Conflitto fra diritto all’anonimato della madre e diritto del padre a riconoscere il figlio

Conflitto fra diritto all’anonimato della madre e diritto del padre a riconoscere il figlio

Per genitorialità deve intendersi la relazione che si instaura per il fatto biologico della procreazione tra madre, padre e figlio. La relazione genitore-bambino ha quindi una base biologica, geneticamente trasmessa, che garantisce che il comportamento di un adulto verso il proprio figlio sia improntato alla cura e alla protezione.

La genitorialità in capo ai genitori si riconosce per il fatto della procreazione indipendentemente dalle condizioni di nascita, per tale ragione il figlio acquisisce uno status filiationis conforme a quello che è il dato biologico.

Purtuttavia, la volontà manifestata dalla madre di non essere nominata nell’atto di nascita impedisce, da un lato l’instaurazione del rapporto giuridico tra questa e il nato e dall’altro impedisce al padre di effettuare il riconoscimento del figlio così da veder instaurato il rapporto giuridico di filiazione. Pertanto, la scelta della donna di partorire in anonimato recide il nesso tra identità del nato e della partoriente, il quale è presupposto per l’operatività delle presunzioni di paternità e di concepimento in matrimonio. Quindi, nel caso in cui la donna tenga celate le circostanze del parto, è di fatto compromessa la facoltà del padre biologico di riconoscere il figlio come proprio.

Tutto ciò sembrerebbe creare una disparità di trattamento tra l’uomo e la donna poiché in casi di procreazione naturale, viene consentito alla madre, a differenza del padre, di sottrarsi subito dopo il parto alla responsabilità genitoriale, decidendo di restare anonima.

Questa differenza non va però a concretizzare una violazione del principio di uguaglianza sostanziale, poiché la norma risulta essere strumentale alla tutela di interessi costituzionalmente protetti. Nella filiazione fuori del matrimonio resta fermo non solo per il padre, ma anche per la madre, il carattere volontaristico del riconoscimento per l’acquisto dello stato di figlio dunque non si può rilevare alcuna discriminazione basata sul genere da questo punto di vista. Il mancato riconoscimento, che potrebbe provenire da entrambi, è un atto quindi distinto dalla decisione di un parto anonimo, che può provenire soltanto dalla donna e che mira a tutelare situazioni di particolare difficoltà legate alla gestazione.

Il trattamento di particolare favore riconosciuto alla partoriente si giustifica, sulla scorta dell’art. 3 Cost, con il diverso ruolo assunto durante la fase della procreazione e della gravidanza dalla donna e dall’uomo, rimanendo quest’ultimo del tutto estraneo alle vicende attinenti al parto. Difatti, la posizione del padre in tale questione è analoga a quella che egli ricopre nell’interruzione volontaria della gravidanza per come previsto dall’art. 12 della L. 194/78; tale scelta legislativa è giustificata dalla necessità di rispettare la gerarchia di valori connaturata nel nostro sistema, nel quale i diritti del nascituro cedono di fronte ai diritti della sola madre e non anche del padre.[1]

Continua, quindi così, ad essere trascurata la posizione del padre biologico.

In caso di parto anonimo, la donna celando le circostanze del parto andrà di fatto a compromettere la facoltà del padre biologico di riconoscere il figlio come proprio. Il padre non può neppure effettuare il cosiddetto “riconoscimento al ventre” perché incompatibile con la decisione dell’abbandono in anonimato.

Quindi, tra il diritto della madre a rimanere anonima e il diritto del padre a vedersi riconosciuto il rapporto di filiazione, non si può parlare di conflitto ma semplicemente di interessi tutelati giuridicamente su diversi piani.

 

 

 

 

 


[1] A. Valongo, Il mancato riconoscimento del figlio nel quadro dell’illecito endofamiliare in Diritto di Famiglia e delle Persone (Il), fasc.4, 2018, pag. 1542

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