Can. 1098 CIC: la mancanza della libertà di scelta come ratio dell’errore doloso. La tesi ed i suoi limiti

Can. 1098 CIC: la mancanza della libertà di scelta come ratio dell’errore doloso. La tesi ed i suoi limiti

Sommario: Introduzione – 1. Il nesso tra dolo e atto giuridico can. 125 – 2. Il dolo nel matrimonio canonico: la ratio legis del can. 1098 – 3. Requisiti necessari per individuare il dolo – 4. Rapporto tra dolo e libertà lesa – 5. Relazione tra errore e dolo – 6. Particolarità tipica del dolo – 7. La ratio del dolo – 8. Profili probatori del dolo

 

Introduzione

Intelligenza, volontà e libertà sono le componenti essenziali affinché un atto, compiuto dall’uomo, possa definirsi pienamente umano. Il consenso nuziale, alla luce dell’importanza che ha il matrimonio nella vita di due creature umane, deve essere un atto pienamente umano. Dunque, la componente della libertà è essenziale perché un matrimonio nasca in modo valido.

La libertà, come è ben noto, non consiste nel fare ciò che si vuole, bensì è la capacità di autodeterminarsi, ossia la capacità di scegliere fra due o più possibilità in modo autonomo, senza che nessuno ci dica cosa si debba o non si debba fare, ovviamente ben sapendo cosa si lascia e cosa si prende. Già si intuisce che, se non c’è un pieno uso della intelligenza e un pieno uso della volontà, anche la libertà è gravemente compromessa perché quando si tratta di scelte importanti e determinanti della vita è assolutamente necessario che l’attività intellettiva sia nella sua piena integrità e maturità.

Lo stesso va detto per la volontà che è la facoltà attraverso la quale, una volta conosciuta una cosa e una volta determinato che quella cosa è buona, su di essa ci si sporge fino a volerla o possederla: ma questo volere o non volere presuppone non solo la capacità integra della volontà, ma anche la piena libertà. Se sono costretto a fare una determinata scelta contro la mia volontà, il mio atto non è umano.

L’istituto matrimoniale costituisce, pur sempre, un atto giuridico che prende vita dal consenso legittimamente manifestato tra i due nubenti, per tale ragione, il dolo acquista rilevanza giuridica come vizio del consenso, sia pure entro i limiti positivamente stabiliti e ciò a tutela della integrità e della libertà di scelta del nubente. Se la previsione normativa dell’errore stabilita dal canone 1097 rimane circoscritta ai casi in cui l’errore sia insorto spontaneamente nel contraente, o sia stato provocato in buona fede, nel canone 1098 si dà invece rilevanza giuridica all’errore doloso, cioè a quello causato da una condotta dolosa di uno dei futuri coniugi o di un terzo e patito da uno dei contraenti riguardo ad una qualità dell’altro che può avere gravi conseguenze sul futuro dispiegarsi della vita coniugale.

L’introduzione del dolo, come nuova fattispecie di vizio del consenso, da lungo tempo attesa da molta parte della dottrina e della giurisprudenza canonica, manifesta la volontà del legislatore di sancire ulteriormente quella significativa evoluzione in senso personalista del matrimonio avviata dal Concilio Vaticano II, ed in particolare la tutela del consenso e della libertà con la quale i nubenti possano giungere alla scelta matrimoniale in maniera il più possibile consapevole ed autonoma. Infatti, in tale finalità, si fa consistere pressoché unanimemente la ratio legis del nuovo canone, laddove l’inganno attenta proprio all’autenticità del processo decisionale del contraente nella scelta del coniuge.

Non si tratta, pertanto, di una norma con la quale ci si prefigge di reprimere l’illecito commesso dall’ingannatore per ottenere il consenso sanzionando quell’azione con la nullità del matrimonio, ma si vuole garantire la buona fede del nubente e la formazione libera del suo consenso. La definizione classica di dolo divenuta di riferimento per la dottrina è quella risalente al diritto romano, tramandataci da Ulpiano: omnis calliditas, fallatia, machinatio, ad circumveniendum, fallendum, decipiendum, alterum adhibita. Più tecnicamente il dolo si delinea come ‘deceptio alterius deliberate et fraudulenter commissa, qua his inducitur ad ponendum determinatum actum iuridicum”.[1]

1. Il nesso tra dolo e atto giuridico can. 125

Il can.  1098 rappresenta la concretizzazione positiva della norma prevista al can.125, poiché il dolo verrebbe ad incidere su un elemento sostanziale della istituzione matrimoniale. Mentre il can. 125 paragrafo 1 dispone che: actus positus ex vi ab extrinseco personae illata, cui ipsa nequaquam resistere potuit, pro infecto habetur, il nesso tra dolo e atto giuridico è preso in considerazione dal legislatore canonico al can. 125 paragrafo 2, dove si trova la regola generale sulla validità dell’atto posto ex dolo in base al principio per cui la volontarietà del deceptus non è tolta del tutto ma soltanto diminuita: actus positus ex mei gravi, inuste incusso, aut ex dolo, valet nisi alnid iure caveatin sed po test per sententiam iudicis rescindi, sive ad instantiani partis laesae ein sve in iure sucessorum sive ex officio.

Questo principio generale è fondamentale poichè il dolo non impedisce al consenso di esistere; ma il consenso viene certamente ad essere viziato, pur non influendo in modo determinante sulla dimensione della volontà, arrivando al punto di annullarla[2].

Il Legislatore non ignora l’esistenza di atti giuridici che, per la loro importanza e per le conseguenze che hanno nella vita delle persone, richiedono la piena volontà e libertà per essere posti, infatti da questa consapevolezza nasce l’eccezione alla norma generale relativa alla validità dell’atto posto ex dolo, prevista nel canone 125: nisi aliud iure caveatur. A norma del can, 125 paragrafo 2 ed in virtù del principio di equità si evidenzia la possibilità di invalidare l’atto per sentenza del giudice, ad istanza della parte lesa o ex officio[3].

L’azione rescissoria è, per sua natura, azione relativa, ovvero esperibile solo da parte di quel soggetto nel cui interesse è stata stabilita dalla legge, e con effetto costitutivo, modificando una situazione giuridica pre-esistente: l’atto giudico compiuto dall’agente aveva prodotto, sia pure temporaneamente, i suoi effetti; accertata, successivamente, l’esistenza di un vizio perturbante il momento della prestazione del consenso negoziale, il deceptus, limitato nella  sua libertà negoziale, esperisce l’azione rescissoria[4]. Le condizioni per l’esperimento della actio rescissoria sono che l’atto sia stato posto ex dolo, ovvero che l’atto giuridico sia stato posto in essere sotto l’influsso diretto del dolo, denotandosi così uno stretto nesso tra l’artificio dolosamente compiuto e l’atto giuridico compiuto; si richiede, altresì, che il dolo sia dimostrato, riscontrandosi oggettivamente la limitazione della libertà del deceptus poiché il legislatore ritiene invalidi alcuni atti di capitale importanza, sia in ragione del bene comune della Chiesa, sia per il bene delle persone direttamente interessate[5], le eccezioni “ex lege” alla regola generale che sancisce la validità dell’atto computo riguardino prevalentemente casi di dolo “circa accidentalia” e sanciscano la nullità dell’atto come il risultato di un intervento determinativo del legislatore ecclesiastico[6].

L’eccezione al principio della validità dell’atto giuridico si manifesta nella particolare categoria di quegli atti che, ex natura rei, rievocano una piena volontarietà e consapevolezza nell’agente che li pone in essere, prospettandosi, in ambito dottrinale, la distinzione tra atti canonici non spirituali e atti canonici spirituali[7]. Il problema che viene indirettamente toccato nella normativa codiciale relativa agli atti canonici non spirituali e agli atti canonici spirituali afferisce al dolo sostanziale e alla sua incidenza sull’atto giuridico posto in essere: in questo modo, la norma positiva e i suoi profili sanzionatori, realizzati attraverso l’azione rescissoria, garantiscono ai voventes [8](e con il can. 1098 ai nubentes) una protezione della libertà consensuale. Il canone 1098 realizza, compiutamente. la concretizzazione di questa eccezione nell’ambito del diritto matrimoniale[9].

L’istituto matrimoniale costituisce pur sempre un atto giuridico che prende vita dal consenso legittimamente manifestato tra i due nubenti, per tale ragione, il dolo acquista rilevanza giuridica come vizio del consenso, sia puro entro i limiti positivamente stabiliti, e ciò a tutela della integrità e della libertà di scelta del nubente[10].

2. Il dolo nel matrimonio canonico: la ratio legis del can. 1098

Il dolo, nel matrimonio canonico, consiste in raggiri o inganni, ossia in una macchinazione messa in atto dal partner o da terzi allo scopo di ottenere il consenso matrimoniale di una persona. Si tratta di una particolare figura di errore, perché in questa fattispecie l’errore è intenzionalmente causato da un inganno: diversamente dall’errore in qualitate, ove il falso giudizio o l’erronea immagine della controparte sorgono spontaneamente nel nubente e non vengono creati con artifizi, nell’ipotesi dell’errore doloso il raggiro produce nell’intelletto della parte ingannata un giudizio sbagliato e, attraverso tale errore, determina il consenso viziandolo.

Il dolo, difatti, costituisce una grave limitazione della libertà del nubente ingannato, indotto a consentire a qualcosa di non voluto mediante una falsa rappresentazione della realtà, poiché solo conoscendo correttamente la verità sarebbe nella condizione di operare una scelta libera e consapevole. L’inganno, nel matrimonio, è anche contrario ai principi di giustizia ed equità, oltre che lesivo della dignità degli sposi e contrastante con la natura stessa del consorzio matrimoniale, con la sincerità e fiducia necessarie per instaurare un’autentica comunione di vita e amore coniugale. In tali esigenze deve ravvisarsi il fondamento giuridico del can. 1098 che dispone “Chi celebra il matrimonio, raggirato con dolo, ordito per ottenere il consenso, circa una qualità dell’altra parte, che per sua natura può perturbare gravemente la comunità di vita coniugale, contrae invalidamente”.

3. Requisiti necessari per individuare il dolo           

Il dolo ha efficacia invalidante del consenso soltanto se presenta i requisiti stabiliti dalla norma. Anzitutto, è necessario che la persona che mette in atto la macchinazione dolosa intenda inferire un danno al nubente, prospettando un’immagine falsata relativa al futuro coniuge: in altri termini, il dolo deve essere diretto, ossia preordinato alla celebrazione delle nozze. Oggetto dell’inganno deve essere una qualità della persona del futuro coniuge (non una circostanza, né una qualità di una persona diversa dal coniuge): può trattarsi di una qualità fisica, morale, religiosa, sociale.  La qualità falsamente prospettata nel futuro coniuge non può essere banale o irrilevante, ma deve avere una natura tale da poter perturbare gravemente il consorzio di vita coniugale.

Il consenso coniugale dà origine ad un’alleanza avente per oggetto la donazione e l’accettazione delle persone stesse dei coniugi, per cui si fonda sulla loro reciproca sincerità circa ciò che ciascuno è realmente. Stabilito che, per sorgere il matrimonio è richiesto il consenso, atto umano che, come tale, deve essere libero, si pone la questione, in relazione al dolo, se e come quest’ultimo intervenga nel processo formativo dell’atto di volontà teso al matrimonio e se ne limiti la necessaria libertà. Attuato il comportamento doloso ci si chiede se è possibile parlare di mancanza della libertà del deceptus nell’emissione di un valido consenso. Se, infatti, con il comportamento doloso vi è una violazione della libertà della persona ingannata, si potrebbe ritenere che il Legislatore, con il can. 1098, abbia inteso tutelare la libertà del deceptus, dichiarando nullo il matrimonio celebrato per effetto del dolo. Risulta, quindi, necessario vedere se il dolo interviene ad influenzare essenzialmente il corretto processo deliberativo dell’ingannato. Appurata l’esistenza di tale intervento, va individuato in quale modo esso si concretizza, se cioè il dolo agisce in modo tale da ledere la libertà richiesta per emettere un valido consenso.

4. Rapporto tra dolo e libertà lesa

Il dolo, inteso come inganno teso ad indurre l’altro a decidere il matrimonio con una determinata persona, raggiunge il fine per il quale è stato ordito quando il deceptus, indotto in errore dall’attività fraudolenta, consente. Perplessità sorgono relativamente all’esistenza dell’effettiva libertà del decptus. Se esaminiamo l’influsso del dolo sull’aspetto umano del consenso, è inevitabile che per poter individuare l’intervento i quest’ultimo sulla libertà dell’inganno, deve necessariamente essere esaminata la genesi dell’atto volontario, individuando, quindi, in quale momento dell’iter decisionale il dolo interviene per vedere poi se abbia influenza sulla decisione matrimoniale. Risulta, quindi, chiaro che è molto importante analizzare il rapporto tra intelletto e volontà del deceptus, per poter definire il suo grado di libertà.

L’attività dolosa interviene sulle facoltà conoscitive attraverso l’errore: è con l’illusoria rappresentazione posta in essere da colui che agisce dolosamente che l’ingannato viene a conoscenza di una realtà che è falsata. L’intelletto, quindi, presenta alla volontà la realtà così come l’ha appresa, cioè artificiosa ed è su questa che la volontà delibera: essa non conosce altro che quello che le è stato presentato dalla errata apprensione intellettiva.

In relazione al rapporto esistente tra intelletto e volontà, le posizioni dottrinarie non sono univoche: vi è infatti chi sostiene che la volontà agisce indipendentemente dall’intelletto, pur essendo questo necessario antecedente della volontà.[11] Al contrario vi è chi sostiene che l’intelletto e la volontà interagiscono l’una con l’altra, influenzandosi reciprocamente. Vi è poi chi, secondo l’assunto secondo il quale tra intelletto e volontà non vi è legame ma semplice antecedenza, ritiene che il dolo non sia la causa propria[12] della nullità del consenso matrimoniale, ma solo causa mediata: il dolo crea il giudizio erroneo che ingenera l’errore che è, in tal caso, la causa diretta e propria della nullità del consenso. Ne consegue, dunque, che il dolo ha influito sulla libertà del consenso. Basandosi, infatti sul presupposto che nel processo elettivo è la volontà che sceglie, ma con l’aiuto dell’intelletto le presenta un determinato oggetto quale bene da raggiungere, è inevitabile che, pur in presenza di una fattispecie dolosa non vi sia alcuna limitazione o menomazione dei processi intellettivi-volitivi del deceptus.

Analizzando, secondo tale impostazione l’iter selettivo dell’ingannato, ci si accorge che attraverso l’errore le facoltà intellettive mostrano alla volontà una falsa realtà, ed è su questa che la volontà è chiamata a decidere. Il dolo, influendo sulla volontà solo in modo indiretto, cioè attraverso l’errore in cui è incorsa la persona, pur sempre la priva della piena libertà per poter decidere senza una rilevante influenza esterna, rimanendo del tutto inalterata, però la capacità intellettivo-volitiva dell’ingannato. La fattispecie dolosa, così come è strutturata, si avvicina ad altre due fattispecie conosciute nell’ordinamento canonico ed alle quali è stata riconosciuta rilevanza invalidante: l’errore ed il metus.

5. Relazione tra errore e dolo 

L’accostamento del dolo all’errore è originato dalla presenza dell’errore nella fattispecie dolosa: il deceptus a causa dell’inganno di cui è stato oggetto, cade in errore. Pur trattandosi evidentemente di errore, vi sono differenze tra le due fattispecie: nell’errore, infatti, è colui che incorre nell’errore, apprendendo in modo inesatto la realtà, che è preso in considerazione ai fini della validità del consenso che ha emesso, in tal caso l’interesse è puntato solo sul dato di fatto indipendentemente dalla sua causa, l’attenzione di conseguenza è posta unicamente sull’errante. In caso di dolo, invece, vi sono due soggetti che agiscono il deceptor ed il deceptus.

L’attenzione, quindi, non può essere centrata unicamente sull’ingannato poiché egli non è l’artefice del suo errore ma è l’attività fraudolenta posta in essere dal soggetto attivo del dolo che induce l’altro in errore. Le macchinazioni ordite dal deceptor e miranti a carpire il consenso del deceptus limitandone, attraverso l’errore la scelta, hanno in sé l’ingiustizia tipica delle azioni tese al danno altrui e che richiedono quindi degna tutela, soprattutto in ambito matrimoniale in cui si richiede, per la communio vitae sincerità tra i coniugi. Come per l’errore anche nel dolo, proprio a causa della falsa rappresentazione della realtà in cui incorre il deceptus, vi è la mancanza degli elementi conoscitivi per poter giungere ad emettere un valido consenso[13]. In caso dell’errore però non si è posto il problema della mancanza di libertà di scelta dell’errante, è quest’ultimo, infatti, l’origine del proprio errore che lo induce ad emettere il consenso. Il processo formativo della volontà rimane integro: colui che erra compi un atto volontario e libero. Se l’errore non inficia la libertà della persona, poiché non vi è nessuna anomalia o difficoltà che intaccano il corretto processo formativo, l’erronea conoscenza dolosa comporta, al contrario, la limitazione della sua possibilità di scelta.

Il soggetto errante è libero nel processo formativo della volontà, ma subisce una limitazione nella sua possibilità di scegliere, limitazione originata proprio dalla presenza dell’errore causato dall’inganno. In realtà, ed è sotto questa particolare prospettiva che la fattispecie dolosa si allontana da quella dell’errore, il deceptus tanto conosce erroneamente la realtà in quanto vi è l’intervento del deceptor che lo induce ad errare. Si concretizza un’azione esterna a colui che decide, tesa a deviare il corretto iter formativo della scelta. Questo intervento esterno, che non si verifica nell’ipotesi di errore, è al contrario presente nel timore, fattispecie nella quale un altro interviene sull’iter deliberativo del metus patiens per deviarlo con costrizione. Analogicamente, quindi, con l’ipotesi dell’errore si potrebbe affermare che l’ingannato, pur in presenza dell’errore, rimane libero nel suo processo decisionale, che si svolge regolarmente, ma nel contempo, nel caso di dolo, proprio l’intervento ingannatorio, teso alla falsa percezione della realtà, comporta seri dubbi sulla effettiva possibilità di scelta del deceptus.

La presenza del soggetto attivo, infatti, indurrebbe a ritenere applicabile alla fattispecie dolosa, per analogia con il metus, le conclusioni di cui si giunti per quest’ultimo e cioè che, l’intervento del metus inpatiens teso ad ottenere la coazione del consenso, limita la libertà di scelta del metus patiens attraverso il condizionamento esteriore:[14] colui che subisce, infatti non ha che due possibilità di scelta: o il matrimonio con una determinata persona o subire il male minacciato.

L’applicazione di tale conclusione al dolo, però, non è così semplice nè scontata: è vero, infatti che come nel caso del timore è l’intervento esterno ad indirizzare la scelta, ma nel primo caso la coazione interviene direttamente sulla formazione della volontà del soggetto sottoposto a timore, mentre nel secondo caso (ed ecco la differenza tra le due fattispecie), l’intervento esterno produce i suoi effetti solo a livello intellettivo ed attraverso le facoltà intellettive che si ripercuote sulla volontà.

6. Particolarità tipica del dolo

Partendo, quindi, dal presupposto che la fattispecie dolosa ha la particolarità, che le è propria, di intervenire principalmente sull’intelletto, individuare se e come il dolo possa mirare la libertà di scelta del soggetto, porta a soluzioni diverse in base alla concezione che si ha della libertà. Vi è chi sostiene, confrontando la fattispecie del metus a quella del dolo, che la diversità tra le due esiste proprio in base alla diversa situazione psicologica esistente tra i due soggetti che subiscono la coazione o l’inganno. Nel primo caso, infatti, la persona che emette il consenso vuole il matrimonio, ma solo per liberarsi dal male minacciato, quindi è consapevole della formazione anomala del suo volere. Nel caso del dolo, al contrario, la persona ingannata, non avendo la percezione dell’inganno ordito ai suoi danni, vuole il matrimonio. Per quel che riguarda il dolo, quest’ultimo agendo solo sull’intelletto e non anche sulla volontà, non determina alcuna limitazione della volontà del deceptus, che liberamente vuole il matrimonio[15].

Da tale ragionamento si conclude che la “libertà del volere del deceptus resta intatto, l’attentato, semmai è portato è portato con false rappresentazioni alla sua sfera intellettiva da cui, poi, di riflesso, passa ad influenzare la formazione della volontà il diverso ruolo della libertà nei due casi è innegabile[16].Vi è poi chi, non condividendo la differenza tra le due fattispecie sostiene che in entrambi i casi la persona vuole senza che vi sia quindi una limitazione della sua libertà[17]. In tal caso, dunque, il dolo non comporta alcuna limitazione della libertà del deceptus, il quale rimane fondamentalmente libero nella sua genesi volitiva[18]. Vi è poi chi, pur accettando la possibilità che il dolo limiti la libertà ritiene che questo non acquisti un ruolo fondamentale e rilevante ai fini della nullità matrimoniale, poiché è l’errore, qualunque sia la sua origine, dolosa o spontanea, a provocare la manifestazione errata della volontà.

Sotto questo profilo, l’ipotesi dolosa può essere accostata alla situazione ingenerata dalla presenza del metus: in entrambi i casi vi è un intervento esterno mirato ad ottenere una determinata scelta della persona. In entrambi i casi il fine è quello di intervenire sulla decisione della persona, limitandola nella necessaria libertà di scelta, ma non nel corretto uso delle facoltà determinative; nel caso del timore, però, l’intervento esterno agisce direttamente sulla volontà, nel caso del dolo, invece, pur essendo l’intervento mirato alla volontà, vi giunge solo indirettamente, attraverso l’attività intellettiva.

7. La ratio del dolo

Appare rispettoso individuare la ratio del dolo nella necessità di tutela della libertà consensuale del nubente poiché: “Il diritto vuole qui evidentemente offrire una tutela alla corretta formazione del consenso matrimoniale, alla direzione che la volontà riceve dall’apprensione dell’oggetto come ‘buono’ e quindi appetibile, direzione che non deve essere artatamente sviata”[19].

Il bene giuridico che viene protetto dalla normativa relativa al dolo: “es la libertad personal en una materia tan delicada e íntima, como es la conyugal, que se ve caramente afectada e inválida por la injusta maquinación dolosa productora del error”.[20] Il dolo originando una falsa rappresentazione della realtà nell’intelletto del nubente influisce sull’atto di formazione del consenso matrimoniale: “conclusio est quod actio dolosa a decipiente elicita terminatur, et quidem cum metaphisica necessitate, in intellectu, in creatione iudicii pratici erronei et in sphaera voluntatis nullatenus accessu directo gaudet, sed mediate et indirecte, scilicet per iudicium practicum erroneum”.[21]

L’azione ingannatoria, quindi, viene a creare nel deceptus un errore ex parte intellectu circa l’esistenza (o l’assenza) di una data qualità nella comparte, provocando una alterazione della libertà, ovvero un restringimento della libertà di scelta nell’opzione matrimoniale[22]. Il Legislatore non prevede, normativamente, alcuna peculiare qualificazione circa la figura del deceptor: se cioè debba trattarsi di uno dei due nubenti oppure se possa essere anche una terza persona che agisca da sola o in sintonia con una delle parti.

8. Profili probatori del dolo

Nella dinamica dell’accertamento processuale circa l’effettiva sussistenza di una intenzione dolosa, acquista rilievo la dichiarazione giudiziale del deceptor, confermata da testi degni di fede, tempore non suspecto[23], che non solo ne esplicita le intenzioni al tempo delle nozze, ma permette anche una analisi delle motivazioni personali che possono averlo determinato alla celebrazione del matrimonio con la persona del coniuge e che costituiscono, a loro volta, la base motiva della condotta dolosa tenuta a danno della comparte.[24]

Ora bisogna provvedere ad esaminare la causa che ha generato, attraverso il comportamento commissivo od omissivo del deceptor l’errore doloso nell’altra parte; nonché ad esaminare l’intentio deceptoris[25], in altre parole va verificato se il soggetto dolum patrans, abbia effettivamente avuto intenzione di ledere la l’altra parte omettendo od occultando la verità sulla propria persona, o su di una qualità personale, con il fine specifico e pratico di celebrare il matrimonio[26].

L’intentio deceptoris si svela nel comportamento del deceptor, sia anteriormente che posteriormente l’avvenuta celebrazione delle nozze, gli indizi e le circostanze che accompagnano la vicenda personale e matrimoniale della coppia[27], diventano oggetto di indagine giudiziaria e sono da valutare nel contesto probatorio più ampio, soprattutto in connessione con le testimonianze[28].

La precisa formulazione del can. 1098 esige, inoltre, l’accertamento della gravità della qualità: è opportuno, oltre che ragionevole, che il giudice contemperi il criterio oggettivo, (che assume come misura l’attitudine turbativa della qualità che si riflette nella dimensione coniugale), con il criterio soggettivo, vale a dire, le aspettative, la rilevanza anche “soggettiva” che, comunque, quella qualità, dolosamente falsificata, può avere per il soggetto passivo del dolo. [29]

Per quanto riguarda la prova indiretta, assume importante rilievo la reazione del deceptus, nel momento in cui viene a conoscenza dell’effettiva realtà dei fatti taciuti dolosamente all’epoca della celebrazione del matrimonio: scoperta la verità ed appreso l’inganno, il deceptus paleserà una reazione comportamentale emotiva tale da riflettersi sulla stabilità e sulla serenità del rapporto coniugale, che potrà determinarlo ad una repentina interruzione unilaterale della convivenza coniugale[30].

Quanto alla prova dell’errore ai sensi del can 1098 si trova spesso utilizzato lo strumento logico costituito dai due criteri indiziari denominati criterium aestimationis e criterio reactionis.  In concreto: l’accertare che il soggetto tenesse alla presenza o all’assenza di una certa qualità personale nel futuro coniuge nonchè il verificare come esso si sia comportato alla scoperta dell’errore sono considerati indiziari della prova di un vero stato di errore e, ancor più precisamente, di un errore determinante, ossia dans causam al consenso matrimoniale[31].

Concludendo, possiamo affermare che per quanto riguarda la prova diretta[32]: gli elementi probatori sono le dichiarazioni giudiziarie ed extragiudiziarie delle parti e dei testi, ma soprattutto del deceptus, rese soprattutto in tempo non sospetto, nonché i documenti. Per quanto riguarda la prova indiretta è necessario evidenziare il criterio aestiomationis ed il criterio reactionis[33].

 

 

 

 

 


[1] J. F. CASTAÑO., Il sacramento del matrimonio, Roma 1994, p. 354; G. MICHIELS, “Principia generalia de personis in Ecclesia”, Romae 1955, p. 660.
[2] G. MUSSINI, La legge naturale negli impedimenti matrimoniali: matrimonio sacramentale alla prova della realtà contigente, 2a ed., Verona 2019.
[3] Cfr. F. INCHES, La difesa “rationabiliter” del vincolo matrimoniale dal codice di diritto canonico del 1983 al motu proprio ‘mitis iudex dominus Iesus’ del 2015, Roma 2017.
[4] Cfr. AA.VV. Le regole procedurali per le cause di nullità matrimoniale: linee guida per un percorso pastorale nel solco della giusitizia, Città del Vaticano 2018.
[5] Cfr. P. CIPOLLA, Il dolo nel matrimonio canonico: natura del can. 1098, Roma 2019
[6] Cfr. R .WITZEL, La prova del dolo (can. 1098 C.I.C.) nella giurisprudenza della rota romana, Roma 2006.
[7] si tratta qui dell’ammissione al noviziato di cui al can. 643p.1 n.4 e della professione religiosa di cui al can. 656 n.4 cfr. RPALOMBI, Errore doloso e atto giuridico, in AA.VV. Errore e dolo nella giurisprudenza della Rota Romana, Città del Vaticano, 2001 pp. 68-69.
[8] Cfr. P. CIPOLLA, Il dolo nel matrimonio canonico: natura del can. 1098, Roma 2019.
[9] Cfr. F. COCCOPALMIERO, Il nuovo processo matrimoniale canonico: una guida tra diritto e cura pastorale, Bari 2018.
[10] Cfr. R. WITZEL, La prova del dolo (can. 1098 C.I.C.) nella giurisprudenza della rota romana, Roma 2006.
[11]Cf. F.X. WERNZ – P. WIDAL, “Ius canonicum ad Codicis normam exactum”, Romae (1923-1937), 590.
[12]Da una definizione di “causa propria” il Gangoiti, il quale così la descrive “Dicitur causa propria, adaequata et totalis illa quae contituit causam proxiiman et immediatam effectus, illa quae cun propria acrione, sive in essendo sive in agendo, tangit directe, effectum necnon produvit totaliter effectum”, B. GANGOTTI, “Dolus, vel melius, error constitutione titulum sive causam nullitatis matrimonii?, in Angelicum, 50 (1973), 390.
[13] Per maggiore chiarezza, va evidenziato che sia in caso di errore che in caso di dolo, gli elementi conoscitivi cui ci si riferisce non sono quelli soggettivi, che in entrambi i casi rimangono inalterati. Ci si riferisce, invece a quelli oggettivi, intesi come quegli elementi relativi all’oggetto della conoscenza, che sia in caso di errore che in quello di dolo vengono ad essere traviati.
[14] Relativamente alla mancanza di libertà interna e alla limitazione della libertà esterna nel caso di metus, cf. F.R. F. R. DAZNAR, “Defecto de discrecion de juicio” in “Jurisprudencia matrimonial de los tribunales eclesiasticos espanoles”, Publicaciones Universidad Pontificia de Salamanca, Salamanca (1991)”, 518.
[15] O. GIACCHI, Il consenso matrimoniale canonico, Milano, Giuffrè, (1950) 100.
[16]A. PUNZI NICOLO’, “Il dolo nel matrimonio canonico”, 598
[17]P. FEDELE, “Il dolo nel matrimonio canonico”, 58
[18]J. A. MANS PUINGARNAU, “El consentimento matrimonial, 54
[19]A. M. PUNZI NICOLO’, Problematica attuale dell’errore e del dolo nel matrimonio, in Ephemerides Juris Canonici, 37 (1981), p. 160; c. Burke, 18.7.1996, in ARRT, 88 (1999), p. 541, n. 22: «Canon 1098 utique in cristiano personalismo radicatus videtur. Quin attenuet obligationem assumendi personalem responsabilitatem pro electionibus libere factis, dirigitur ad tuitionem libertatis personalis contra dolosam intrumentalizationem ex parte aliorum».
[20]J. FORNES, Error y dolo: fundamentos y diferencias, in Ius Canonicum, 35 (1995), p. 178. Cfr. J. I. BANARES, La relación intelecto-voluntad en el consentimiento matrimonial, in Ius Canonicum, 33 (1983), p. 597.
[21]G. GANGOITI, Dolus vel melius error constituitne titulus sive causam nullitatis matrimonii? in Angelicum, 50 (1973), p. 389.
[22]S. VILLEGGIANTE, Per l’impostazione della rilevanza del dolo, in AA.VV., Il dolo nel consenso matrimoniale, Città del Vaticano, 1972, p. 45: «Chi arriva a formulare il consenso sotto l’azione del dolo, agisce sub imperius alterius. Questi provocando l’errore apporta una deviazione nel processo conoscitivo del soggetto. Sappiamo che, ordinariamente, la libertà di scelta e, quindi di responsabile determinazione, non sta nell’intelletto ma nella volontà. Ora i mezzi di scelta che l’intelletto può proporre alla volontà, non sono se non quelli che il raggiro altrui ha determinato […] la volontà si trova a dover scegliere e quindi a dover deliberare su una realtà come falsamente rappresentata dall’inganno altrui, e in ultima analisi, come voluta da altri, e non su una realtà oggettivamente vera».
[23] Cfr. R. WITZEL, La prova del dolo (can. 1098 C.I.C.) nella giurisprudenza della rota romana, Roma 2006.
[24] C. STANKIEWICZ, 27.1.1994, in ARRT, 86 (1997), p. 70, n. 26: «Probatio autem directa procedit ex ipsius errantis aut decepti er deceptoris, seu dolum inferentis, confessione tum iudiciali cum etiam extra iudiciali, tempore non suspecto facta, quam testes fide digni ac documenta in iudicio confirmare debent». Cfr. Monier, 22.3.1996, in ARRT, 88 (1999), p. 302, n. 12; c. Faltin, 30.10.1996, in ARRT, 88 (1999), p. 675, n. 13.
[25] Cfr. R. WITZEL, La prova del dolo (can. 1098 C.I.C.) nella giurisprudenza della rota romana, Roma 2006.
[26] P. BIANCHI Esempi di applicazione giurisprudenziale del can. 1098 dolo: casistica e problemi probatori, in Qua derni di diritto ecclesiale 9 (1996) p 372.
[27] Cfr. R. WITZEL, La prova del dolo (can. 1098 C.I.C.) nella giurisprudenza della rota romana, Roma 2006.
[28] Cfr. P. CIPOLLA, Il dolo nel matrimonio canonico: natura del can. 1098, Roma 2019.
[29]C. DE FILIPPI, 4.12.1997, in ARRT, 89 (2002), p. 859, n. 7: «Probatio quae utique considerari potest sive directa […] sive indirecta […] ad id ducere debet ut verificetur utrum in casu reapse perficiantur omnes condiciones statutae in can. 1098 […] Scilicet: a) definiendum est quaenam fuerit qualitas alterius partis, circa quam deceptus dolo asserit se in errorem incidisse; b) statuendum est sive momentum obiectivum illius qualitatis ad graviter perturbandum consortium vitae coniugalis, sive momentum subiectivum quod deceptus dolo illi qualitati tributi; c) constabilendum est num illa qualitas (vel eiusdem absentia) ante matrimonium reapse ignorata fuerit ab eo qui dicitur dolo deceptus; scil.: num ipse in errore versaretur; d) colligendum est num ille error ab asserto deceptore dolose inductus sit et quidem ad extorquendum consensum alterius partis; e) explorandum est num utrum modus agendi illius, qui se deceptum esse contendit, postquam veritatem detexit, reapse congruens an discrepans fuerit cum thesi quam propugnat coram Tribunali Ecclesiastico».
[30] P. CIPOLLA, Il dolo nel matrimonio canonico: natura del can. 1098, Roma 2019.
[31] P. BIANCHI Esempi di applicazione giurisprudenziale del can. 1098 dolo: casistica e problemi probatori, in Quaderni di diritto ecclesiale 9 (1996), p.375.
[32] Cfr. R. WITZEL, La prova del dolo (can. 1098 C.I.C.) nella giurisprudenza della rota romana, Roma 2006.
[33] Cfr. P. CIPOLLA, Il dolo nel matrimonio canonico: natura del can. 1098, Roma 2019.

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