Concorso dell’extraneus nel reato proprio e concorso in autoreciclaggio

Concorso dell’extraneus nel reato proprio e concorso in autoreciclaggio

Il codice penale italiano regola il fenomeno del concorso eventuale di persone nel medesimo reato attraverso la combinazione della clausola di parte generale data dall’art. 110 cp con le singole fattispecie incriminatrici di parte speciale. Attraverso un tale meccanismo, si ottiene l’effetto di parificare, ai fini di pena, tutte le condotte che eziologicamente hanno condotto alla causazione del reato, indipendentemente dal ruolo rivestito da ciascun partecipe; difatti l’art.110 cp assoggetta i concorrenti ad una medesima cornice edittale, che combacia con quella prevista per il reato monosoggetivo, lasciando, tuttavia, il giudice libero di calibrare diversamente la pena in concreto in base all’effettivo contributo di ciascuno, anche ricorrendo all’applicazione dell’art.114 cp, il quale prevede una pena attenuata per l’ipotesi di un apporto causale secondario, di minima importanza.  L’art.110 cp, vale a trasformare i reati astrattamente monosoggettivi, cioè previsti dalla legge, in reati concretamente plurisoggettivi, ancorché non necessariamente tali, quali differenti forme di manifestazione dei primi.

La lettera della norma, facendo riferimento ad una generica ipotesi in cui più persone concorrono al medesimo reato, non pone differenziazioni di sorta tra le diverse tipologie dello stesso, così che spetta all’interprete modulare l’istituto in base alle caratteristiche di ciascuno, a seconda della categoria di appartenenza. In particolare, per ciò che ci interessa, non si rinviene né una specifica regolamentazione, né un’eccezione alla regola generale, a seconda che il reato si presenti come comune o proprio; la disposizione in esame, cioè, si applicherebbe, in astratto, agli stessi in maniera indifferenziata. Dunque, non solo più individui possono concorrere nella realizzazione di un reato comune, inteso come perpetrabile da un quisque de populo; bensì, si ammette che ciò possa avvenire anche rispetto a quei reati per i quali la legge richiede la sussistenza di particolari qualifiche giuridiche o naturalistiche in capo ai soggetti attivi, preesistenti alla norma penale, ma da questa indicati in modo espresso, o comunque desumibile dalla struttura della stessa. Difatti, e sicuramente, nulla quaestio se tutti i concorrenti rivestono tale qualifica richiesta dalla legge per la configurazione del reato; mentre, al contrario, alcuni contrasti sono sorti circa l’ammissibilità della fattispecie concorsuale per l’ipotesi in cui a concorrere siano soggetti privi di tale qualifica, cioè extranei. Si tratta, tuttavia, di resistenze ormai vinte, tanto in dottrina quanto in giurisprudenza. Difatti, ai fini dell’applicabilità dell’art.110 cp, non è necessario che ciascun concorrente realizzi in toto la condotta tipica propria del reato contestato, bensì è sufficiente il compimento anche di una sola frazione della stessa, nonché la dazione di un apporto causale, nella forma materiale o morale, che abbia causato o anche solo agevolato la commissione del reato. In tal senso, dunque, può essere considerato concorrente anche chi non realizza la condotta tipica, ma agisce in via atipica eppur idonea (ex ante) a cagionare il fatto antigiuridico; e ciò implicherebbe la possibilità, per il concorrente privo della qualifica richiesta dalla norma incriminatrice di parte speciale, di subire l’estensione della punibilità ai sensi dell’art. 110 cp. Difatti, la necessità che l’intera condotta tipica sia posta in essere dal soggetto dotato della qualifica richiesta dalla singola norma incriminatrice, vale soltanto per i cd reati propri esclusivi o di mano propria, i quali accentrano il disvalore del fatto proprio nella qualifica del soggetto agente, di talché, in assenza della stessa, risultano privi di offensività e, dunque, di illeceità. Di conseguenza, non possono essere commessi per interposta persona, diversamente da quanto può accadere per i reati propri non esclusivi o semiesclusivi; la differenza tra questi, peraltro si incentra sulla riduzione dell’offensività del fatto che la mancanza della qualifica in capo al soggetto attivo realizza: l’insussistenza di un tale requisito, difatti, produce sui primi una trasformazione in illeciti extrapenali, mentre sugli altri la configurazione del rispettivo reato comune. Ciò significa che in astratto la possibilità di un concorso dell’extraneus, ossia del soggetto privo della qualifica voluta dalla singola norma di parte speciale, risulta preclusa soltanto rispetto ai reati propri esclusivi, in quanto, a causa della loro struttura, non possono essere commessi per interposta persona, essendo di attuazione personale.

A conferma, poi, della configurabilità del concorso dell’extraneus nel reato proprio, purché non esclusivo, si cita l’art.117 cp. La norma, difatti, prevede che qualora tra i concorrenti vi sia un soggetto dotato di una particolare qualifica, giuridica o naturalistica, idonea a cagionare un mutamento del titolo di reato, da comune a proprio, tale modifica si produce anche per coloro che abbiano ignorato la suddetta qualifica, essendo, al contempo, sprovvisti della stessa. L’ipotesi ivi contemplata riguarda, come si intuisce, i reati propri semiesclusivi, per i quali, dunque, il codice ammette espressamente il concorso dell’estraneo privo di qualifica; ciò, peraltro, prevedendo un’ipotesi di responsabilità oggettiva, posto che il mutamento del titolo di reato si produce anche qualora l’estraneo abbia ignorato la sussistenza della qualifica di un concorrente, che risulta, appunto, elemento qualificante del reato. Proprio al fine di mitigare tale forma di responsabilità, tuttavia, lo stesso legislatore ha inserito, al secondo periodo della disposizione, una circostanza attenuante, in forza della quale il giudice ha la facoltà, ma non l’obbligo, di diminuire la pena per coloro “per i quali non sussistano le condizioni, le qualità o i rapporti predetti”, nell’ipotesi in cui il reato proprio preveda una pena più alta rispetto a quello comune.

Nel campo pratico delle fattispecie concrete, l’applicazione delle considerazioni finora esplicitate trova un terreno fertile nella possibilità, a lungo controversa, di configurare il concorso dell’extraneus nel reato di autoreciclaggio. Introdotto con la legge n. 186/2014, il suddetto reato incrimina la condotta di chi, dopo aver commesso o aver concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce o trasferisce i proventi di tale reato in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, in modo da ostacolare la loro matrice delittuosa. Si tratta, nello specifico, di una fattispecie che va a coprire quella che dall’ordinamento sovranazionale veniva considerata una grave lacuna del nostro sistema penale, che lasciava impunita la condotta di reciclaggio posta in essere dal reo a seguito della realizzazione di un diverso fatto antigiuridico, considerata fino ad ora post factum non punibile. Cade, così, quello che veniva definito come il privilegio dell’autoreciclaggio, che, ai sensi del comma 4 dell’art. 648ter.1 cp, resta in piedi solo rispetto alle condotte di mera utilizzazione o godimento personale, il quale, deve essere, pur tuttavia, diretto, nonché totalmente avulso da operazioni di intermediazione.

Il tema di un possibile concorso nel reato di autoreciclaggio da parte di un soggetto che non ha preso parte alla causazione del reato presupposto, è stato al centro di intensi dibattiti dottrinali e giurisprudenziali, ai quali ha recentemente preso parte la Corte di Cassazione, propendendo per la soluzione negativa, comunque maggioritaria. Prima di giungere a tali conclusioni, tuttavia, la Corte si dilunga, sapientemente, nell’esposizione delle diverse teorie dottrinali in base alle quali si è, per strade diverse, per lo più giunti ad escludere il concorso dell’extraneus nel suddetto reato. Difatti, nel corso degli anni, sono state date una pluralità di giustificazioni dogmatiche differenti all’inammissibilità dell’applicazione degli artt. 110 e 117 cp al concorrente nell’autoreciclaggio che non abbia concorso in precedenza al reato presupposto, ritenendo che lo stesso dovesse rispondere per il diverso reato di reciclaggio.  Le stesse si sono basate, alternativamente, sulla valorizzazione dell’elemento qualificante del reato di autoreciclaggio, rispetto a quello di reciclaggio, offerto dalla persona del reato presupposto, che lo porta ad essere configurato quale reato proprio; ovvero, sullo sfruttamento del principio di specialità ex art. 15 cp, fondato sulla ritenuta sussistenza di un concorso apparente di norme. Invero, quella parte di dottrina che incarna tale orientamento, fa leva sul fatto che la condotta del terzo estraneo può essere astrattamente sussumibile sia entro i confini del reato monosoggettivo di reciclaggio, sia configurabile come contributo causale nel reato di autoreciclaggio ai sensi degli artt. 648ter.1, 110 e 117 cp. Pur ammettendo l’inesistenza di un rapporto di specialità strutturale tra i delitti previsti dagli artt. 648bis e 648ter.1 cp, in applicazione del criterio di matrice dottrinale della sussidiarietà, si dovrà preferire la sussunzione della condotta dell’extraneus all’interno del reato monosoggettivo di reciclaggio.

Diversamente, altra parte della letteratura giuridica, concentrandosi sull’elemento di differenziazione tra i due delitti, data dalla qualificazione soggettiva dell’autore, ritiene, giustamente, che l’autoreciclaggio si configuri quale reato proprio esclusivo o di mano propria. Come si è sopra evidenziato, si tratta di una categoria dogmatica di reati che pone, quale condizione per la realizzazione dell’offesa al bene giuridico, la qualifica soggettiva richiesta dalla norma; di talché, l’esecuzione del reato per mano dell’intraneus risulta necessaria al fine di ritenere la fattispecie concreta sussumibile all’interno di quella astratta prevista dall’art.648ter.1 cp.

Rispetto alle suddette teorie, la Corte si vede costretta a negare l’esistenza di una relazione di specialità tra le due norme in questione, affermandone l’eterogeneità, e a concludere per l’inquadramento del delitto di autoreciclaggio entro la categoria di reati di mano propria, come voluto dalla dottrina maggioritaria. Di conseguenza, del delitto in esame potrà rispondere solo l’intraneus, già autore del reato presupposto, posto che, come accennato, l’introduzione della norma risponde all’esigenza di colpire condotte finora lasciate impunite. Il terzo estraneo al reato presupposto, ma concorrente nella condotta di reciclo del denaro derivante dallo stesso, dovrà necessariamente rispondere del delitto di reciclaggio.

Le condotte dei due concorrenti nel medesimo fatto, dunque, in tale ipotesi, subiscono una scissione, che costituisce solo apparentemente un’eccezione alla regola generale disposta dell’art.117 cp, che avrebbe voluto l’assoggettamento di entrambi ad una medesima fattispecie tipica, estendendo il mutamento del titolo di reato anche al soggetto privo dell’elemento qualificante del reato proprio; la norma, difatti, come già evidenziato, risulta già di per sé non applicabile in presenza di reati propri esclusivi, categoria a cui appartiene il delitto di autoreciclaggio.


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Giulia Paffetti

Avvocato
Nata ad Arezzo il 21.05.1991.Ha conseguito la laurea in giurisprudenza, cum laude, presso l'Università degli studi di Siena il 29.04.2016 con tesi in diritto penale.In data 09.07.2018 ha conseguito il diploma di specializzazione presso la Scuola di Specializzazione per le Professioni legali - Università degli studi di Firenze, con tesi in diritto penale processuale.Ha conseguito l'abilitazione per l'esercizio della professione forense in data 19.11.2018.

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