Cassazione, risarcimento al paziente non informato sui rischi “minimi” dell’intervento

Cassazione, risarcimento al paziente non informato sui rischi “minimi” dell’intervento

Cassazione civile, sez. III, ord. 29 novembre 2018 n. 30852

Nella vicenda de qua l’attrice, in proprio e quale erede del defunto padre, chiedeva la condanna al risarcimento dei danni occorsi al padre il quale, nel corso di una operazione di revisione chirurgica di una protesi all’anca, periva a seguito di una tromboembolia polmonare massiva da trombosi della vena femorale destra.

Il giudice di prime cure, rilevato che la CTU espletata in corso di causa affermava la impossibilità di una indicazione precisa in termini percentuali della riduzione del rischio trombotico nell’ipotesi in cui fosse stata somministrata una terapia specifica a base di eparina, rigettava la domanda per mancato raggiungimento della prova del nesso causale tra la condotta del medico e l’exitus.

Diversa è stata l’analisi effettuata della Corte d’Appello di Milano, la quale invece condannava, in solido, il dottore e la Casa di Cura interessati della vicenda al risarcimento dei danni patiti.

La ricorrente, denunciando la violazione del diritto del paziente al consenso informato, impugnava la sentenza suddetta per Cassazione.

Nell’esaminare la questione proposta, il Supremo Consesso ha ritenuto che la sentenza di secondo grado fosse errata nel capo in cui non operava il riconoscimento della lesione del diritto del paziente ad essere informato dei rischi reali, non vaghi e generici, stampati su un modulo dell’intervento.

Nello specifico il paziente non era stato informato del rischio proprio dell’intervento di artroprotesi dell’anca e dei relativi rischi legati all’incidenza di trombosi venosa nonchè dell’incidenza dell’embolia polmonare mortale.

In accoglimento della doglianza del ricorrente, la Suprema Corte ha ritenuto sussistere la prova dell’inadempimento in relazione alla mancata e completa informazione sul rischio inerente all’intervento.

Fermo restando l’an debeatur, gli Ermellini hanno ritenuto necessario riesaminare le pretese risarcitorie poste in essere dalla erede ai fini della determinazione del quantum rinviando alla Corte d’Appello di Milano.

Avverso quest’ultima sentenza, ottenuta dl rinvio alla Corte d’Appello, la ricorrente riproponeva ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Con il primo motivo, censurava la suddetta sentenza per non essersi attenuta ai limiti del giudizio rescissorio delimitato dalla sentenza rescindente della Suprema Corte la quale avrebbe dovuto semplicemente pronunciarsi sul quantum e non oltre. Di contro la stessa ha, invece, accertato l’esistenza del credito risarcitorio e non il quantum richiesto.

Anche tale motivo è stato ritenuto valido dalla Corte adita.

Richiamando un orientamento giurisprudenziale oramai granitico, la Corte ha ribadito che la decisione di annullamento con rinvio vincola al principio di diritto affermato, onde il giudice del rinvio deve semplicemente uniformarsi alla “regola” giuridica enunciata e alle premesse logico-giuridiche della decisione adottata, attenendosi agli accertamenti già compresi nell’ambito di tale enunciazione senza poter estendere la propria indagine a questioni che, pur se non esaminate nel giudizio di legittimità, costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito (cfr. Cass., n. 17353 del 23/7/2010; Cass., n. 20981 del 16/10/2015).

La Corte d’Appello di Milano, rivalutando l’an del risarcimento già oggetto di giudicato, si è discostata da questi principi andando oltre da quanto richiestole.

Così statuendo il Supremo Consesso, in primis, ha chiarito l’esistenza in capo al paziente, già soggetto debole della obbligazione sanitaria, il diritto a riceve una informazione reale dei rischi relativi agli interventi chirurgici consigliati; in secundis, ha altresì ribadito che il giudice del rinvio deve semplicemente uniformarsi al principio di diritto enunciato nonchè alle premesse logico-giuridiche adottate, essendo preclusa la possibilità di estendere la propria indagine a questioni che costituiscono il presupposto stesso della pronuncia di annullamento, formando oggetto di giudicato implicito.

Pertanto, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata e rinviato la trattazione della causa alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di cassazione.


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