Cassazione, Ord. n. 29330/2020: versamenti effettuati dai soci in conto di futuri aumenti di capitale condizionati alla delibera di aumento

Cassazione, Ord. n. 29330/2020: versamenti effettuati dai soci in conto di futuri aumenti di capitale condizionati alla delibera di aumento

L’Ordinanza in commento riguarda un’articolata vicenda in tema di diritto societario che trae origine dall’impugnazione dinnanzi al Tribunale di Bari della delibera assembleare straordinaria di una Società S.r.l., con la quale era stata disposta la restituzione di alcuni versamenti effettuati da parte dei soci.

Il Giudice di prime cure aveva accolto la domanda attorea, sostenendo che i finanziamenti non fossero rimborsabili in quanto, al di là della denominazione formale ad essi attribuita, costituivano un conferimento con una causa assimilabile a quella di capitale di rischio.

Proposto appello avverso il provvedimento, la Corte territoriale ha rigettato l’impugnazione della delibera ritenendo che i versamenti effettuati dai soci, per come descritti, dovevano essere considerati alla stregua di apporti “risolutivamente condizionati” all’aumento di capitale e come tali rimborsabili ai soci perché l’aumento non era stato più disposto.

Com’è noto, la differenza tra i versamenti genericamente effettuati “in conto capitale” e quelli che si riferiscono ad un futuro e ben determinato aumento del capitale sociale è netta, poiché i primi sono apporti di patrimonio di cui la società è libera di disporre come qualsiasi altra riserva senza diritto al rimborso da parte del socio fino alla liquidazione dell’impresa c.d. residual claimnt, mentre i secondi ricorrono allorquando le parti abbiano previsto un chiaro collegamento causale tra il versamento eseguito ed un prossimo aumento di capitale sociale. Sicché, questi ultimi, devono intendersi risolutivamente condizionati alla futura deliberazione di aumento di capitale nominale, con inserimento provvisorio del versamento socio nelle riserve sociali e, solo a seguito della delibera, potrà rifluire in quest’ultima posta di bilancio ed assumere i caratteri tipici del conferimento di capitale.

Si tratta di una causa autonoma del versamento che giustifica la restituzione delle somme in caso di mancata adozione del provvedimento proprio per il venir meno della causa giustificativa dell’attribuzione patrimoniale eseguita dal socio.

Infine, il Collegio concludeva qualificando la fattispecie come un contratto atipico di conferimento di capitale condizionato risolutivamente ad un futuro aumento di capitale, di fatto non più eseguito ed i soci, nella delibera oggetto di causa, davano altresì atto che le somme iscritte in bilancio a futuro aumento di capitale erano disponibili senza vincoli nel patrimonio sociale.

Ebbene, il ricorso per cassazione è stato articolato su diversi motivi, di cui il primo con riguardo all’interpretazione della volontà delle parti espressa nella delibera assembleare, ovvero se qualificarla come conferimento in conto capitale o come finanziamento soci.

La Corte ha ritenuto inammissibile il motivo affermando che non è censurabile in Cassazione l’accertamento operato dal giudice di merito in ordine alla concreta riconducibilità della singola fattispecie all’una o all’altra delle due suindicate figure negoziali, se non per eventuale violazione delle regole giuridiche da applicare nell’interpretazione della volontà delle parti del rapporto (Cass. 7427/2002, 7692/2006, 7980/2007). Aggiungendo che, “in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c.”.

Ne consegue che il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamene violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni legali (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017; Cass. n. 15381/2004), non essendo, all’uopo, sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole, formulata attraverso la mera prospettazione di una diversa (e più favorevole) interpretazione rispetto a quella adottata dal giudicante” (cfr. anche Cass., Sez. 5, Sentenza n. 873 del 16/01/2019). Si tratta di censure di ordine processuale che rimarcano i canoni prudenziali che devo essere seguiti nella proposizione di un giudizio di legittimità.

D’altro canto, la Cassazione evidenzia l’errore del ricorrente per non aver compreso la ratio decidendi della motivazione impugnata, poiché la Corte di Appello non ha affatto affermato che il conferimento dei soci integrasse un finanziamento come tale rimborsabile a quest’ultimi, ma al contrario un conferimento in futuro aumento di capitale condizionato risolutivamente alla mancata deliberazione di aumento di capitali entro un arco temporale circoscritto. Con la conseguenza che la restituzione di quanto versato a tale titolo dai soci doveva essere eseguita ex art. 2033 cod. civ., secondo le regole dell’indebito oggettivo, per essere venuta meno, in assenza della delibera straordinaria di aumento del capitale, la causa giustificatrice dell’attribuzione stessa.

Sul punto, il ragionamento seguito dai Giudici di secondo grado, in ordine alla qualificazione giuridica dei versamenti effettuati dai soci in futuri aumenti di capitale, appare speculare a quanto statuito dalla giurisprudenza maggioritaria. Invero, in tema di società di capitali, “le erogazioni in conto di futuro aumento di capitale effettuate da un socio in favore della società, condizionate all’adozione della relativa delibera di aumento capitale entro un determinato termine, nel caso di mancata adozione della delibera, determinano a carico della società l’obbligo di restituzione di quanto erogato dal socio a tale titolo, poiché in tal caso l’erogazione determina un aumento di capitale solo potenziale, destinato a divenire effettivo solo a seguito della delibera di aumento” (così, Cass. Sez. 1, Sentenza n. 31186 del 03/12/2018).

Gli apporti effettuati dai soci in conto di futuri aumenti di capitale non presuppongono necessariamente un definitivo incremento del patrimonio sociale, come invece accade nel caso dei versamenti o dei contributi in conto capitale. È stato infatti precisato, nell’arresto da ultimo menzionato (n. 31186/2018), che nella prassi si verificano e si possono verificare certamente fattispecie in cui tali erogazioni delineano la funzione di conferimenti anticipati – per esempio i versamenti eseguiti in occasione di un aumento di capitale “scindibile” (cioè destinato a essere mantenuto fermo qualunque risulti esserne l’ammontare definitivamente sottoscritto, anche se inferiore al limite massimo fino al quale era stato deliberato) – “ma quella stessa pratica conosce pure situazioni opposte, in cui le erogazioni affluiscono al patrimonio netto della società solo dopo aver ricevuto una irreversibile imputazione al capitale sociale: per esempio, i versamenti eseguiti in funzione di un aumento non ancora deliberato, e quindi giustappunto futuro, oppure eseguiti in funzione di aumento “inscindibile”.

Sicché, come nella specie, ove l’aumento non venga più deliberato o in assenza dell’integrale sottoscrizione del capitale, il socio apportante ha diritto alla restituzione delle proprie somme.

Gli Ermellini tengono a precisare che solo un’irreversibile imputazione al capitale sociale determina l’afflusso di queste erogazioni al patrimonio netto della società percipiente, a meno che il socio non abbia inteso devolverle, con manifestazione inequivoca di volontà, al patrimonio sociale convertendole in contributi in conto capitale o a fondo perduto ovvero ancora a copertura perdite (così, sempre Cass. n. 31186/2018, cit. supra).

In altre parole, se l’erogazione del socio è eseguita in conto di un futuro aumento di capitale, si è in presenza di una copertura anticipata di un aumento di capitale programmato ma non ancora deliberato, ovvero ad un conferimento solo potenziale. I cui effetti sono perciò stesso procrastinati all’effettiva imputazione al capitale sociale, con la conseguenza che persiste il diritto ad ottenere la restituzione ove non si verifichi la specifica condizione di perfezionamento individuata all’atto dell’erogazione. Questo meccanismo integra una valida obbligazione subordinata alla condizione sospensiva che la deliberazione di aumento del capitale intervenga nel termine stabilito o in quello desumibile dalle circostanze (v. Cass. n. 8876-06).

Il ragionamento seguito dalla Corte di Cassazione nell’Ordinanza qui in commento, offre spunto anche per alcune considerazioni giuridico fattuali in ordine alla circostanza che non vi sia una qualificazione assoluta dei versamenti di denaro effettuati dai soci alla società (siano essi a titolo di finanziamento o incremento del patrimonio), ma occorre procedere caso per caso in base alle singole circostanze alla più corretta qualificazione.


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Giuseppe Angiulli

Ho conseguito la laurea in Giurisprudenza presso l’Università di Bari con il voto di 110L e sono abilitato all'esercizio della professione di Avvocato. La mia formazione comprende i principali istituti di diritto civile, processuale e commerciale e durante il praticantato mi sono occupato di diritto bancario e finanziario. Adesso mi occupo principalmente di Corporate, M&A ed operazioni straordinarie.

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