Brevi considerazioni in merito alla cessione del credito derivante da contratto pubblico

Brevi considerazioni in merito alla cessione del credito derivante da contratto pubblico

La questione che si intende affrontare ha ad oggetto la cessione del credito derivante da contratto pubblico, il cui focus concerne il potere riconosciuto alla stazione appaltante di opporsi al negozio di cessione posto in essere dall’operatore economico/creditore in favore di un terzo cessionario.

Allo scopo si rende opportuno individuare la disciplina applicabile mediante un excursus che ripercorre in breve le tappe normative della materia, a partire dalla L.2248/1865 (Legge abolitiva del contenzioso), tenuto conto delle peculiarità del settore.

E’ propedeutico premettere che, sebbene la P.A. possa agire anche in veste privatistica, non può ignorarsi la causa funzionale del pubblico interesse; una costante che continua a governare, sia pur esternamente, la fase dell’esecuzione contrattuale o, più precisamente, ogni fase del agere paritetico.

In ambito privato la cessione del credito trova disciplina agli artt.1260 ss. c.c., atteggiandosi come modifica soggettiva del rapporto obbligatorio nel lato attivo.

Il negozio di cessione, invero, è quel contratto bilaterale con il quale il creditore (cedente) cede a un terzo (cessionario) il proprio credito, ventato nei confronti del debitore (ceduto).

Il principio di autonomia negoziale, unitamente a quello di libertà causale, che governano l’intero diritto civile, consentono al creditore di poter mutare la titolarità del credito anche senza il consenso da parte del debitore.

Del resto, ai fini dell’estinzione del rapporto obbligatorio, è indifferente, per quest’ultimo, chi sia il creditore effettivo, se non ai fini della corretta individuazione del titolare del diritto e dell’esattezza nell’esecuzione della prestazione; scopo per il quale è sufficiente la mera notifica di avvenuta cessione.

Una tale libertà non può riscontrarsi nell’ambito dei contratti pubblici, la cui esecuzione non certo preclude la cessione del credito vantato verso la stazione appaltante, ma allo stesso tempo esige che vi sia certezza nell’individuazione delle parti del rapporto.

Per tale ragione, il principio di certezza nell’esecuzione contrattuale, in uno alla funzione di pubblico interesse che sovrasta ineluttabilmente la posizione dei privati, fa sì che la disciplina della cessione del credito derivante da contratto pubblico subisca due importanti deroghe rispetto al sistema del codice civile.

Le suddette deroghe impongono di mettere a confronto la disciplina previgente al Codice dei contratti pubblici D.Lgs.50/2016 e quella attuale ivi prevista dall’art.106.

In particolare, nell’art.9 L.2248/1865, allegato E (Legge abolitiva del contenzioso) si affermava che “sul prezzo dei contratti in corso non potrà avere effetto alcun sequestro, né convenirsi cessione se non vi aderisca l’amministrazione interessata”. A ciò si aggiungeva l’art.339 della medesima normativa allegato F il quale stabilisce che “è vietata qualunque cessione di credito e qualunque procura, le quali non siano riconosciute”.

È evidente la prima deroga alla disciplina generale: è necessaria l’accettazione da parte del debitore ceduto, ossia dell’Amministrazione appaltante.

La seconda deroga al codice civile la si riscontra invece nel R.D. 2440/1923 (Legge di Contabilità di Stato), ove all’art.69 comma 3 si specifica che le cessioni devono risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata da notaio e devono essere solo notificate alla stazione appaltante senza necessità di accettazione ai fini del perfezionamento contrattuale

Ciò evidenzia l’esigenza che il negozio di cessione del credito derivante da appalto debba assumere la forma ad subtantiam, a pena di nullità dello stesso.

Dall’esegesi della Legge, si dove ulteriormente distinguere tra contratti ad esecuzione istantanea, idonei ad esaurire immediatamente i propri effetti, dai contratti di durata, la cui esecuzione si completa in un arco di tempo più o meno lungo.

Un contratto d’appalto, qualunque sia l’oggetto, se di lavoro, servizio o fornitura, ben potrà assumere questa seconda connotazione.

Per la prima tipologia (contratti istantanei) rimane invariata la disciplina generale del codice civile e ciò è desumibile dal contenuto dell’art.69, ove non è richiesta l’adesione espressa della stazione appaltante al negozio di cessione, ma è sufficiente la sola notifica.

Nel secondo caso (contratti di durata) troverà spazio invece il regime ulteriormente derogatorio, secondo cui, ai fini del perfezionamento del contratto, la P.A. dovrà aderirvi espressamente.

Del resto, ciò trova esplicita conferma nell’art.70 Legge Contabilità di Stato, il quale, nel recepire il contenuto della Legge sul contenzioso amministrativo, fa riferimento implicito ai contratti di durata e, per l’appunto, si distingue dalla norma precedente richiedendo la necessaria accettazione da parte della stazione appaltante.

È altresì opportuno ricordare che con l’art.115 del DPR 554/99 (Regolamento sui lavori pubblici) il legislatore era ulteriormente intervenuto sulla disciplina della cessione in materia di contratti di lavori ad efficacia prolungata, prevedendo per tale tipologia che il negozio è soggetto alla condizione sospensiva del mancato rifiuto da parte della stazione appaltante entro 15 giorni dalla notifica dell’avvenuta cessione.

In definitiva nei rapporti di durata, ai fini del perfezionamento del negozio di cessione, la “comunicazione mera” dell’avvenuta conclusione, lascia spazio al silenzio della P.A. quale condizione sospensiva di efficacia, mentre il rifiuto espresso nei termini di legge costituisce condizione risolutiva del contratto.

Orbene, venendo alla vigente disciplina di settore contemplata dal Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, D.lgs.50/2016 si deve richiamare l’art.106.

L’art.106 sancisce che alla cessione dei crediti derivanti dai contratti pubblici si applica la disciplina contenuta nella L.52/91inerente alla cessione del credito di impresa.

Con tale rinvio l’art.106, a differenza dell’art.117 D.Lgs.163/2006, non chiarisce se, ai fini dell’applicazione della L.52/1991, il creditore cedente debba avere i requisiti di un’impresa, ma senza dubbio non abroga tutta la disciplina speciale di cui si è data sopra menzione, avendone l’art.106 mantenuto inalterati i caratteri derogatori e specialistici.

La norma, invero, si limita ad affermare che, per la cessione del credito derivante da contratto d’appalto avente le caratteristiche del credito di impresa, il negozio di cessione può essere opposto dall’operatore economico alla stazione appaltante, purché il contratto sia stato redatto con atto pubblico o scrittura privata autenticata dal notaio e che, ai fini del perfezionamento, non sia intervenuto il rifiuto espresso della stazione appaltante/pubblica amministrazione ceduta entro 45 giorni dalla notificazione dell’avvenuta cessione.

Quanto affermato deve essere interpretato nel senso che il nuovo art.106 trova applicazione per l’ipotesi in cui il contratto di cessione del credito derivante da contratto di durata di lavori, servizi o forniture assuma le caratteristiche del credito di impresa, residuando in tutti gli altri casi l’operatività della disciplina speciale di cui alla Legge sulla contabilità di Stato.

Ciò comporta una duplice soluzione interpretativa.

Nel caso in cui l’operatore economico sia un soggetto qualificato titolare di un credito di impresa, in quanto rispecchia i criteri contemplati nella L.52/1991, troverà integrale applicazione la norma di settore di cui all’art.106 d.lgs.50/2016, a prescindere che si tratti di un appalto di durata che abbia ad oggetto lavori, servizi o forniture.

Nel caso in cui tali requisiti non possono essere soddisfatti, continuerà a trovare applicazione la disciplina speciale precedente, di cui agli artt.69-70 Legge Contabilità di stato, secondo la duplice distinzione sopra analizzata tra contratti istantanei e contratti a esecuzione prolungata.


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