Che distanza devono rispettare le grondaie e i pluviali discendenti?

Che distanza devono rispettare le grondaie e i pluviali discendenti?

L’art. 889 del Codice Civile dispone che chi vuole aprire pozzi, cisterne, fosse di latrina o di concime presso il confine, anche se su questo si trova un muro divisorio, deve osservare la distanza di almeno due metri tra il confine e il punto più vicino del perimetro interno delle opere predette.

Al suo comma due dispone che i tubi d’acqua pura o lurida, per quelli di gas e simili e loro diramazioni deve osservarsi la distanza di almeno un metro dal confine.

Sono salve in ogni caso le disposizioni dei regolamenti locali.

Secondo la sentenza n. 2964 del 5 aprile 1997 della Corte di Cassazione, i canali di gronda ed i loro sostegni rientrano nella categoria tecnico-giuridica degli sporti, per cui, ai sensi dell’art. 873 c.c., non si tiene conto di essi nella misurazione della distanza tra fabbricati. Qualora invece si controverta della violazione della distanza tra un canale di gronda e la linea di confine (e non distanza tra costruzioni) trova applicazione l’art. 889 secondo comma c.c. secondo il quale per i tubi di acqua pura o lurida (cui vanno assimilati i canali di gronda) e loro diramazioni, deve osservarsi almeno un metro dal confine, sulla base di una presunzione assoluta di dannosità per infiltrazioni o trasudamenti che non ammette la prova contraria ed è irrilevante la posizione parallela, perpendicolare, convergente, ecc che il tubo possa assumere rispetto alla linea di confine con il fondo vicino, ovvero che il confine si trovi al di sotto del tubo del canale di gronda, anziché lateralmente.

Pertanto, l’art 889 comma 2 c.c., nello stabilire la distanza di almeno un metro dal confine pone una presunzione iuris et de iure circa la necessità di tale distanza per evitare  danno al vicino. Secondo la sentenza n. 4564 del 7 agosto 1979 “l’applicabilità di detta norma, pertanto, va a prescindere da ogni indagine sulla eventuale presenza di accorgimenti tecnici idonei ad impedire infiltrazioni da quei tubi”.

Occorre adesso soffermarsi su punto essenziale per dirimere le controversie, ossia individuare da quale punto occorre mantenere la distanza stabilita dalla norma.

Sul punto è intervenuta la Corta di Cassazione con sentenza n. 2479 del 10 marzo 1987, secondo la quale ai fini del rispetto delle distanze minime dal confine previste dagli artt. 889 e 890 c.c. con riguardo ai manufatti ivi elencati (pozzi, cisterne, etc.) ove il muro divisorio esistente sul confine appartenga in via esclusiva al proprietario del manufatto, la distanza deve essere misurata tra quest’ultimo e il confine effettivo; mentre, qualora il muro divisorio sia comune ai proprietari dei fondi continui, la distanza va calcolata dalla parte esterna del muro più vicina al manufatto, essendo il tal caso il confine costituito dal detto muro e non dalla sua linea mediana, dacché l’intero muro, in quanto indiviso, si considera anche altrui rispetto al proprietario del fondo nel quale è ubicata l’opera in questione.

Nel caso di proprietà delimitate da un muro comune, infatti, la linea di confine non si identifica con la linea mediana del muro medesimo, poiché su di esso, nonché sull’area di relativa incidenza, i proprietari confinanti esercitano la con titolarità del rispettivo diritto per l’intera estensione ed ampiezza (Cass. 3393/19877, 340/1980): conseguentemente le distanze si misurano rispetto alla faccia prospiciente la cosa da tenere a distanza (cfr. fra le molte, Cass. 7149/1990, 2479/1987, 2499/1986, in tema di distanze ai sensi degli artt. 889, 905 e 906).


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