Buche stradali e danni da vizi del lastrico solare: la responsabilità da custodia

Buche stradali e danni da vizi del lastrico solare: la responsabilità da custodia

Negli ultimi anni a causa del proliferare di numerosissime controversie concernenti il risarcimento extracontrattuale dei danni patiti per difetto ovvero omissione di custodia di dati beni  (si pensi, a titolo meramente esemplificativo, a tutte quelle cause insorte per il ristoro dei pregiudizi derivanti da infiltrazioni di acqua a causa di vizi del lastrico solare di uno stabile, o ancora, a quelle relative a sinistri stradali causati da difettosa manutenzione del manto autostradale da parte della pubblica amministrazione o comunque dei gestori del servizio), questione di centrale importanza al fine di stabilire la spettanza o meno ai danneggiati dei suddetti risarcimenti, è quella della natura giuridica della responsabilità da custodia stessa, prevista dall’art. 2051 c.c.

Tale problematica dunque non si traduce in una speculazione esclusivamente teorica, ma presenta ricadute applicative di indubbia valenza, sia sotto il profilo degli elementi necessari affinché possa dirsi integrata tale responsabilità, sia per quanto riguarda la c.d. controprova, che deve essere fornita dal presunto colpevole dei danni per esonerarsi dall’onere risarcitorio.

In un primo momento da taluni veniva sostenuto che l’art. 2051 c.c. si riferisse ad una responsabilità di tipo soggettivo, con la conseguenza che lo stesso poteva considerarsi un mero duplicato dell’art. 2043 c.c., che postula un criterio di imputazione della responsabilità che richiede, tra gli altri, quale elemento il dolo o quantomeno la colpa nell’autore della condotta presa in considerazione.

Tale soluzione però non ha convinto la più recente giurisprudenza, poiché avrebbe comportato una interpretatio abrogans di tale norma ed una sua espunzione dal sistema codicistico, stante la sua inutilità.

Pertanto si è ritenuto opportuno operare una inversione di rotta (che ha abbracciato anche tutte le altre forme di responsabilità extracontrattuale “speciali” previste dagli artt. 2048 ss. c.c.) ed attualmente secondo il più recente orientamento «la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, ha carattere oggettivo, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell’attore del verificarsi dell’evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, senza che rilevi al riguardo la condotta del custode» (Cass. Civ., sent. 24.1.2014, n. 1468)

La stessa dunque viene configurata come una responsabilità di tipo oggettivo, basata sul principio “cuis commoda, eius et incommoda, secondo cui chi dispone e trae godimento da un certo bene, ne risponde oggettivamente per qualsivoglia pregiudizio provocato dal bene stesso a terzi, e non su un profilo di colpa o dolo del custode medesimo.

L’art. 2051 c.c. è dunque ancorato sul solo presupposto della sussistenza di un rapporto fattuale tra il custode e la res, res che deve possedere i caratteri della intrinseca pericolosità.

E’ quindi necessario specificare ulteriormente come il danno, per essere risarcibile, deve essere causato direttamente “dalla” cosa e non “con” la cosa, e dunque non è sufficiente che il bene sia mera occasione per la verificazione del sinistro, bensì deve porsi quale causa diretta: si pensi agli infortuni verificatisi sulle piste sciistiche, laddove viene considerato risarcibile da parte del custode della pista (che può essere pubblico o privato) il danno solo qualora l’incidente derivi effettivamente da difetto di manutenzione o dalla intrinseca pericolosità della pista, e non da fattori esterni quali la condotta di un terzo (che può colpire inavvertitamente altro utente della pista)  o del danneggiato stesso (che può andare incontro ad un infortunio a causa della eccessiva velocità con cui procedeva sul tracciato).

Sotto quest’ultimo aspetto, va infatti menzionato il generale principio di autoresponsabilità, scolpito nell’art. 2 della Carta Costituzionale, laddove richiede a tutti i cittadini l’adempimento degli inderogabili doveri di solidarietà sociale, e che impone altresì l’adozione di comportamenti maturi e diligenti, con la conseguenza che il risarcimento ex art. 2051 c.c. andrà escluso qualora la condotta del danneggiato non rientri in un parametro di “normalità”. 

In quest’ottica la prova liberatoria può consistere solo nel caso fortuito, definibile quale evento terzo assolutamente imprevedibile e quindi imprevenibile, che dà vita ad un decorso causale atipico (Cfr. Cass Civ., sent. n. 24428, secondo cui «la responsabilità dell’articolo 2051 c.c. resta esclusa solo dalla prova… che il danno sia stato determinato da causa estrinseche ed estemporanee create da terzi, le quali nemmeno con l’uso dell’ordinaria diligenza potevano essere tempestivamente rimosse, così integrando il caso fortuito»).

Nella maggior parte dei casi i danni per difetto di custodia derivano da una insorta situazione di pericolo, non evitabile utilizzando l’ordinaria diligenza, definita come “insidia” o “trabocchetto”; tale responsabilità da insidia o trabocchetto, in rapporto di species a genus rispetto a quella da custodia ordinaria, deriva, come ben descritto dalla giurisprudenza in materia di circolazione stradale, da «una situazione di fatto che rappresenti un pericolo occulto per l’utente della strada aperta al pubblico, evidenziata dal carattere oggettivo della non visibilità e da quello subiettivo della non prevedibilità del pericolo. La nozione di insidia stradale viene pertanto a configurarsi come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall’esperienza giurisprudenziale mediante sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità» (Giudice di Pace di Maddaloni, sent. 20.06.2008).

Tali valutazioni della non visibilità e non prevedibilità del pericolo vanno di norma compiute secondo il parametro dell’“agente modello”, estrapolato sulla scorta della professione e della posizione sociale dell’interessato

E’ opportuno a questo punto precisare quelli che sono i tratti differenziali tra la responsabilità da custodia e quella dell’art. 2043 c.c., per violazione del generale principio di neminem laedere, che ora ben si possono cogliere in base a quanto anticipato: discrimen tra la responsabilità da insidia o trabocchetto ex art. 2043 c.c. e ai sensi dell’art. 2051 c.c., è data dal fatto, come detto, che la prima è una forma di responsabilità colposa, in cui onere della prova è a carico del danneggiato.

Orbene è quindi necessario, ai fini della risarcibilità di danni lamentati, che vengano forniti tutti gli elementi richiesti dall’art. 2043, ovvero il fatto, il danno-evento, il nesso di causalità materiale tra fatto e danno evento, nonché il nesso di causalità giuridica tra danno evento e danno conseguenza, ed infine l ‘elemento soggettivo del dolo o colpa.

Da quanto detto risulta come certamente la prova sia più facile da fornire nel caso in cui si deduca una responsabilità ex art. 2051 c.c., ma anche qualora sotto tale fronte non si riescano a fornire i requisiti richiesti, si potrà sempre in subordine  puntare su una responsabilità ex art. 2043 c.c., basata sul generale principio di neminem laedere; in quest’ottica finalmente la responsabilità da custodia assume definitivamente una propria autonoma valenza e dignità normativa.


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