Buoni fruttiferi e libretti postali: ecco quando Poste italiane non rimborsa il dovuto

Buoni fruttiferi e libretti postali: ecco quando Poste italiane non rimborsa il dovuto

Sommario: Premessa – 1. Le principali questioni relative ai buoni postali fruttiferi – 1.1. Il mancato rimborso integrale dei buoni postali fruttiferi della serie Q – 1.2. Il mancato rimborso integrale dei buoni postali fruttiferi della serie A1, AA1, AA2 e AA3 stampati sui moduli della precedente serie AF o CE – 1.3. Il diritto del cointestatario a riscuotere i buoni fruttiferi in caso di decesso di uno dei contitolari – 1.4. La prescrizione dei buoni fruttiferi postali in caso di furto o smarrimento dei titoli – 2. Le principali questioni relative ai libretti postali – 2.1. Il mancato riconoscimento del tasso premiale dei libretti postali “Smart” – 2.2. Il diritto del cointestatario a riscuotere la propria quota di spettanza di un libretto postale cointestato – 2.3. La prevalenza delle ricevute rilasciate ai depositanti su quanto iscritto nei libretti – 2.4. Il termine di prescrizione dei libretti postali

 

Premessa

I buoni fruttiferi postali ed i libretti di risparmio rappresentano da sempre i più tradizionali prodotti del risparmio postale.

In un paese notoriamente di risparmiatori come l’Italia, essi hanno riscosso un notevole successo, in special modo qualche decennio fa quando i rendimenti erano elevati e quando la situazione economica era migliore di quella attuale.

I prodotti in questione sono strumenti di investimento a basso rischio in quanto emessi dalla Cassa depositi e prestiti e garantiti dallo Stato Italiano, nonché collocati in esclusiva per il tramite di Poste Italiane S.p.a.

Per quanto riguarda i buoni fruttiferi postali (in seguito anche denominati “bfp”), essi garantiscono -a fronte dell’investimento iniziale- la restituzione del capitale investito, oltre agli interessi maturati alla loro scadenza.

I libretti di risparmio postale, invece, hanno sì lo scopo di raccogliere i risparmi del cliente -in modo tale che fruttino in suo favore degli interessi- ma la principale differenza con i “bfp” sta nei diversi rendimenti, nonché nel fatto che i libretti postali non sono vincolati ad un periodo di tempo predeterminato e si possono effettuare operazioni di prelievo e versamento di denaro nel corso del rapporto creditizio.

Tuttavia, sia i buoni fruttiferi postali che i libretti di risparmio danno spesso adito a diverse problematiche, allorquando il cliente si accinge a richiedere il rimborso concordato.

Talvolta, infatti, Poste Italiane si rifiuta di procedere al rimborso oppure non riconosce al sottoscrittore i tassi di rendimento nella misura dovuta.

Le questioni più diffuse, in particolare, attengono alla modifica dei rendimenti nel corso del rapporto, oppure al rimborso dei singoli cointestatari di bfp o di libretti di risparmio in seguito al decesso di uno dei contitolari, o anche all’asserita prescrizione del diritto al rimborso rilevata dall’intermediario.

Ciò premesso, il presente elaborato intende esaminare le questioni sopra esposte alla luce della giurisprudenza più recente, illustrando al riguardo quando le argomentazioni addotte da Poste Italiane non sono fondate e –se questo è il caso- come agire per ottenere il rimborso del dovuto.

Per ragioni di chiarezza espositiva, si esamineranno prima le questioni riguardanti i buoni postali fruttiferi e poi quelle che interessano i libretti postali.

1. Le principali questioni relative ai buoni postali fruttiferi

1.1. Il mancato rimborso integrale dei buoni postali fruttiferi della serie Q

In merito ai buoni fruttiferi postali, la maggior parte del contenzioso attiene ai bfp di durata trentennale emessi negli anni ’80, i quali vanno a scadenza proprio in questi anni.

In particolare, si sono verificate essenzialmente due situazioni problematiche, le quali sono state risolte in maniera diametralmente opposta dalla giurisprudenza (la prima a favore di Poste Italiane, la seconda dei risparmiatori).

La prima situazione concerne i bfp relativi alla serie “P/O” sottoscritti in data antecedente al giugno del 1986, i quali prevedevano alla data della loro sottoscrizione un tasso di interesse prestabilito, poi ridotto unilateralmente in forza di un decreto ministeriale del Tesoro del 13.06.1986, denominato “Modificazione dei saggi d’interesse sui libretti e sui buoni postali di risparmio”.

La riduzione dei rendimenti dei buoni non era stata di poco conto, considerato che i tassi stabiliti all’atto della stipula dei bpf risultavano dimezzati rispetto alle condizioni originariamente pattuite.

Per effetto di quanto sopra, i risparmiatori che in tempi recenti hanno riscosso i buoni fruttiferi della serie P/O hanno avuto una sgradita sorpresa, dal momento che Poste Italiane ha riconosciuto rimborsi di entità molto inferiore a quella indicata sul titolo.

Malgrado ciò, la giurisprudenza ormai consolidata (su tutte v. Cass. Civ. S.U. n. 3963/2019; Cass. Civ. S.U. n. 13979/2007) ha chiarito che detta modifica unilaterale deve reputarsi pienamente legittima, essenzialmente in forza delle seguenti fondamentali motivazioni: – innanzitutto, in quanto all’epoca della sottoscrizione dei bfp (negli anni ’80) non erano vigenti le normative applicabili ai giorni nostri, in special modo in tema di obblighi di informativa e di trasparenza a carico dell’intermediario, nonché in ordine all’obbligo di comunicare al cliente le variazioni contrattuali per lui peggiorative e la facoltà di recedere entro due mesi dal ricevimento di tale comunicazione (l’attuale art. 118 T.U.B. sul tema è stato introdotto soltanto molti anni dopo); anzi, al contrario, l’art. 173 del c.d. codice postale, allora vigente, prevedeva la possibilità per il Ministero del Tesoro di modificare in peius e con effetto retroattivo il saggio degli interessi dei buoni già emessi; – in secondo luogo, la medesima giurisprudenza (Cass. Civ. n. 27809/2005; Cass. Civ. S.U. n. 13979/2007; Cass. Civ. n. 19002/2017) ha statuito che i buoni postali fruttiferi non possono reputarsi titoli di credito ai sensi degli artt. 1992 c.c. e s.s., trattandosi di documenti di legittimazione ex art. 2002 c.c.

I titoli di credito, infatti, sono connotati dai requisiti della letteralità, autonomia ed astrattezza, per cui le loro condizioni di rimborso devono essere inderogabilmente contenute nel testo del titolo medesimo; i documenti di legittimazione, invece, sono descritti dall’art. 2002 c.c. come quei “documenti che servono solo a identificare l’avente diritto alla prestazione, o a consentire il trasferimento del diritto senza l’osservanza delle forme proprie della cessione”.

Pertanto -per quanto interessa- affermare che i buoni fruttiferi postali sono titoli di legittimazione, anziché titoli di credito, implica consentire la modifica unilaterale delle condizioni riportate nel testo dei bfp.

La prima conclusione da trarre, in definitiva, è che Poste Italiane può legittimamente rifiutarsi di rimborsare i buoni postali della serie P/O nella misura riportata sul titolo, se sottoscritti in data antecedente al citato D.M. 13.06.1986, dovendosi applicare i rendimenti di entità inferiore previsti dal menzionato decreto ministeriale.

* * *

Un discorso totalmente diverso riguarda invece la nuova serie di buoni fruttiferi postali “Q” emessi nel periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore del D.M. 13.06.1986.

Il problema si è posto in quanto Poste Italiane aveva continuato ad utilizzare i vecchi moduli di bfp della serie “P”, anche per i buoni di nuova emissione della serie successiva al decreto ministeriale del 1986 (serie denominata “Q”), ignorando la sopravvenuta riduzione dei rendimenti disposta dal citato d.m.

Con ogni probabilità, per ragioni di mera economia, si è voluto utilizzare tutti i moduli residui della precedente serie di buoni fruttiferi fino al loro totale esaurimento, con la conseguenza che si sono creati rilevanti problemi interpretativi in riferimento alle condizioni di rimborso applicabili.

In particolare, sui vecchi moduli che riportavano ancora la descrizione delle più vantaggiose condizioni della precedente serie “P”, erano stati apposti i timbri della nuova serie “Q”, nel (vano) tentativo di evitare equivoci in ordine all’appartenenza del titolo alla serie più recente.

Nella parte retrostante dei buoni fruttiferi in questione, infatti, veniva apposto il timbro “Q” accompagnato dall’indicazione dei tassi di interesse applicabili per i primi 20 anni di vita del buono ma non veniva disposto alcunché circa l’entità degli interessi da applicare negli ultimi dieci anni del titolo (il buono della serie Q aveva scadenza trentennale).

Dunque, per Poste Italiane, l’assenza di diverse indicazioni implica l’automatica applicazione dei tassi indicati nel D.M. 13.06.1986, anche per quanto riguarda gli ultimi dieci anni di vita del buono.

I risparmiatori, al contrario, sostengono che l’omessa indicazione dei tassi relativi agli ultimi dieci anni comporta l’adozione dei tassi di rendimento riportati sul testo dei titoli appartenenti alla precedente serie “P” che -come già accennato- sono di entità quasi doppia di quella prevista nel decreto ministeriale del 1986.

La giurisprudenza maggioritaria, chiamata a dirimere la presente vicenda, ha aderito con convinzione alla tesi dei risparmiatori in forza del principio del ragionevole affidamento del cliente su quanto riportato sul titolo, considerato inoltre che -in questo caso- il più volte citato d.m. non risulta applicabile, essendo derogato dal testo dei titoli.

Per effetto di quanto sopra, si sono registrate numerose pronunce sia da parte dell’autorità giudiziaria che dell’Arbitro Bancario Finanziario che, in pratica, hanno costretto Poste Italiane al rimborso dei buoni della serie Q, secondo i tassi di riferimento del vecchio corso P in relazione agli interessi applicabili negli ultimi dieci anni (dal 21° al 30° anno).

Il timbro dei buoni a scadenza trentennale della serie Q, apposto sui moduli della precedente serie P, indica i tassi di rendimento dei primi 20 anni ma niente è previsto per gli ultimi 10 anni. Per la giurisprudenza ormai consolidata, in relazione agli ultimi 10 anni, si devono applicare le condizioni più favorevoli al risparmiatore riportate sul buono per la precedente serie P, la quale prevedeva dei rendimenti raddoppiati rispetto alla serie successiva Q.

Si legge, in particolare, in una delle tantissime decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario: […] l’intermediario, nonostante l’intervenuto decreto ministeriale, non sembra aver diligentemente incorporato nel testo cartolare le complete determinazioni ministeriali relative al rendimento dei titoli (mancando in ciascuno dei buoni considerati la parte relativa al periodo dal 21° al 30° anno), ingenerando nel sottoscrittore l’affidamento in ordine al non mutamento della regola apposta sul retro del titolo in relazione ai criteri di rimborso previsti per il periodo successivo al 21° anno” (v. ABF Napoli n. 246/2019; in senso conforme ex multis Cass. Civ. S.U. n. 13979/2007; Cass. Civ. n. 6430/2016; Tribunale di Catania n. 6430/2016; Collegio Coordinamento ABF n. 5674/2013; ABF Torino n. 2571/2018; ABF Torino n. 4868/2017; ABF Bologna n. 3621/2018; ABF Roma n. 8791/2017; ABF n. 5998/2016).

In conclusione, il risparmiatore in possesso di buoni della serie Q, successivi all’entrata in vigore del D.M. 13.06.1986, avrà diritto ad ottenere il rimborso degli stessi in base ai più elevati rendimenti della serie P, per quanto interessa gli ultimi dieci anni di vita del titolo.

Per conseguire il rimborso dovuto, vi sono essenzialmente tre strade: 1) o presentare ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario, previa lettera di reclamo a Poste Italiane (la quale avrà a disposizione 30 giorni di tempo per rispondere); 2) o agire mediante ricorso per decreto ingiuntivo presso l’autorità giudiziaria competente; 3) o agire attraverso procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. previo esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria.

1.2. Il mancato rimborso integrale dei buoni postali fruttiferi della serie A1, AA1, AA2 e AA3 stampati sui moduli della precedente serie AF o CE

Un’altra casistica assai simile a quella sopra descritta ha interessato, in tempi più recenti, i buoni fruttiferi della serie “A1”, “AA1”, “AA2” e della serie “AA3”.

Anche in riferimento a tali buoni, infatti, emessi nei primi anni 2000, Poste Italiane ha utilizzato i moduli della precedente serie di bfp “AF” o della serie “CE”, i quali prevedevano dei tassi di rendimento superiore a quelli del corso successivo, senza apporre alcun timbro raffigurante i rendimenti del nuovo corso di buoni.

Nello specifico, Poste Italiane rileva che il D.M. 19.12.2000 ha disposto l’emissione dei nuovi titoli della serie AA1 a partire dal 28.12.2000 e che pertanto –pur in assenza del timbro della nuova serie- il risparmiatore doveva sapere che non stava sottoscrivendo buoni fruttiferi non più in vigore.

Sennonché, la giurisprudenza maggioritaria ha aderito pienamente alle posizioni assunte dal risparmiatore anche in questa occasione, rilevando che nei casi di specie non era stato apposto nessun timbro riconducibile alla serie “AA1” e “AA2” e che dunque doveva ritenersi meritevole di tutela l’affidamento, riposto dal cliente, sulle condizioni riportate sul titolo (ABF Milano n. 25255/2018; ABF Milano n. 7502/2016; ABF Milano n. 433/2016; ABF Milano n. 7928/2016; ABF Roma n. 3517/2016; ABF Roma n. 2659/2016; Tribunale di Roma n. 13469/2017; Cass. Civ. S.U. 13979/2007).

Una volta chiarito quanto sopra, deve riconoscersi in definitiva il diritto del risparmiatore a percepire il maggiore rimborso previsto per la precedente serie “AF” o “CE”, sebbene non più in vigore, ed anche in questo caso il risparmiatore potrà presentare ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario, oppure agire mediante ricorso per decreto ingiuntivo presso l’autorità giudiziaria competente, ovvero attraverso procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c.

1.3. Il diritto del cointestatario a riscuotere i buoni fruttiferi in caso di decesso di uno dei contitolari

Talvolta i buoni fruttiferi postali sono intestati a più soggetti e in questo caso una problematica diffusa si verifica in ipotesi di decesso di uno di loro, nell’eventualità in cui gli altri intendano riscuotere il titolo.

Al riguardo, occorre premettere che in genere i buoni fruttiferi cointestati riportano sulla facciata del buono una clausola denominata “PFR” (“pari facoltà di rimborso”) la quale consente, a ciascun contitolare, di riscuotere il titolo anche senza il consenso degli altri.

Malgrado ciò, ad avviso di Poste Italiane, la clausola “pfr” perderebbe la sua efficacia nell’eventualità del decesso di uno dei cointestatari e pertanto -per riscuotere il buono- servirebbe la firma di tutti i cointestatari (o dei loro eredi) sull’atto di quietanza, oltre a presentare all’intermediario una copia della denuncia di successione.

In particolare, il problema si pone in ordine ai buoni fruttiferi sottoscritti prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 4, del D.M. 19.12.2000, in quanto quest’ultimo ha chiarito che “i buoni postali fruttiferi possono essere intestati a più soggetti, con facoltà per i medesimi di compiere operazioni anche separatamente”.

Il dettaglio mostra come appare la clausola “pfr sul fronte dei buoni fruttiferi

La motivazione del rifiuto dell’intermediario è incentrata in particolare sull’art. 187 del d.P.R. 259/1989 previgente, il quale stabilisce che “Il rimborso a saldo del credito del libretto (…) cointestato anche con la clausola di pari facoltà a due o più persone, una delle quali sia deceduta, viene eseguito con quietanza di tutti gli aventi diritto”.

L’art. 203 del d.P.R. 259/1989, inoltre, prevedeva che “Le norme relative al servizio dei libretti di risparmio postali, di cui al titolo V del presente regolamento, sono estese al servizio dei buoni postali fruttiferi, in quanto applicabili e sempreché non sia diversamente disposto dalle norme del presente titolo VI”.

Ebbene, la giurisprudenza maggioritaria (Cass. Civ. n. 12385/2014; Corte d’Appello di Milano n. 4504/2017; Tribunale di Cosenza 31.01.2011; Tribunale di Genova 27.02.2017; ABF Roma n. 17227/2018; ABF Bologna n. 20226/2018; ABF Bologna n. 20244/2018; ABF Roma n. 15553/2017) ha chiarito che il menzionato art. 203 non è idoneo ad estendere in automatico la disciplina prevista per i libretti di risparmio anche ai buoni fruttiferi postali, alla luce dell’inciso “in quanto applicabili” riportato nella norma medesima, nonché dell’esigenza di adottare un’interpretazione restrittiva della disposizione contenuta nell’art. 187.

Una parte della giurisprudenza di merito (ad es. Corte d’Appello di Milano n. 4504/2017), inoltre, ha valorizzato il passaggio contenuto nella formulazione dell’art. 203, ove si legge “sempreché non sia diversamente disposto dalle norme del presente titolo VI”.

Infatti, il titolo VI del d.P.R. 259/1989, in particolare all’art. 208, prevede una deroga all’art. 203 laddove stabilisce che “I buoni sono rimborsabili a vista presso l’ufficio di emissione, per capitale ed interessi, previo confronto dei titoli con le corrispondenti registrazioni operate all’atto della emissione”.

L’excursus normativo appena illustrato ci porta a sostenere che la disciplina dei libretti di risparmio postali non si estende ai bfp, proprio perché una tale estensione poteva giustificarsi laddove non vi fosse stata -nel titolo VI del DPR 256/1989- una diversa e specifica disposizione normativa.

Una volta individuata questa diversa disposizione nel predetto art. 208 del DPR 256/1989, si deve concludere che i bfp, con clausola di pari facoltà di rimborso emessi in epoca precedente al DM 19.12.2000, debbano ricondursi sotto l’alveo del DPR 156/1973 ed appunto dell’art. 208 del DPR 256/1989 (regolamento di esecuzione dello stesso DPR 156/1973) i quali impongono il rimborso “a vista” dei buoni fruttiferi postali.

Ne consegue -in conclusione- che ad avviso della citata giurisprudenza non è necessaria né la firma di tutti i cointestatari del buono sull’atto di quietanza, né tantomeno servirà esibire la denuncia di successione.

A quest’ultimo proposito, peraltro, è stato precisato che i bfp fanno parte di quel novero di titoli che non entrano nell’attivo ereditario, con tutte le conseguenze che da tale esenzione scaturiscono anche dal punto di vista fiscale, ciò implicando che non vi sarebbe alcuna motivazione per ritenere indispensabile tale documento.

Ancora una volta, per conseguire il rimborso dovuto, il risparmiatore potrà presentare un ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario (previa lettera di reclamo da inviare a Poste Italiane), oppure agire mediante ricorso per decreto ingiuntivo presso l’autorità giudiziaria competente, ossia attraverso procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c.

1.4. La prescrizione dei buoni fruttiferi postali in caso di furto o smarrimento dei titoli

Per quanto interessa la prescrizione dei buoni fruttiferi postali, l’art. 8 del D.M. 19.12.2000 ha fissato tale termine -originariamente quinquennale- in dieci anni dal giorno in cui è possibile procedere alla loro riscossione.

A ben vedere, quindi, anche i buoni fruttiferi già emessi e non ancora potenzialmente riscuotibili, alla data di entrata in vigore del D.M. 19.12.2000, saranno soggetti al termine di prescrizione di dieci anni.

Occorre precisare però che le varie problematiche in tema di prescrizione non riguardano i buoni fruttiferi di emissione più recente, dal momento che questi ultimi non sono più emessi in forma cartacea bensì in forma dematerializzata e sono collegati ad uno specifico conto corrente postale.

La loro riscossione, in buona sostanza, avverrà in automatico direttamente presso il conto legato al buono fruttifero per cui -così facendo- ogni problematica relativa alla prescrizione del diritto al rimborso può dirsi superata.

Per quanto riguarda i buoni emessi ancora in forma cartacea, un’argomentazione che è stata spesa molte volte dai risparmiatori –la quale tuttavia non ha trovato riscontro positivo nella giurisprudenza maggioritaria- attiene alla minore età dell’intestatario dei buoni fruttiferi.

In pratica, in riferimento al titolare minorenne di bfp, si è ritenuto che la data di decorrenza del termine prescrizionale dovrebbe essere quella in cui il minore ha raggiunto la maggiore età, non potendo quest’ultimo riscuotere il buono prima di tale avvenimento.

Come sopra accennato, però, la giurisprudenza pressoché consolidata ha negato la fondatezza delle suesposte argomentazioni, rilevando che tra i motivi tassativi di sospensione della prescrizione ex art. 2941 c.c. […] non rientra l’ignoranza da parte del titolare del fatto generatore del suo diritto né il dubbio soggettivo sull’esistenza di tale diritto ed il ritardo indotto dalla necessità del suo accertamento” (ABF Bologna n. 15836/2018; Cass. Civ. n. 10828/2015; Cass. Civ. n. 3584/2012; Cass. Civ. n. 14163/2011; Cass. Civ. n. 15991/2009).

Ciò chiarito, un’altra questione peculiare che interessa la presente tematica riguarda il caso di furto o di smarrimento dei buoni fruttiferi postali.

In tali ipotesi, gli intestatari del buono in oggetto, o i loro eredi, potranno chiedere a Poste Italiane un duplicato dei titoli, per poi riscuoterli alla loro scadenza.

Tuttavia, è accaduto che Poste Italiane negasse di fornire un duplicato dei buoni fruttiferi, adducendo che essi erano già stati riscossi oltre dieci anni prima dalla data della richiesta dei duplicati, ovvero rilevando che il diritto del risparmiatore ad ottenere una copia dei titoli era già prescritto.

La giurisprudenza chiamata a pronunciarsi sulla questione si è schierata in favore dei risparmiatori, stabilendo -sul punto- che è onere di Poste Italiane dimostrare che i buoni erano stati effettivamente riscossi e che, in assenza di una tale prova, l’intermediario dovrà ottemperare alla richiesta di documentazione.

Si legge, infatti, in una delle tante pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario: «l’intermediario ha apoditticamente affermato l’avvenuta riscossione del buono, senza fornire adeguata evidenza della predetta circostanza. Lo stesso, infatti, si è limitato a ribadire l’esito negativo delle ricerche svolte nei propri archivi, circostanza che attesterebbe che il buono è stato rimborsato […]. In ragione di ciò lo stesso ha ritenuto che, essendo decorsi più di dieci anni dalla data del rimborso, non sarebbe gravato da alcun obbligo di rilascio di duplicati. … L’argomento è suggestivo ma non decisivo, ed infatti l’art. 119 pone in generale un limite temporale all’obbligo di comunicazione alla clientela ma in nessun modo esonera dall’onere di provare l’effettivo rimborso dei titoli. Il Collegio, non avendo la resistente fornito la prova certa del rimborso dei titoli suddetti ritiene sussistente l’obbligo della resistente a fornire la duplicazione degli stessi” (ABF Bologna n. 10537/2018; in senso conforme ABF Milano n. 2134/2016; ABF Roma n. 1049/2011; ABF Napoli n. 4752/2016; ABF Napoli n. 4028/2016).

Anche in tali casistiche, tra l’altro, i rimedi esperibili dal risparmiatore per ottenere i duplicati dei buoni smarriti o rubati consistono nel presentare un ricorso all’ABF (previa lettera di reclamo a Poste Italiane), o nell’agire mediante ricorso per decreto ingiuntivo presso l’autorità giudiziaria competente, ovvero attraverso procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c.

2. Le principali questioni relative ai libretti postali

2.1. Il mancato riconoscimento del tasso premiale dei libretti postali “Smart”

In tempi recenti, la maggior parte del contenzioso tra clienti e Poste Italiane, per quanto interessa i libretti postali, si è concentrata su una data tipologia di offerta di libretto, denominata “Smart”.

Tale offerta si mostrava assai vantaggiosa per il cliente in quanto prevedeva un tasso di interesse pari all’1,75% per il 2013-2014, nonché pari all’1,50% per i libretti emessi dal 2015 in poi.

Tuttavia, il rendimento realmente riconosciuto risultava ben inferiore a quello originariamente pattuito e vi erano talune condizioni di attivazione dell’offerta che non erano state adeguatamente pubblicizzate dall’intermediario, quali ad esempio la necessaria attivazione della carta libretto collegata al libretto postale ed il requisito di mantenimento obbligatorio di almeno il 90 % della giacenza iniziale sul conto.

In virtù di ciò, con provvedimento n. 2578/2015, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha condannato Poste Italiane al pagamento di una pesante sanzione amministrativa, dell’importo di € 540.000,00, ritenendo ingannevole la pubblicità del sopra menzionato libretto Smart.

In seguito al predetto provvedimento sanzionatorio, si susseguivano numerosi contenziosi tra Poste Italiane ed i propri clienti, volti ad ottenere il riconoscimento del tasso di interesse premiale promesso nel contratto (1,75% nel 2013-2014; 1,50% dal 2015), di cui si illustra di seguito una breve rassegna finalizzata ad evidenziare i principi di diritto più significativi.

Innanzitutto, la giurisprudenza ha chiarito che spetta a Poste Italiane provare di aver informato il cliente in maniera chiara ed esaustiva della necessità di attivare la carta libretto per vedersi riconosciuto il tasso premiale, attraverso il deposito di copia del contratto di emissione del libretto e delle correlate condizioni generali; in assenza di tale prova, il cliente avrà diritto ad ottenere il ricalcolo del tasso nella misura premiale concordata (ABF Napoli n. 15086/2018).

In secondo luogo, una volta provata la corretta informativa al cliente del predetto obbligo di attivazione della carta libretto, qualora il cliente dimostri di aver richiesto nei termini il rilascio della carta libretto, sarà onere dell’intermediario provare di aver consegnato al cliente la carta ed il pin, consentendogli l’attivazione dello strumento di pagamento; in caso contrario, ovvero quando Poste Italiane non abbia riferito alcunché circa le modalità di spedizione della carta e del documento contenente il pin, dovrà riconoscersi il tasso premiale concordato (ABF Napoli n. 5253/2016; in senso conforme ABF Napoli n. 6859/15; ABF Milano n. 346/16).

In merito poi alla necessità di mantenere almeno il 90% della giacenza iniziale sul conto ai fini dell’interesse premiale, la medesima giurisprudenza ha preso in esame il caso in cui, già alla data di emissione del libretto, non vi erano le condizioni per il riconoscimento del tasso in questione, stante il fatto che la giacenza sul conto era inferiore al 90% di quella iniziale. In tale ipotesi, il comportamento reticente di Poste Italiane, la quale ometteva di avvertire il risparmiatore di non possedere i requisiti necessari per il conseguimento del tasso premio, è censurabile a titolo responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c. ed é idoneo a generare il diritto al risarcimento dei danni da quantificarsi in misura pari al tasso di interesse promesso. Sul punto, si legge testualmente in una decisione dell’Arbitro Bancario Finanziario: […] nella giurisprudenza di legittimità, costituisce ormai principio consolidato quello secondo cui l’ambito di rilevanza dell’art. 1337 c.c. supera i confini dell’ingiustificata rottura delle trattative, assumendo il valore di clausola generale il cui contenuto non può essere determinato in maniera precisa. Ciò non esclude che esso implichi il dovere di trattare la controparte in modo leale, astenendosi da comportamenti maliziosi o reticenti e fornendo all’altro contraente ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. La violazione di tale regola comportamentale, quindi, rileva anche quando il contratto sia valido ed efficace, ma pregiudizievole per la parte, vittima della condotta scorretta della controparte contrattuale. In tal caso, la Suprema Corte ha riconosciuto il diritto della parte, vittima dell’altrui comportamento, al risarcimento del danno subito, risarcimento che deve essere commisurato al “minor vantaggio o al maggior aggravio economico” determinato dal comportamento contrario a correttezza e buona fede” (ABF Milano n. 5472/2016).

Un’altra casistica assai ricorrente attiene alla modifica del tasso premiale previsto in base al Foglio informativo aggiornato al mese di gennaio 2013, sulla scorta del Foglio informativo aggiornato ad aprile 2015, il quale prevede rendimenti inferiori per le adesioni dal 1° gennaio 2013 al 28 ottobre 2014. In pratica, Poste Italiane ha ridotto i tassi di interesse previsti nel foglio informativo del 2013, ovvero ha esercitato lo jus variandi previsto all’art. 10 delle condizioni generali di contratto, relativo all’emissione del libretto Smart, modificando unilateralmente i rendimenti inizialmente indicati nel foglio informativo. A ben vedere, però, il testo unico bancario riconosce agli intermediari il diritto di modificare unilateralmente le condizioni contrattuali ai sensi dell’art. 118 t.u.b. ma tale norma subordina l’esercizio del diritto alla comunicazione delle modifiche alla controparte contrattuale, a cui viene corrispondentemente riconosciuta la facoltà di recedere dal contratto così modificato. In assenza dell’assolvimento di tale onere, le modifiche intervenute saranno inefficaci. In definitiva, qualora Poste Italiane non fornisca alcuna prova circa l’assolvimento dell’onere di comunicazione della modifica unilaterale dei tassi applicabili (né attraverso la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale né attraverso ulteriori forme di natura recettizia), l’eventuale modifica peggiorativa dei tassi dovrà essere considerata inefficace nei confronti del cliente, a cui dovrà essere riconosciuto il diritto alla corresponsione degli interessi in base alle condizioni riportate nel foglio informativo pubblicizzato al momento dell’adesione alla promozione (ABF Napoli n. 20283/2018; ABF Napoli n. 2534/2017; ABF Milano n. 2883/2017; ABF Napoli n. 11201/2016).

Ad ogni buon conto, per ciascuna delle fattispecie poc’anzi descritte in punto di libretti del tipo “Smart”, le strade possibili per ottenere il pagamento dell’interesse promesso possono consistere nell’adire l’Arbitro Bancario Finanziario, ossia nell’agire direttamente presso l’autorità giudiziaria competente (previo tentativo di mediazione obbligatorio).

2.2. Il diritto del cointestatario a riscuotere la propria quota di spettanza di un libretto postale cointestato

Un’altra problematica molto comune attiene poi al diritto del cointestatario di un libretto postale di riscuotere la sua quota di spettanza, a prescindere dal consenso degli altri contitolari.

Sul punto, l’art. 8, comma 1, del D.M. 6 giugno 2002 stabilisce che “i libretti di risparmio postale nominativi possono essere intestati anche a più soggetti in numero non superiore a quattro. Le operazioni possono essere disposte da ciascun intestatario, anche separatamente, salvo patto contrario da notificare a Poste Italiane S.p.a., ove lo stesso non sia contenuto nel contratto di cui al precedente art. 2, comma 1 e ad eccezione dei casi previsti dalle leggi vigenti”.

Pertanto, in forza del citato disposto normativo ed in assenza di una dimostrata esistenza di un patto contrario, deve concludersi che il libretto cointestato permette un’operatività disgiunta da parte dei titolari. L’eventuale rifiuto da parte di Poste Italiane di procedere al pagamento della quota di uno dei cointestatari dovrà reputarsi senz’altro illegittimo.

In genere, si tratta di un caso concreto che si verifica in ipotesi di decesso di uno dei cointestatari, seguita dal blocco del libretto postale effettuato dall’intermediario su richiesta di uno dei coeredi.

Come sopra accennato, tuttavia, Poste Italiane dovrà consentire al cointestatario la riscossione della sua quota di spettanza, in assenza di prova di un patto contrario circa il carattere congiuntivo del libretto (ABF Bari n. 16884/2018).

I rimedi esperibili per ottenere il rimborso della propria quota consistono nel ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario ovvero nell’adire direttamente l’autorità giudiziaria competente.

2.3. La prevalenza delle ricevute rilasciate ai depositanti su quanto iscritto nei libretti

In riferimento ai libretti postali più datati, in particolare quelli attivati precedentemente all’entrata in vigore dell’art. 7 d.lg. n. 284/1999, ci si è chiesto cosa accada in caso di discordanza fra le somme indicate nelle ricevute rilasciate ai depositanti e quelle iscritte nei libretti.

Ebbene, tale problematica è stata risolta di recente dalla Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che fanno fede le ricevute rilasciate ai depositanti, salvo prova contraria.

In mancanza dei documenti sopra invocati, inoltre, la Corte Suprema ha chiarito che fanno fede le scritture dell’amministrazione centrale (Cass. Civ. n. 25030/2018).

2.4. Il termine di prescrizione dei libretti postali

In merito al termine di prescrizione ai fini di riscuotere le somme di denaro giacenti su libretti postali, esso è pari a dieci anni dal compimento dell’ultima operazione registrata sul libretto. Infatti, pur dovendosi prendere atto che per i depositi bancari, a seguito dei più recenti orientamenti della corte di legittimità, l’inerzia del depositante “non è interpretabile come manifestazione di disinteresse a far valere il suo diritto, cui possa collegarsi il decorso del termine prescrizionale, ma come mero esercizio di una facoltà, onde la prescrizione del diritto del depositante ad ottenere la restituzione delle somme depositate non inizia a decorrere prima che il cliente abbia richiesto la somma in restituzione, facendo sorgere il corrispondente obbligo della banca” (Cass. 20 gennaio 2012, n. 788), tuttavia la normativa speciale in materia di libretti postali fa decorrere la prescrizione per questi ultimi a partire dall’ultima operazione effettuata (v. art. 151, r.d. 27 febbraio 1936, n. 645).


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Avv. Davide Longo

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