Cessione del contratto e contratto a favore di terzi

Cessione del contratto e contratto a favore di terzi

1. La cessione del contratto. Il contratto può essere definito come il risultato dell’incontro della volontà di due o più soggetti, i quali manifestano l’intenzione di trasporre, sul piano giuridico, un certo assetto di interessi: si tratta di un negozio giuridico bilaterale, la cui validità risiede nella meritevolezza degli interessi che esso intende produrre (infatti, elemento essenziale del contratto è la giusta causa). Elemento essenziale e centrale del contratto è, dunque, l’incontro di volontà, l’accordo: l’art. 1321 c.c. definisce il contratto come “l’accordo tra due o più parti per costituire, regolare, estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. È dal momento in cui questo accordo viene concluso, quindi, che il contratto è perfetto e le parti sono ad esso vincolate: come stabilito dall’art. 1372 c.c. “Il contratto ha forza di legge tra le parti”. Questo significa che quel contratto, quell’accordo, lega le parti a mo’ di legge: a fronte dell’inadempimento dell’una, l’ordinamento riconosce all’altra degli strumenti diretti ad ottenere quanto stabilito nel contratto, a conseguire il giusto risarcimento ecc. Le parti sono vincolate al contratto dunque.  Quel vincolo, che lega le parti con un’intensità paritaria a quella che ha la legge, non potrà esser sciolto se non per mutuo assenso (o mutuo dissenso secondo parte della dottrina) ex art. 1372 c.c. o attraverso l’esercizio del diritto di recesso, quando sia attribuito alla parte dai contraenti stessi o dalla legge.

C’è da dire, però, che anche se il contratto vincola in modo così stringente la parti, individuando un numero esiguo di strumenti di scioglimento, per di più di natura consensuale o, comunque, di fonte legale, l’ordinamento conosce uno strumento particolare che, pur permettendo alle parti di lasciare fermo il rapporto contrattuale, rende possibile l’apporto di modificazioni allo stesso sotto il versante soggettivo: la cessione del contratto. L’istituto è contemplato dall’art. 1406 c.c., il quale riconosce a ciascuna delle parti di abbandonare la posizione vincolata acquisita col contratto, facendo subentrare altri nel rapporto giuridico patrimoniale: “Ciascuna parte può sostituire a sé un terzo nei rapporti derivanti da un contratto con prestazioni corrispettive, se queste non sono state ancora eseguite, purché l’altra parte vi consenta”. Ora, tralasciando l’indagine sulle ragioni che possono spingere una parte a farsi sostituire nel rapporto giuridico patrimoniale insorto a seguito della prestazione della propria volontà, occorre concentrare l’attenzione sugli elementi che l’art. 1406 c.c. individua affinché sia possibile provvedere in tal senso. Per cedere la propria posizione contrattuale ad altri soggetti, per cedere il contratto, occorre, oltre che all’accordo tra cedente e terzo (cessionario), l’accordo con l’altra parte (ceduto): sarebbe assurdo, infatti, ipotizzare una cessione e, quindi, il subentro di un terzo nel rapporto giuridico patrimoniale, in assenza del consenso della parte che intende restare in quel rapporto. Dall’altra parte, l’art. 1406 c.c. individua, come condizione per la cessione, che si tratti di contratto a prestazioni corrispettive, e sempreché queste non siano ancora state eseguite: si pensi all’appaltatore che, ancor prima di avviare i lavori, decida con l’assenso dell’appaltante di cedere la propria posizione ad un altro soggetto, che subentrando nella posizione del cedente assumerà l’obbligo di realizzare l’opera pattuita nel contratto. La cessione del contratto costituisce, dunque, un vero e proprio contratto, per mezzo del quale si realizza un effetto particolare direttamente su di un altro contratto preesistente. Fenomeno che va tenuto ben distinto da quello del subcontratto: in questo caso, la parte di un contratto non abbandona la propria posizione in favore di altri, ma restando parte dell’originario contratto va a stipulare un nuovo accordo con i terzi (così, ad esempio, nella sublocazione, per mezzo della quale un conduttore stipula un contratto con un terzo).  Tornando alla cessione del contratto, occorre tener conto di alcuni fenomeni che possono concretamente venire in rilievo: si pensi all’inadempimento del cessionario. Ci si riferisce, cioè, al caso in cui, a seguito della cessione, il soggetto subentrato nel rapporto contrattuale si renda inadempiente nei confronti del ceduto. Quali gli strumenti che l’ordinamento mette a disposizione del ceduto? In linea generale, in virtù di quanto stabilito dall’art. 1408 c.c., il ceduto non può agire nei confronti del cedente, che è liberato a seguito della cessione. Tuttavia, è possibile che, al momento dell’accordo sulla cessione, il ceduto dichiari espressamente che non intende liberare il cedente: in quel caso, il ceduto potrà agire nei confronti del cedente. Quid iuris, invece, nel caso in cui inadempiente sia il ceduto? In via generale, il cedente non sarà responsabile nei confronti del cessionario; diverso il caso in cui il cedente abbia deciso di assumere la garanzia dell’adempimento del contratto ex art. 1410, comma 2 c.c., rispondendo in quel caso, come fideiussore per le obbligazioni assunte dal ceduto.

2. Il contratto a favore di terzi. Ben diverso rispetto alla cessione del contratto è, invece, il contratto a favore di terzi, disciplinato dall’art. 1411 c.c., norma che fissa le condizioni necessarie affinché un contratto, concluso tra determinate parti, produca i suoi effetti, ovviamente favorevoli, nei confronti di un terzo. Quello della produzione degli effetti a favore di terzi estranei al contratto è un fenomeno particolare che, lungi dal vedere il terzo subentrare nella posizione contrattuale della parte (come avviene, invece, nel caso della cessione del contratto), vede il contratto dispiegare i suoi effetti nei confronti di un soggetto che non fu parte dell’accordo. Un esempio può subito chiarire le dinamiche della fattispecie in parola: si pensi al caso in cui venga stipulato un contratto di trasporto tra Tizio e Caio; l’effetto del contratto è quello di obbligare Tizio ad eseguire un trasporto a favore di Caio, il quale a sua volta si impegna a pagare un prezzo per il trasporto. Si ipotizzi, dunque, che Tizio e Caio si accordino nel senso che il trasporto venga eseguito a favore di Sempronio: quest’ultimo beneficerà dell’effetto determinato dal contratto, assumendo un diritto di credito ad una certa prestazione, ossia l’esser trasportato.

Perché il suddetto meccanismo operi, occorre guardare alle condizioni fissate dall’art. 1411 c.c., il quale stabilisce che una simile contrattazione è valida, purché lo stipulante vi abbia interesse: lo stipulante è colui che intende deviare gli effetti del contratto a favore del terzo e che, quindi, si accorda con l’altra parte, ossia colui che si obbligherà nei confronti del terzo ad una certa prestazione. Ma cosa si intende per interesse dello stipulante? Una prima impostazione potrebbe essere quella per cui il legislatore abbia voluto rintracciare l’interesse dello stipulante nella cd causa solvendi e, cioè, nell’esigenza dello stipulante di dare adempimento ad un’obbligazione insorta con il terzo a favore del quale si producono gli effetti del contratto. Ma si tratta di una impostazione eccessivamente restrittiva, che toglierebbe validità a molte altre ipotesi contrattuali comunque meritevoli di essere riconosciute. Per questo motivo, è certamente preferibile ritenere che, in ossequio a quanto stabilito dall’art. 1322, comma 2 c.c., le parti possano validamente stipulare il contratto a favore del terzo, purché si tratti di contratto diretto a realizzare interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento. Impostazione che, comunque, non resta esente da critiche, stante il fatto che la deviazione dell’effetto a favore del terzo non è altro che una soluzione prescelta dalle parti rispetto ad un contratto di per sé autonomo.

La particolarità dell’istituto sta soprattutto nel fatto che l’effetto che si produce nei confronti del terzo non presuppone l’accettazione di quello, che quindi si ritrova nella posizione di poter pretendere l’adempimento della prestazione senza aver prestato alcun consenso. Soluzione che non si pone in antitesi con i principi dell’ordinamento: infatti il principio della intangibilità della sfera giuridica dei terzi non va inteso in senso assoluto, ammettendo deroghe nei casi in cui l’incisione nella sfera del terzo sia a lui favorevole e sempreché sia lasciata a quello la facoltà di rinunciarvi, con efficacia risolutiva dell’effetto ex tunc. Se allora l’accettazione da parte del terzo non occorre ai fini del prodursi degli effetti nei suoi confronti, quell’accettazione può essere prestata e rilevare sotto altro aspetto: infatti, la dichiarazione del terzo di voler profittare degli effetti del contratto determina, come conseguenza, l’impossibilità, da parte dello stipulante, di revocare la stipulazione del contratto in favore del terzo.

Resta da stabilire, poi, se il meccanismo proprio di cui all’art. 1411 c.c. possa operare anche rispetto a contratti ad effetti reali. Si pensi ad un contratto di compravendita: è possibile che la parte obbligata a pagare il prezzo si accordi con il venditore affinché il trasferimento del diritto di proprietà si produca in capo ad un terzo designato dalle parti? Quale sarebbe il rilievo atto ad impedire una simile fattispecie? C’è da dire che in origine si era obiettato che l’incompatibilità tra il trasferimento del diritto reale e il contratto a favore dei terzi fosse da ravvisare nella mancanza di quella condizione che l’art. 1411 c.c. rinviene nell’esser l’effetto favorevole al terzo: in effetti, il trasferimento di un diritto reale, come è il diritto di proprietà, comporta, oltre all’effetto positivo dell’acquisto della proprietà, anche tutta una serie di oneri e di obblighi in capo all’acquirente, con conseguente impossibilità di parlare di effetti favorevoli. A questo punto, o si ammette l’applicabilità dello schema di cui all’art. 1411 c.c., sostenendo che l’effetto principale è quello che conta, quindi favorevole per il terzo (dato che acquista una proprietà) o si tiene conto dei possibili svantaggi che l’effetto acquisitivo comporta, escludendone l’ammissibilità.


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