Cervelli elettronici e giustizia: macchina e coscienza

Cervelli elettronici e giustizia: macchina e coscienza

Sommario: 1. Artificialità decisoria e risvolti processuali – 2. Lo sviluppo di una coscienza digitale – 3. La crisi della certezza del diritto alla base del pensiero sull’applicazione dell’intelligenza artificiale – 4. Il ragionamento per algoritmi: luci e ombre. Conclusioni

 

1. Artificialità decisoria e risvolti processuali

Realizzare un computer la cui intelligenza possa replicare quella umana è obiettivo ambiziosissimo, la cui difficoltà di realizzazione ci dà l’idea di quanto complessa e di difficile riproduzione sia l’intelligenza dell’uomo.

Quando si parla di “Artificial Intelligence, (di seguito ancheAI”) ci si riferisce a un gruppo di sistemi informatici in grado di espletare attività che richiedono normalmente abilità proprie della mente umana: pensiamo al riconoscimento del linguaggio, alla percezione visiva, alla facoltà di riuscire a tradurre un testo da una lingua all’altra.[1] Gli esperti tendono ad adottare una distinzione tra l’intelligenza artificiale ‘forte’ la quale è capace di risolvere autonomamente problemi specialistici diversi tra loro e l’intelligenza artificiale ‘debole’ in grado di fornire prestazioni che risultano equivalenti da un punto di vista qualitativo e superiori a quelle umane da un punto di vista quantitativo.

A oggi, gli strumenti di intelligenza artificiale sono diffusi in diversi settori; tra gli altri, basti solo pensare ai seguenti: la sanità e l’HealthCare, i servizi bancari, il gaming, il data mining , la robotica industriale.

Per quanto qui di specifico interesse, occorre osservare che da molti anni il campo della giustizia è considerato fertile e ideale palco d’applicazione dell’AI per la risoluzione di determinati problemi. Invero, è emerso sempre di più l’interesse per la programmazione e lo sviluppo di sistemi informatici in grado di ragionare giuridicamente in modo autonomo. Ciò che renderebbe possibile questo ragionamento, senz’altro complesso, sarebbe – a detta dei ricercatori – un insieme di fattori. Anzitutto, primaria importanza è data alla (presunta) circoscritta casistica giudiziaria e alla combinazione algoritmica dei precedenti, che potrebbero avere la diretta conseguenza di rendere le intelligenze digitali capaci di emettere sentenze assolutamente imparziali. Sul punto, gli studi della e sulla informatica giuridica – nel duplice senso di informatica del diritto e diritto dell’informatica[2], si pongono lo scopo di tradurre il ragionamento giuridico in ragionamento algoritmico, di fatto automatizzando ogni operazione logica e valutativa utile al raggiungimento della decisione finale.

Se facciamo nostro il pensiero di Leibniz, secondo il quale “la scienza del diritto è parte di quelle scienze che non dipendono dall’esperienza ma da definizioni, da dimostrazioni non dei sensi ma della ragione […]”[3], non possiamo non considerare il diritto come il risultato di una verità, che mantiene immutato il suo valore; e ciò a prescindere dalla concreta e determinata fattispecie da analizzare; e ciò, ancora, a prescindere  dal fatto che a giudicare sia un’intelligenza artificiale o un’intelligenza umana.

Tuttavia, la sostituzione delle decisioni dei giudici con quelle di sistemi automatizzati di giustizia predittiva crea non pochi interrogativi, non poche perplessità. Si è osservato, infatti, che il processo decisionale che sfocia, poi, nell’emanazione di una sentenza rappresenta qualcosa di più articolato e complessivo del processo che potrebbe adottare un’intelligenza artificiale. Il cuore del processo decisione dell’essere umano è costituito dal moto coscienziale, inesistente – indiscutibilmente – nella macchina. La risposta, nell’agire umano, è mediata dalla consapevolezza; ed è proprio la presa di coscienza dell’azione che permette di fornire una risposta ragionata, ponderata.[4]

Dobbiamo ammettere che vi sono ancora molti dubbi sulla possibilità di esistenza di un’autentica intelligenza del e nel computer, un’intelligenza capace di sviluppare un’autonoma coscienza. Tali dubbi tengono ancora ben ferma la distanza tra l’intelligenza artificiale e il mondo giudiziario. L’assenza di coscienza, in sede giudiziaria, potrebbe infatti tradursi nel paradosso dell’emanazione di una sentenza senza processo o, ancora, di una decisione cibernetica resa in assenza di garanzie processuali, sulla base di puri ragionamenti algoritmici.

È vero: il ragionamento algoritmico, proprio come il ragionamento giuridico, punta alla definizione di un problema per mezzo di un numero finito di passi basici ed elementari, precedentemente stabiliti, in un tempo ragionevole. Tra i due ragionamenti vi è, però, una differenza cruciale: il ragionamento giuridico attraversa sempre la fase dell’interpretazione e così non è per quello algoritmico.

2. Lo sviluppo di una coscienza digitale

Il tentativo di una riflessione sulla possibilità di utilizzo di sistemi automatizzati di giustizia predittiva non può non porre l’accento sul rapporto di diretta proporzionalità che intercorre tra lo sviluppo generale dell’ecosistema tecnologico e umano e lo sviluppo dell’AI. Già da diverso tempo sono stati elaborati strumenti tecnici fondamentali per  il compimenti di atti processuali con l’ausilio di strumenti telematici.

Senz’altro, l’elaborazione de qua  è il risultato degli ingenti investimenti nell’AI nelle nanotecnologie e nell’Internet of Things e, soprattutto, dell’avanzamento mondiale nel calcolo ad alte prestazioni (High Performance Computing). Questa particolare tipologia di AI è definita Artificial Narrow Intelligence (ANI): un agente cognitivo artificiale coinvolto in un singolo e ristretto compito, avente una gamma limitata di abilità. A oggi, l’unico ragionamento algoritmico disponibile è quello in grado di risolvere ottimamente problemi difficili in domini specifici, migliaia e migliaia di volte più velocemente degli agenti cognitivi umani: pensiamo, soltanto per fare un esempio, ai filtri anti spam. Tuttavia, è la flessibilità del pensiero a rappresentare il tratto peculiare (e difficilmente replicabile) della mente umana; ed è questo tratto a rappresentare la ‘vera intelligenza’.[5] Il mondo è, allora, ancora molto lontano dall’obiettivo di creare un cervello artificiale. Invero, gli studi – in materia –  si stanno spingendo verso la creazione dei c.d. agenti cognitivi artificiali, con una gamma di abilità cognitive pari o superiore a quella dell’essere umano: l’Artificial General Intelligence (AGI) e l’Artificial Super Intelligence (ASI).

La tecnologia AGI, secondo gli studiosi, sarebbe capace di portare a compimento ogni attività intellettuale (al pari di un essere umano). La tecnologia ASI, invece, dovrebbe risolversi in una forma di intelligenza superiore a quella umana. Nick Bostrom parla dell’argomento in termini di “superintelligenza”, ritenendo e definendo tale “qualunque intelletto che superi di molto le prestazioni cognitive degli esseri umani in quasi tutti i domini di interesse”[6].

Portare a esistenza  tecnologie come quella AGI e ASI costituisce, senza alcun dubbio, un obiettivo ambizioso, ma forse impossibile (anche se della stessa opinione non sono alcuni autori, che – con più ottimismo – pensano all’obiettivo in questione come a qualcosa di non impossibile raggiungimento)[7].

La creazione della tecnologia ASI parte dalla studio approfondito, quasi maniacale, dell’architettura stessa del cervello e si fonda su un meccanismo di autoapprendimento. Nick Bostrom, nello specifico, individua quattro possibili vie percorribili ai fini della creazione di una superintelligenza. Per quanto qui di interesse, di queste quattro verranno analizzate le due strade su cui gli studiosi si stanno maggiormente concentrando.

Anzitutto: un consistente aiuto alla nascita della superintelligenza potrebbe derivare dagli investimenti nel settore del Machine Learining, quel ‘sottoinsieme’ dell’AI costituito dal gruppo di tecniche che consentono a una macchina intelligente di perfezionare le proprie capacità, senza che la macchina stessa venga ab initio programmata con tale scopo.[8]

I sistemi di Machine Learning, differentemente dai software di Good Old Fashioned Artificial Intelligence (GOFAI) – i quali si basano su una iniziale programmazione capace di stabilire il comportamento della macchina innanzi a ogni specifico problema -, procedono per tentativi, analizzando volta per volta i vari metodi di insegnamento adottabili e valutando in che misura la macchina riesce a recepirli[9].

Un’evoluzione così rappresentata potrebbe intuitivamente essere agevolata dall’utilizzo di algoritmi genetici (AG), che già negli anni settanta venivano pensati come tecnica generale per la risoluzione di problemi.[10] Gli algoritmi genetici – proprio come accade per la selezione naturale, che basandosi su regole sempre identiche ha fornito un’incredibile biodiversità – devono poter trovare soluzioni a problemi anche molto diversificati tra loro, seguendo una serie finita e determinata di passaggi standardizzati.

3. La crisi della certezza del diritto alla base del pensiero sull’applicazione dell’intelligenza artificiale

È sicuramente certo che attualmente non è ipotizzabile un mondo in cui le valutazioni effettuate da un giudice possano essere affidate a una macchina.  Al contempo, è del pari certa l’esigenza di assicurare ai consociati maggiore certezza giuridica, in termini di prevedibilità delle decisioni giudiziarie, di affidamento, di parità di trattamento.  Del resto, si tratta di obiettivi che uno Stato costituzionale di diritto deve necessariamente porsi, se è vero – ed è vero – che è proprio questo che ci impongono il principio di legalità, il principio di colpevolezza, il principio della piena subordinazione del giudice alla legge.

La fitta rete di valori che impernia oggi la società giuoca di certo un ruolo fondamentale (e oserei dire negativo) nella formulazione – da parte del legislatore – di disposizioni chiare e precise, idonee a diminuire o ad annullare i non pochi conflitti di interessi che si insinuano nel mondo del diritto (del diritto formale).

Tante sono le accezioni che possono attribuirsi al valore della certezza all’interno dell’ordinamento. Si è in particolar modo sottolineato come la certezza, intesa ora come strumento di declinazione delle esigenze di sicurezza e stabilità connaturate all’ordinamento, trova nell’esercizio della funzione giurisdizionale (iuris-dictio) il proprio ambito di applicazione privilegiato, pur nell’ormai consolidato scenario di un sistema multilivello.

Proprio in questo nuovo assetto del sistema il valore della certezza esprime chiaramente la sua naturale distanza dal bene della verità, avendo il nostro sistema processuale la preoccupazione primaria e fondamentale di perseguire la stabilità delle relazioni giuridiche attraverso il consolidamento del giudicato piuttosto che una (tra l’altro impossibile) ricostruzione della verità dei fatti.

In merito a quanto da ultimo scritto, occorre registrare – incidenter tantum – un altro fattore critico: stabilito che una delle principali vocazioni dell’ordinamento – se non la principale – risiede proprio nel preservare la stabilità delle decisioni e delle relazioni giuridiche, si rileva che –  in vista del raggiungimento di tale obiettivo – al giudice si richiede la soggezione a un elemento (la lex) che, nel complessivo impianto dello Stato costituzionale, si rivela mutevole per definizione, in quanto esposto costantemente alla precarietà e alla «volatilità delle manifestazioni occasionali del potere»; queste ultime sono dipendenti, di volta in volta, soprattutto dalla forza e dall’intima coerenza della ratio[11] secondo cui il giudice si esprime: ciò le differenzia dalla Costituzione, che rappresenta la «norma della durata»[12] e mira all’eternità ordinamentale.

Ciò che, in tale contesto, risulta estremamente difficile è riuscire a preservare la stabilità giuridica utilizzando strumenti inidonei, per loro natura, a resistere al tempo e alle continue evoluzioni della legislazione: sempre alto rimane il rischio, sopra paventato, di un giudice interprete diretto di valori metagiuridici in nome della società[13].

Singolare è, ancora, che alle radici del costituzionalismo vi sia stata una forte esigenza di certezza (nello specifico: la certezza dei diritti costituzionali[14]) in risposta a precise rivendicazioni sociali, se poi si considera che proprio l’instaurazione dello Stato costituzionale di diritto ha avuto effetti consistenti in termini di incertezza, originati dalla dicotomia tra legge fondamentale e regole[15]. È il caso, ad esempio, dell’introduzione del principio di eguaglianza sostanziale, il quale ha determinato una vera e propria “rivoluzione” della previgente nozione di eguaglianza in senso formale (quest’ultima, in quanto tale, più idonea a presidiare una certa idea meramente esteriore di certezza giuridica)[16]; ed è il caso, ancora, dei diritti inviolabili della persona, come emergenti dall’art. 2 della Costituzione, sul cui metro (di ragionevolezza, si potrebbe dire) vanno ripensate e riadattate, oggi, le esigenze di certezza reclamate dall’ordinamento, con l’obiettivo non certo modesto di coniugare legalità e giustizia[17]. A ciò si aggiunge il fatto che le attuali manifestazioni dell’attività giurisdizionale –  per la molteplicità dei fattori esaminati nelle righe precedenti – sempre più di frequente rischiano di dare luogo a decisioni inidonee a soddisfare le esigenze di certezza (pensata, quest’ultima, in termini di razionalità, calcolabilità, prevedibilità, pronosticabilità, ma anche di «continuità dei verdetti[18]»).

Tra i fattori cui addebitare le difficoltà da ultimo esaminate non si può trascurare di annoverare a) la stessa natura degli ordinamenti a costituzione rigida: quest’ultima impone costantemente al giudice di agire operando delicatissimi bilanciamenti tra princìpi; b) il crescente protagonismo giudiziario, che si traduce troppo speso in una vera supplenza legislativa da parte del giudicante[19]; c) l’indebolimento oggettivo della sovranità dello Stato, provocata – anche – dall’incalzante affermarsi del diritto globale, il quale ha indirettamente ampliato i margini di incertezza giuridica e quelli della libertà del giudice.

Le considerazioni da ultimo prospettate fanno sì che il principio della certezza si configuri, oggi, più come un obiettivo ancora incompiuto dell’ordinamento, con grave pregiudizio per i cittadini, destinatari della tutela giurisdizionale – come risulta dall’art. 24 Cost. – eppure lasciati sempre più in balìa di una giustizia talora imperscrutabile (habent sua sidera lites[20]).

E si ricordi, ancora una volta, che si tratta di un obiettivo desumile – in una certa misura – dal tessuto dei principi e valori giuridici (art. 101 Cost.; art. 324 c.p.c.; art. 2909 c.c.; artt. 10 ss. disp. prel. c.c.; divieto del non liquet, ecc…), il che palesa l’assoluta priorità del valore della certezza, utile a ordinare l’intera architettura ordinamentale e, proprio per questo, meritevole della massima considerazione da parte dei giuristi, indipendentemente dalla loro posizione intellettuale sul tema.

Come già evidenziato, è chiaro che non si può non tener conto delle mutate condizioni poste dalla fondazione dello Stato costituzionale di diritto e dalla stessa integrazione comunitaria, non potendosi del pari affermare, però, che tali processi determinino ex se un totale abbandono dell’aspirazione alla certezza.

Per tali ultimi motivi, non appare insensato ritenere che la certezza del diritto deve oggi essere intesa come una «prospettiva dalla quale il giuoco dei valori costituzionali dovrebbe essere riguardato[21]».

È ovvio che la trama di principi espressa dall’ordinamento offre dei margini per il recupero della stabilità del diritto, in risposta anche alle tentazioni di un ritorno alle teorie del diritto libero (riproposte magari in diversi termini rispetto al passato): basta considerare che, paradossalmente, sono proprio i mezzi e i motivi di impugnazione previsti dall’ordinamento (si pensi alla violazione di legge: cfr. art. 360 c.p.c.) e la stessa funzione nomofilattica della Cassazione, rivolta a garantire l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, a costituire delle innegabili garanzie per la certezza del diritto e, al contempo, delle occasioni di manifestazione della creatività del giudici, quando non si rispetta quel vincolo di soggezione alla legge che è affermato dal secondo comma dell’art. 101 Cost.. Del resto, anche volendo accettare l’idea che la certezza sia oggi un’aspirazione incompiuta, non ci si può assolutamente arrendere a quella secondo cui il diritto è  il regno dell’incerto. Vero è che l’età della c.d. codificazione offriva più certezze nell’ambito di un’attività giurisdizionale capace di emettere decisioni calcolabili[22], ma ciò non giustifica un abbandono alla missione della certezza, il che equivarrebbe a una resa al caos e all’anarchia giuridica.

Alla luce di quanto sopra esposto, appare chiaro che oggi il principio di legalità, la semplificazione normativa, le forme di pubblicità, la ragionevole durata del processo, la certezza della pena, l’irretroattività della legge, ecc… altro non sono che espressioni del più alto bene giuridico della certezza del diritto[23], cui l’ordinamento deve cercare di tendere[24]. Con gli strumenti giuridici che l’ordinamento pone a presidio della certezza occorre, allora, valorizzare quella naturale propensione del diritto a guardare avanti, tutelando i diritti della generazione presente e, con occhio lungimirante, delle generazioni future: ciò attraverso la formulazione di regole generali e astratte.

A seguito dei cambiamenti giuridico-istituzionali che hanno interessato l’ordinamento italiano negli ultimi anni, occorre guardare la certezza del diritto sotto una luce diversa e nuova: non già quella che la inquadra come elemento garantista e conservatore, bensì quella che le assegna la funzione di promozione e diffusione della giustizia sostanziale, coerentemente con il pluralismo espresso dallo Stato costituzionale.

Qual è la  prospettiva migliore da cui considerare la certezza non è facile stabilirlo, ma è indiscusso che tale prospettiva dovrà avere riguardo al godimento diffuso delle garanzie e delle opportunità che l’ordinamento offre, fino a poter discorrere, in una dimensione di effettività[25], di certezza dei diritti.

La consistente crisi del valore della certezza del diritto ha fatto sicuramente da molla all’idea che l’intelligenza artificiale possa concretarsi in un rimedio utile a preservare a stabilità e la coerenza giuridica dell’ordinamento. Tuttavia, i problemi che interessano il campo legislativo – in termini di (mancata) chiarezza delle disposizioni, e quello giudiziario – in termini di (mancata) pura applicazione formale del diritto al caso di specie, dovrebbero auspicabilmente essere risolti senza ricorrere a soluzioni esterne. Se veramente una macchina fosse in grado di annullare i disagi che il mondo giuridico vive in termini di incertezza e a questa macchina ci affidassimo, ammetteremmo il fallimento del dettato costituzionale, del ruolo dei giudici, dello stesso Stato costituzionale di diritto.

4. Il ragionamento per algoritmi: luci e ombre. Conclusioni

Le argomentazioni e le considerazioni prospettate fanno probabilmente dubitare, come già anticipato, del fatto che – nel breve e medio periodo – i giudici possano essere sostituiti da un sistema di giustizia predittiva automatizzata. Quest’ultima, poi, appare porsi in contrasto con alcuni princìpi propri del diritto nazionale ed europeo in punto di giurisdizione.

Occorre invero ricordare che la Direttiva UE 2016/680 al suo articolo 11 – rubricato “Processo decisionale automatizzato relativo alle persone fisiche” – prevede il divieto di adozione di decisioni fondate unicamente sul trattamento automatizzato, che producano effetti giuridici negativi (o comunque significativamente incisivi) sull’interessato, salvo che non siano autorizzate dal diritto dell’UE o dallo Stato membro cui è soggetto il titolare del trattamento.  In tale caso, infatti, dovrebbero essere assicurate garanzie adeguate per i diritti e le libertà dell’interessato.

In Italia il “problema” si pone innanzitutto con riferimento alle garanzie costituzionali, come del resto già accennato. Nell’affidare l’esercizio della funzione giurisdizionale a magistrati istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario, l’art. 102 della Costituzione altro non fa che sancire la necessità di garantire l’indipendenza dei magistrati. Non è difficile immaginare il venir meno di questa indipendenza nel caso di un giudice artificiale che necessiti di interventi di ripristino occasionati da “bug del sistema”. In questa specifica ipotesi l’azione dell’uomo priverebbe d’indipendenza la macchina, violando di fatto il principio costituzionale de quo.

Ancora: l’art. 111, 2° comma, Cost. impone che il (giusto) processo si svolga davanti a un giudice che sia terzo e imparziale. Ma ancora (e soprattutto): il medesimo art. 111, al sesto comma ci dice che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”, cristallizzando probabilmente la sfida più difficile da raggiungere per il successo dell’intelligenza artificiale. La previsione dell’obbligo della motivazione, com’è noto, vuole fungere da garanzia per la tutela del diritto alla difesa e del principio di legalità.

Sul punto merita richiamo l’art. 118, comma 1, delle disposizioni di attuazione al codice di procedura civile, a norma del quale la motivazione della sentenza consta della “concisa esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”.

Il giudice è dunque obbligato a enunciare la ratio decidendi del provvedimento adottato, con lo scopo di permettere all’interessato di avere consapevolezza del ragionamento logico-giuridico seguito per l’adozione del provvedimento stesso, scongiurando derive creatrici del diritto da parte del potere giudiziario.

La motivazione è (dovrebbe sempre essere) il frutto di un ragionamento; e come si è accennato, il ragionamento algoritmico è un ragionamento di tipo statistico, che tanto si discosta da quello umano – che è il risultato di fenomeni coscienziali, difficilmente riconducibili a una spiegazione statistica.[26] Da quanto espresso, (ap)pare sempre di più azzardato ipotizzare la sostituzione dei giudici con sistemi di AI..

Ciò detto, e non volendo qui porre l’esposizione in termini di immediata utilità o inutilità ma di cosciente e ragionata opportunità, sarebbe un peccato per tutto il mondo del diritto non sfruttare tutti i vantaggi che l’intelligenza artificiale può effettivamente dare: si pensi alla lettura rapida, alla repentina attribuzione degli atti, dei ricorsi e dei provvedimenti in genere alle sezioni competenti.

è allora evidente come la strada dell’intelligenza artificiale sia oggi da intendere come una strada che può essere percorsa con le dovute cautele nonché con imprescindibili consapevolezze. Se le prime hanno a che fare con la possibilità di considerare l’AI come uno strumento d’efficienza nel complessivo funzionamento della giustizia e degli uffici giudiziari, le seconde hanno invece a che fare con l’idea che ai giudici, e solo a loro, deve essere demandato il compito di applicate il diritto. Ciò che ne deriva è l’attuale esigenza di imporre dei limiti all’attività interpretativa dei giudici, scongiurando in qualsiasi modo il mancato rispetto dell’art. 101 della Carta fondamentale, nel punto in cui impone la soggezione degli stessi giudici alla legge, soggezione che deve essere pretesa e rispettata e che non può dipendere dall’utilizzo  di intelligenze artificiali.

 

 

 

 

 


[1] C. Barbaro, Uso dell’intelligenza artificiale nei sistemi giudiziari: verso la definizione di principi etici condivisi a livello europeo?, in Questione Giustizia, 4/2018.
[2] G. Sartor, L’informatica giuridica e le tecnologie dell’informazione – Terza Edizione, Giappichelli, Torino, 2016 .
[3] G. W. Leibniz, Elementa iuris naturalis, in ID., Scritti politici e di diritto naturale, Utet, Torino 1961, p. 86.
[4] F. Faggin, Sarà possibile fare un computer consapevole? in Mondo Digitale, n. 61, dicembre 2015, p. 3.
[5] D.R. Hofstadter – D.C. Dennet, L’io della mente, Adelphi, 2006, p. 277.
[6] N. Bostrom, Superintelligenza, Bollati Boringhieri, Torino 2018, p. 49.
[7] V. Vinge (1993), The coming technological singularity: How to survive in the post-human era, in Whole Earth Review 1993; R. Kurzweil, The age of Intellingent Machines, Mit Press, 1990 .
[8] M.I. Jordan – T.M. Mitchell, Machine Learning: Trends, prospectives and prospects, in Science vol. luglio 2015, p. 255.
[9] A.M. Turing, Computing machinery and intelligence, in Mind 49: 433-460, 1950, p. 456.
[10] J.H. Holland, Adaption in Natural and Artificial Systems, Bradford Books, 1975 .
[11] N. Irti, Il salvagente della forma, cit., p. 18.
[12] Cfr. G. Zagrebelsky, Il giudice delle leggi artefice del diritto, cit., p. 50.
[13] G. Zaccaria, cit., a p. 123 parla di «condizionamento sociale e psicologico delle corti».
[14] Cfr. L. Pegoraro, Linguaggio e certezza della legge nella giurisprudenza della Corte costituzionale, Milano, Giuffè, 1988, pp. 4 ss.
[15] cfr. A. Ruggeri, Costituzione scritta e diritto costituzionale non scritto, Napoli, Editoriale Scientifica, 2012, p. 11.
[16] Art. 24 dello Statuto Albertino: “Tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo o grado, sono eguali dinanzi alla legge. Tutti godono egualmente i diritti civili e politici, e sono ammissibili alle cariche civili, e militari, salve le eccezioni determinate dalle Leggi”.
[17] Sul punto, cfr. L. Pegoraro, cit., p. 42.
[18] Cfr. G. Zaccaria, cit., p. 108.
[19] G. Azzariti, in AA.VV., Giudici e legislatori (dibattiti), in Dir. Pubbl., 2016, pp. 563 ss., parla di «esuberanza» del potere giudiziario.
[20]P. Calamandrei, Elogio dei giudici scritto da un avvocato, cit., p. 3.
[21] M. Luciani, Garanzie ed efficienza nella tutela giurisdizionale, 2014, p. 33, in https://www-.rivistaaic.it/images/rivista/pdf/4_2014_Luciani.pdf. (Ultimo accesso aprile 2021)
[22] Cfr. N. Irti, Il salvagente della forma, Laterza, Roma-Bari, 2007, p. 22.
[23] Sulle diverse accezioni e sfumature che nel corso dei secoli ha avuto l’espressione certezza del diritto, si veda S. Bertea, La certezza del diritto nel dibattito teorico-giuridico contemporaneo, in Mat. stor. cultura giur., XXXI, 2001, p. 131.
[24] Lo stesso Presidente Mattarella, in occasione dell’incontro in Quirinale con i magistrati in tirocinio il 6 febbraio 2017, ha parlato dell’«alto valore di civiltà rivestito dalla certezza del diritto» e ha ribadito l’esistenza del diritto dei cittadini «alla  prevedibilità delle decisioni giudiziarie per ricavarne regole di rigorosa legalità di comportamento». Cfr, a tal proposito, M.G. Nacci, Brevi note a margine del discorso tenuto dal Presidente Mattarella all’incontro con i Magistrati ordinari in tirocinio: interpretazione e responsabilità nell’esercizio della funzione giurisdizionale, in Osservatorio costituzionale, Fasc. 1/2017, https://www.osser-vatorioaic.it/images/rivista/pdf/Nacci001.pdf. (Ultimo accesso aprile 2021)
[25] M. A. Sandulli, Poteri dei giudici e poteri delle parti nei processi sull’attività amministrativa. Dall’unificazione al codice, in www.federalismi.it, 2015, pp. 3 ss.
[26] J. Seale, Coscienza, linguaggio, società, a cura di U. PERONE, Torino, Rosenberg & Sellier, 2009, p. 38 e ss.

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