Confisca di prevenzione disposta in caso di decesso del proposto

Confisca di prevenzione disposta in caso di decesso del proposto

Con sentenza n. 12621 del 16 marzo 2017, le Sezioni Unite penali sono tornate a pronunciarsi in tema di misure di prevenzione antimafia di tipo reale di cui al d.lgs. 159/2011, c.d. codice antimafia, fornendo chiarimenti su alcuni cruciali aspetti relativi all’esecuzione del sequestro e della confisca di prevenzione nei confronti di eredi, successori universali o particolari del proposto o di terzi intestatari fittizi dei beni, nel caso in cui la morte del soggetto socialmente pericoloso sopraggiunga prima dell’inizio o nel corso dell’azione di prevenzione patrimoniale.

La normativa vigente in tema di confisca di beni del proposto dopo la sua morte.

L’analisi delle questioni poste all’attenzione delle Sezioni Unite nella sentenza ivi annotata presuppone una breve ricostruzione del dato positivo.

Ai sensi dell’art. 18, comma 2, del codice antimafia, è ammessa la disposizione delle misure di prevenzione patrimoniali nei confronti degli eredi o degli aventi causa del proposto deceduto nelle more del procedimento di prevenzione, mediante la prosecuzione dell’azione nei loro confronti.

Il successivo comma 3 aggiunge che tale azione può essere, ab origine, destinata agli eredi e aventi causa, qualora la morte del proposto sopraggiunga prima dell’inizio del procedimento di prevenzione. Il limite è, in questo caso, rappresentato dal necessario rispetto del termine massimo di cinque anni decorrenti dal decesso, oltre il quale è preclusa l’apertura del procedimento volto all’irrogazione della misura di prevenzione patrimoniale.

La ratio di fondo della disciplina va ricercata nella volontà legislativa di colpire ogni manifestazione tangibile di una “condotta di vita reputata estranea ai canoni legali della civile convivenza” (in questo senso Sezioni Unite, n. 4880 del 2.02.2015, Spinelli).

Nell’universo variopinto delle confische, la precipua finalità della confisca di prevenzione contemplata oggi in seno al codice antimafia è, difatti, quella di sottrarre patrimoni illecitamente acquisiti da soggetti che non siano in grado di giustificarne la lecita provenienza.

Espungendo tali beni dal circuito economico, si preclude la possibilità che essi vengano sfruttati o reimpiegati al fine di ottenere ulteriore ricchezza illecita, in un’ottica di “pulizia del sistema”.

Il perseguimento della predetta finalità è emerso con evidenza all’indomani dell’entrata in vigore del c.d. “pacchetto-sicurezza”, ossia dell’art. 10 co.1, lett. c), n. 2, d.l. 23.05.2008, n. 92, convertito in l. 24.07.2008, n.125, che ha apportato modifiche significative alla legge 31.05.1965, n. 575, la più rilevante delle quali consiste nella netta recisione del rapporto di necessaria accessorietà tra le misure di prevenzione personali e quelle patrimoniali.

Già prima del testo unico, pertanto, il legislatore aveva recepito le numerose istanze giurisprudenziali volte a rendere autonome le due tipologie di misure di prevenzione antimafia, sancendo la possibilità di applicare sequestro e confisca di prevenzione anche in assenza di richieste di misure personali, oltre che in difetto del requisito della pericolosità attuale del proposto.

La disposizione del 2008-2009, fedelmente riprodotta nell’art. 18, d.lgs. 159/2011, è stata interpretata dalle Sezioni Unite nella nota sentenza n. 4880/2015, Spinelli, nel senso di ritenere che essa imponga sempre la ricerca della pericolosità originaria del soggetto proposto al momento dell’acquisto della cosa, al contempo consentendo di soprassedere sulla verifica della pericolosità al tempo dell’applicazione della misura. Si tratta dell’effetto di un meccanismo osmotico in ragione del quale la pericolosità si trasmette automaticamente dal soggetto alla res (c.d. “vischiosità”).

Il bene, acquisito da un soggetto socialmente pericoloso, mantiene così la connotazione di pericolosità anche laddove venga trasferito a terzi, eredi o aventi causa del proposto, e tanto giustifica l’esistenza di quella specifica disciplina contenuta dal 2008 al 2011, nell’art. 2 ter, l. 575/1965, oggi sostanzialmente trasfusa nell’art. 18 del codice antimafia, che prevede la possibilità che il procedimento di prevenzione inizi o prosegua direttamente a carico degli eredi, successori e aventi causa del proposto.

Le superiori premesse costituiscono le chiavi necessarie per l’analisi e la soluzione delle numerose questioni risolte dalle Sezioni Unite con la sentenza ivi in commento.

L’individuazione del contraddittore nell’ipotesi di morte del proposto.

Il dubbio interpretativo, prospettato nell’ordinanza di rimessione, cui il Supremo Consesso ha dovuto preliminarmente fornire risposta attiene alla perimetrazione dell’ambito soggettivo di applicazione dell’art. 18, comma 2 e comma 3, codice antimafia.

Sul punto, prendendo le mosse dalla natura eminentemente processuale della norma, le Sezioni Unite chiariscono che le nozioni di eredi, aventi causa e successori a titolo universale e particolare devono considerarsi equipollenti rispetto a quelle contenute nel codice civile, in tal modo delegittimando qualsiasi tentativo di ricomprensione nella categoria dei cc.dd. “successori de facto”.

Il contraddittore nel procedimento di prevenzione proseguito dopo la morte del proposto è, pertanto, l’erede o l’avente causa individuato alla stregua del diritto comune; il codice civile è, altresì, la fonte normativa cui attingere per delimitare il concetto di successore a titolo universale e particolare nei confronti del quale l’azione di prevenzione è iniziata dopo il decesso del soggetto socialmente pericoloso indiziato di delitto.

L’unica eccezione, come si vedrà, è rappresentata dalla possibilità di rivolgere incidentalmente l’azione recuperatoria a danno di terzi, qualora si accerti che essi rivestano la posizione di intestatari fittizi dei beni del proposto e che la materiale disponibilità di essi sia rimasta in capo al soggetto pericoloso o ai suoi successori.

Il concetto di disponibilità ai sensi del T.U. sulle misure di prevenzione antimafia attiene, difatti, al possesso civilistico di cui all’art. 1140 c.c., ossia all’esercizio di un potere di fatto sulla cosa corrispondente a quello del proprietario, a prescindere dall’effettiva e formale titolarità del diritto.

L’esercizio dell’azione di prevenzione patrimoniale nei confronti degli intestatari fittizi dei beni del proposto.

Il principale tema affrontato nella sentenza in commento, a seguito della risoluzione della questione preliminare di cui sopra, consiste nell’ammissibilità e nei limiti di un’eventuale estensione dell’azione di prevenzione patrimoniale a danno di soggetti terzi, diversi dagli eredi e dai successori mortis causa del proposto, intestatari fittizi di beni del de cuius.

La possibilità di esercitare il procedimento di prevenzione patrimoniale su beni fittiziamente intestati dal proposto in vita a terzi è, invero, testualmente prevista a livello legislativo, oltre che uniformemente ammessa dalla giurisprudenza anche qualora coesistano successori a titolo universale e patrimoniale.

L’unico limite è costituito dalla necessità che l’azione ablatoria inizi entro il termine di cinque anni dalla morte del proposto, ai sensi dell’art. 18, co. 3. Tanto al fine di bilanciare la necessità ordinamentale di neutralizzare la pericolosità dei beni frutto di illecite acquisizioni con l’esigenza fondamentale di certezza dei rapporti giuridici.

Ciò che, invece, forma oggetto di dibattito a livello interpretativo è la questione relativa alla necessità o meno di presentare un’autonoma proposta di applicazione della misura patrimoniale nel caso in cui, dopo l’inizio dell’azione di prevenzione, si rinvengano altri beni intestati fittiziamente a terzi dal proposto.

Per un orientamento rigoroso e garantista, compendiato esemplarmente nella sentenza della sezione VI, 579/2015, Rappa, il combinato disposto degli artt. 18 e 26 del d.lgs. 159/2011 non consentirebbe di estendere il procedimento di prevenzione a beni del terzo, stante l’imprescindibilità di un accertamento avente a oggetto l’apparente intestazione realizzata dal proposto con atti dispositivi da dichiarare nulli. L’unica strada percorribile sarebbe, per questa impostazione, quella della presentazione di un’ulteriore domanda di applicazione della misura di prevenzione nei confronti del terzo, intestatario fittizio, sempreché non sia decorso il termine quinquennale dell’art. 18, co. 3.

Per la diversa tesi di stampo sostanzialista, nell’azione di prevenzione patrimoniale, disegnata a livello legislativo dal 2008 in poi, rileva esclusivamente il dato materiale della disponibilità, anche di mero fatto, dei beni da parte del de cuius al momento del decesso, a prescindere dall’eventuale e non necessario transito di essi nel patrimonio ereditario. Ne consegue l’ammissibilità dell’estensione dell’originaria e unica azione di prevenzione nei confronti dei terzi intestatari fittizi dei beni del proposto, ferma restando l’ovvia garanzia del contraddittorio, dovendo tali soggetti essere posti in condizione di provare eventuali diritti legittimamente acquisiti sui beni.

A composizione di questo primo motivo di contrasto, le Sezioni Unite scelgono di dare seguito all’orientamento da ultimo ripercorso e sostenuto nell’ordinanza di rimessione, consolidando così l’idea di un’azione di prevenzione maggiormente efficace ed economica perché unitaria e svolta, tendenzialmente, in una sola sede.

A sostegno di tale posizione si sottolinea la coincidenza contenutistica tra possesso civilistico e disponibilità rilevante nel campo delle misure di prevenzione, oltre che l’ampiezza dei poteri investigativi di cui gode l’accusa ai sensi dell’art. 19 del Codice Antimafia, estesa sino al punto di consentire lo svolgimento di attività di indagine nei confronti di qualsiasi terzo intestatario.

Le questioni interpretative correlate all’art. 26 del codice antimafia.

Gli ulteriori aspetti problematici della disciplina in tema di confisca di prevenzione, su cui la sentenza in commento si sofferma, afferiscono alla norma contenuta nell’art. 26, d.lgs. 159/11.

Il testo prevede espressamente che:

1. Quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione.

2. Ai fini di cui al comma 1, fino a prova contraria si presumono fittizi: a) i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell’ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado; b) i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione”.

Il primo comma.

A. La prima questione controversa attiene al ruolo da attribuire alla declaratoria di nullità degli atti di disposizione negoziale compiuti a favore dei terzi dal soggetto indiziato di pericolosità per via della contiguità mafiosa, resa obbligatoria dal comma 1.

L’attribuzione della natura di elemento normativo dal valore pregiudiziale rispetto alla confisca di prevenzione implicherebbe, difatti, l’invalidità della misura di prevenzione applicata in difetto della previa dichiarazione di nullità degli atti traslativi.

Tale soluzione è, tuttavia, rifiutata dalla prassi e dalle stesse Sezioni Unite, che preferiscono ricostruire l’istituto quale mera conseguenza dell’accertamento della fittizietà del trasferimento, stante la contestualità della disposizione della confisca e della declaratoria di nullità richiesta dalla norma.

La dichiarazione di invalidità, pur vincolata per il Giudice, se omessa formerà esclusivamente oggetto del procedimento di correzione dell’errore materiale di cui all’art. 130 c.p.p..

B. L’ampio tenore letterale del comma 1 dell’art. 26 consente di analizzare altra e diversa tematica, concernente l’estensione dell’effetto ablatorio della confisca ai beni trasferiti dai successori a terzi dopo la morte del proposto.

L’assenza di riferimenti soggettivi dal lato attivo nel testo normativo rende, difatti, possibile l’applicazione della misura di prevenzione sia nel caso in cui il successore del proposto abbia intestato fittiziamente il bene a terzi prima dell’inizio dell’azione di prevenzione, sia ove il medesimo soggetto abbia effettiva alienato a terzi di buona fede, così sostituendo alla titolarità del bene attinto dalla pericolosità la titolarità del corrispondente valore.

Nella prima ipotesi il risultato è giustificato alla luce della consapevolezza del terzo circa l’intento elusivo perseguito dal suo dante causa, successore del proposto.

Nella seconda ipotesi, la confisca colpisce il denaro ricavato dalla vendita e si presenta, pertanto, nella forma per equivalente.

Del resto, il fatto che la confisca per equivalente sia contemplata espressamente dall’art. 25, d.lgs. 159/11, per i trasferimenti effettuati dal proposto, non osta alla dilatazione dell’ambito applicativo della norma fino al punto da ricomprendere gli atti traslativi posti in essere dal successore: non si tratta di un’inammissibile analogia in malam partem volta a colmare una lacuna del sistema, bensì di un’interpretazione estensiva contenuta entro i limiti massimi di ampiezza della previsione legislativa.

Il secondo comma.

L’ultima delle questioni affrontate dalla pronuncia ivi brevemente annotata riguarda l’ambito applicativo delle presunzioni di cui all’art. 26 comma 2.

La norma contiene delle ipotesi specifiche di atti dispositivi la cui fittizietà è presunta fino a prova contraria, con la conseguenza che spetta al terzo l’onere di provare la titolarità non solo formale ma anche sostanziale del bene acquistato a titolo derivativo dal proposto.

Si tratta, in particolare, di trasferimenti o intestazioni dei beni realizzate, a titolo oneroso o gratuito e anche a carattere fiduciario, nei due anni antecedenti la proposta di misura di prevenzione a favore di ascendenti, discendenti, coniugi e conviventi del proposto.

La presunzione relativa è, allora, giustificata da ragioni di carattere temporale, dalla relazione intersoggettiva esistente tra proposto e suo avente causa, oltre che dall’eventuale peculiare natura giuridica della singola fonte del trasferimento.

La ratio della norma è evidentemente antielusiva, avendo il legislatore tentato di ricomprendere ogni possibile forma di atto traslativo posto in essere dal soggetto pericoloso con l’unica finalità di sottrarre i beni di illecita provenienza all’azione di prevenzione.

Tanto più che i rapporti di parentela, coniugio e convivenza, in uno con eventuali atti dispositivi a titolo gratuito o a carattere fiduciario, legittimano l’introduzione di una deroga al normale regime processuale dell’onus probandi, in quanto indici della potenziale fittizietà dell’intestazione.

Sul punto è opportuno rammentare che, in materia di misure di prevenzione patrimoniale, grava sulla Pubblica Accusa, ai sensi dell’art. 24, comma 1, d.lgs. 159/2011, l’onere di provare la sproporzione tra il patrimonio e la capacità reddituale del proposto, oltre al semplice onere di allegazione dei fatti sintomatici dell’illecita provenienza dei beni, a partire dei quali scatta la corrispondente presunzione relativa (v. S.U. 4880/2015, Spinelli).

A questo regime probatorio, che trova applicazione nelle ipotesi ordinarie in cui i beni insistano nel patrimonio del soggetto socialmente pericoloso al tempo della proposizione della domanda di prevenzione, si affianca quello predisposto per far emergere la cifra oscura delle frequenti attività dismissive posticce poste in essere al solo scopo di sottrarre i beni al procedimento di prevenzione.

In queste ultime evenienze, il compendio presuntivo di cui all’art. 26 comma 2 opera in deroga all’ordinario regime processuale, ponendo a carico del terzo intestatario del bene l’onere di provare la legittimità ed effettività dell’acquisto avvenuto in un contesto negoziale in cui la posizione di dante causa sia stata rivestita dal proposto.

La previsione normativa in parola mostra il suo carattere necessariamente eccezionale nella parte in cui richiede una peculiare relazione intersoggettiva tra proposto e acquirente a titolo derivativo, oltre che una prossimità temporale con l’azione di prevenzione.

Per tali motivi, non è possibile postularne un’estensione alla diversa ipotesi in cui l’atto traslativo venga posto in essere non dal soggetto socialmente pericoloso e indiziato di delitti di criminalità mafiosa, ma dai suoi successori o eredi.

Rispetto agli atti dispositivi da questi ultimi conclusi non è, difatti, possibile far valere una presunzione relativa di volontà elusiva, con la conseguenza che il Pubblico Ministero dovrà, di converso, provare la sussistenza di contingenze concrete da cui risulti il carattere meramente fittizio dell’intestazione e la permanenza del bene del proposto nella disponibilità dei successori o degli eredi.

Conclusioni.

In definitiva, la sentenza ivi annotata si staglia nel panorama giurisprudenziale come un inconfondibile segnale della duplice direzione teleologica cui è orientato il sistema di prevenzione reale antimafia.

Per un verso, esso è volto ad ampliare la platea dei soggetti investiti dall’azione prevenzionale attraverso la previsione della possibilità di colpire con l’azione ablatoria forme di intestazione elusiva a terzi estranei dei beni del soggetto socialmente pericoloso,oltre che ad evitare che il procedimento di disposizione della misura sia vittima di eccessivi formalismi processuali. In quest’ultimo senso è da leggersi il principio di diritto per il quale è da escludere che la declaratoria di nullità dell’atto traslativo fittizio possegga la natura di condizione di validità della confisca.

Per altro verso, il sistema di prevenzione si mostra attento al rispetto delle prerogative del terzo titolare del bene, garantito dalla circostanza che l’azione non può iniziare dopo cinque anni dalla morte del proposto e che nei suoi confronti non può valere alcuna presunzione, ancorché relativa, di fittizietà dell’acquisto.

L’ottica duale consente all’ordinamento di dotarsi, dunque, di un’azione di prevenzione antimafia tendenzialmente e astrattamente efficace, economica e costituzionalmente compatibile.


Testo integrale del provvedimento:

http://www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/12621_03_2017_no-index.pdf

 


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Roberta Salomone

Avvocato del foro di Messina; già tirocinante presso il Tribunale ordinario, sezione civile; specializzata in pp.ll..

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