivocabile: i cambia valuta (i.e. gli exchanger) forniscono servizi finanziari: devono inderogabilmente rispettare gli obblighi informativi precontrattuali verso l’investitore/consumatore che ha diritto di pretenderli. Nel caso in cui la piattaforma facesse capo ad un soggetto straniero, l’applicazione del diritto italiano non sarebbe scontata potendo ricorrere solo in determinate situazioni ed a certe condizioni. Come emerge ad esempio dalle due delibere Consob sopra citate (n. 19968/2017 e 2027/2017), i siti redatti in lingua italiana rappresentano elementi “inequivocabili” circa il fatto che l’offerta di investimenti sia rivolta al pubblico residente in Italia con la conseguenza che al ricorrere di certe condizioni anche i soggetti stranieri sono assoggettabili alla legge italiana. In particolare alle disposizioni del Testo Unico della Finanza (TUF).

Nonostante resti tutta da provare la funzione “monetaria” delle criptovalute secondo i giudici europei e l’agenzia delle Entrate la transazione madre con cui si “comprano” i bitcoin o gli epigoni è una transazione reale a contenuto economico.

11. Agenzia delle Entrate

Con la risoluzione 72/E/2016 l’Agenzia delle Entrate[11] ha illustrato il trattamento fiscale da applicare a chi svolge attività di acquisto e cessione di moneta virtuale in cambio di valuta standard. La mera detenzione dei bitcoin da parte di clienti persone fisiche al di fuori dell’attività d’impresa, è stata vista come operazione a pronti che non genera redditi imponibili, poiché manca la finalità speculativa. In questo caso gli operatori non sono tenuti agli adempimenti tipici dei sostituti d’imposta e non si applica l’IVA. Resta ferma la facoltà dell’Agenzia di acquisire gli elenchi della clientela per le opportune verifiche nell’espletamento delle regolari attività di controllo.

Le attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolte in modo professionale ed abituale non scontano l’Iva in quanto il loro operato rientra tra le operazioni relative alle monete e alle banconote; tuttavia, costituiscono attività rilevanti di IRES ed IRAP, al netto dei relativi costi inerenti a detta attività. Per valutare i bitcoin di cui la società dispone a fine esercizio occorre considerarne il valore normale, cioè la miglior quotazione disponibile sul mercato in quel momento. In particolare, si è ritenuto che l’attività remunerata attraverso commissioni pari alla differenza tra l’importo corrisposto dal cliente e la suddetta minor quotazione reperita sul mercato debba essere considerata ai fini IVA quale prestazione di servizi esenti ai sensi dell’art. 10 D.P.R. 633/1972.

Con la risposta ad interpello n. 956-39/2018 l’Agenzia delle Entrate, Direzione Regionale della Lombardia, ha fornito chiarimenti sul regime applicabile all’acquisto di oro tramite bitcoin e sulla possibilità che questo generi una plusvalenza fiscalmente rilevante.  Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative alle valute virtuali, l’Agenzia al pari della propria Risoluzione precisa come non si possa prescindere da quanto affermato dalla CGUE nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C- 264/14[12].

Pertanto, è stato chiarito che l’attività di intermediazione di valute tradizionali con bitcoin, svolta in modo professionale ed abituale, costituisce un’attività rilevante agli effetti dell’IVA anche dell’IRES e dell’IRAP, oltre ad essere soggetta agli obblighi di adeguata verifica della clientela, di registrazione e di segnalazione previsti dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231. Ne deriva che, ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche che detengono bitcoin (o altre valute virtuali) al di fuori dell’attività d’impresa, alle operazioni di conversione di valuta virtuale si applicano i principi generali che regolano le operazioni aventi ad oggetto valute tradizionali.

12. Conclusioni

Orbene, giungere a delle conclusioni univoche in questo mare magnum di incertezze afferenti il mondo bitcoin sembra quanto mai arduo. Ciò che emerge con chiarezza è che lo pseudoanonimato degli utenti, l’accesso delocalizzato, l’inesistenza di un organismo terzo e imparziale a cui affidare il controllo delle transazioni effettuate, la possibilità di aggirare la supervisione dei cambia valute virtuali si presentano tutti come fattori in grado di aumentare a livello esponenziale il pericolo di degenerazione del fenomeno in criminalità digitale.

Di tale rischio si è certo avveduto il nostro Legislatore nel riformare la materia dell’antiriciclaggio e del finanziamento del terrorismo, con una modalità che si è tuttavia rivelata essere in parte carente. La maggior percentuale di questa “innovativa” forma di riciclaggio si registra relativamente ad attività perpetratesi interamente online prospettandosi come opportuno un ulteriore intervento riformatore che miri piuttosto a disciplinare anche la posizione dei cd. wallet providers così come previsto dal V emendamento alla Direttiva AML che impone in capo a quest’ultimi il compimento di controlli sistematici e requisiti di verifica sulla clientela, per tentare di porre fine al regime di anonimato associato alle valute virtuali e regolare chiaramente le attività di digital currency.

Se appare corretto che chi professionalmente si occupa di convertire valuta virtuale in valuta corrente (o viceversa) venga a tutti gli effetti considerato un cambiavalute e debba iscriversi nel registro, non si comprende se tale obbligo vada esteso a chi professionalmente svolga una diversa attività, appunto commerciale, e si limiti unicamente ad accettare dei pagamenti in queste forme. Sebbene sia assolutamente indispensabile intervenire per disciplinare la materia, effetto indiretto di questo incipit regolamentare, potrebbe essere quello di disincentivare le aziende che vogliono sviluppare soluzioni e prodotti su tale tecnologia dall’operare in Italia, preferendo collocarsi in Paesi in cui la legislazione sia più favorevole lasciando così il Bel Paese al di fuori del mercato delle innovative criptovalute.


[1] AMATO M. e FANTACCI L., Per un pugno di Bitcoin, Egea, Università Bocconi Editore, 2017, Milano.

[2] CAPOTI D., COLACCHI E. e MAGGIORI M., Bitcoin Revolution: la moneta digitale alla conquista del mondo, Hoepli Editore S.p.a., 2015, Milano.

[3] CAETANO R., Bitcoin. Guida all’uso delle criptovalute, Apogeo, 2016, Milano.

[4] Banca d’Italia, 2015, Avvertenza sull’utilizzo delle cosiddette valute virtuali, disponibile all’indirizzo: https://www.bancaditalia.it/compiti/vigilanza/avvisi-pub/avvertenza-valute- -virtuali/AVVERTENZA_VALUTE_VIRTUALI.pdf

[5]Consob, Delibera n. 20207 Divieto, ai sensi dell’art. 99, comma 1, lett. d), del D. lgs. n. 58/1998, dell’offerta al pubblico residente in Italia effettuata dalla società Cryp Trade Capital avente ad oggetto investimenti di natura finanziaria promossi tramite il sito internet https://cryp.trade, disponibile all’indirizzo http://www.consob.it/it/web/area-pubblica/bollettino/documenti/hide/interdittivi/divieto/2017/d20207.htm?hkeywords=&docid=18&page=0&hits=31&nav=false

[6] Nel caso di applicazione della normativa italiana del TUF, l’investitore ha a disposizione l’azione di nullità che l’articolo 23 dispone per i casi in cui non sia stata rispettata la forma scritta a pena di nullità delle relative transazioni poste in essere dall’utente e con la piattaforma.

[7] Consob, Delibera n. 20414 del 24/4/2018, Ordine, ai sensi dell’art. 7-octies, comma 1, lett. b), del D. lgs. n. 58/1998 (“Tuf”) di porre termine alla violazione dell’art. 18 del Tuf posta in essere tramite il sito internet www.mrtmarkets.com, disponibile all’indirizzo http://www.consob.it/it/web/area-pubblica/bollettino/documenti/hide/interdittivi/divieto/2018/d20414.htm?hkeywords=&docid=2&page=0&hits=25&nav=false

[8]Per meglio comprendere l’orientamento assunto dalla Consob sul tema criptovalute: http://www.consob.it/web/area-pubblica/bollettino?p_p_id=ConsobPubblicazioni_WAR_consobpubblicazioni_INSTANCE_fK6VlvBcP06g&p_p_lifecycle=1&p_p_state=normal&p_p_mode=view&p_p_col_id=column-2&p_p_col_count=1&_ConsobPubblicazioni_WAR_consobpubblicazioni_INSTANCE_fK6VlvBcP06g__facesViewIdRender=%2Fviews%2FportletViewMode.faces

[9] Decreto Legislativo 25 maggio 2017, n. 90 Attuazione della direttiva (UE) 2015/849 relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attivita’ criminose e di finanziamento del terrorismo e recante modifica delle direttive 2005/60/CE e 2006/70/CE e attuazione del regolamento (UE) n.  2015/847 riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi e che abroga il regolamento(CE) n. 1781/2006. (GU n.140 del 19-6 -2017 –  Suppl. Ordinario n. 28).

[10] Tribunale di Verona, Seconda Sezione Civile, sentenza n. 195/2017 del 26/01/2017, disponibile al seguente indirizzo http://www.molegale.it/wp-content/uploads/2018/01/sentenza-195-del-2017-Tribunale-di-Verona.pdf

[11] Interpello ai sensi dell’art. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Trattamento fiscale applicabile alle società che svolgono attività di servizi relativi a monete virtuali, del 02/09/2016, disponibile al seguente indirizzo http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/nsilib/nsi/normativa+e+prassi/risoluzioni/archivio+risoluzioni/risoluzioni+2016/settembre+2016+risoluzioni/risoluzione+n.+72+del+02+settembre+2016/RISOLUZIONE+N.+72+DEL+02+SETTEMBRE+2016E.pdf

[12] Nella causa C‑264/14, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dallo Högsta förvaltningsdomstolen (Corte suprema amministrativa, Svezia), con decisione del 27 maggio 2014, pervenuta in cancelleria il 2 giugno 2014, nel procedimento Skatteverket Contro David Hedqvist.


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