Contestato il reato di maltrattamento di animali, legittimo il sequestro preventivo del cane

Contestato il reato di maltrattamento di animali, legittimo il sequestro preventivo del cane

Di un Lupo, ed un Cane.

Un Lupo trovò un Cane, e lo salutò, poscia gli domandò come faceva ad esser così grasso.

Disse il Cane: Io vivo in casa d’un padrone, che non mi lascia mancare da mangiare. Disse il Lupo: In vero tu sei felice, avendo così buon padrone, ancora io servirei volentieri. Disse il Cane: Se tu volessi lasciar quella tua rapacità, io ti farei accettare dal mio padrone. Il Lupo disse: questo lo farò. Poscia guardando il Lupo il Cane, vide ch’aveva il collo pelato, e gli disse: Che vuol dire, che tu hai il collo pelato, ed il Cane rispose: Questo fa il legame, perchè il giorno sto legato; ed il Lupo rispose; Se la cosa sta così, io non stimo tanto l’amicizia di questo tuo padrone, che io voglio spogliarmi della libertà.

Esopo

Sempre e comunque meglio la libertà,  direbbe ancora oggi il lupo.

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Occuparsi degli animali è una cosa seria.

Cass. Pen., sez. III, sent. n° 29894 del  03/07/2018,  spietato ritratto che filtra il  tepore animale e il rigore morale  rendendo lancinante  il richiamo di un latrato  che sputa i suoi vagiti dimenando la coda.

Il  battito dei fogli della Suprema Corte fa planare di fronte ai nostri occhi i suoi occhi lucenti  e libera quel “grido questuante”  che, allora, il  cane non riuscì ad esprimere.

La norma

Art. 544-ter c.p. – 
Maltrattamento di animali.

<<1. Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a comportamenti o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro. 2. La stessa pena si applica a chiunque somministra agli animali sostanze stupefacenti o vietate ovvero li sottopone a trattamenti che procurano un danno alla salute degli stessi. 3. La pena è aumentata della metà se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte dell’animale>>.

Il bene giuridico protetto dalla norma è  il rispetto che l’uomo nutre verso l’animale.

Per integrare il reato rileva  la mera  sofferenza degli animali anche in assenza di lesioni fisiche.

Quanto all’elemento soggettivo, il delitto si configura “come reato a dolo specifico, se la condotta lesiva dell’integrità e della vita dell’animale, che può consistere in un comportamento commissivo oppure omissivo, sia tenuta per crudeltà, e a dolo generico quando essa è tenuta, senza necessità”.

Il caso

La  ricorrente veniva  accusata del reato di maltrattamento di animali previsto dall’544-ter c.p. e veniva  disposto il sequestro preventivo del cane.

Impugnato il provvedimento,  prima,  presso il Tribunale del riesame che  rigettava l’istanza,  ricorreva, successivamente,  in Cassazione per  l’annullamento dell’ordinanza.

La proprietaria del cane deduceva la violazione dell’art. 125 c.p.p., motivazione apparente, per i motivi di seguito enunciati.

Disserrava, in una  vivace mescolanza,  le operose attenzioni  prestate al cane,   evidenziando  risolutamente le lacune  del provvedimento impugnato:

Non è dato, infatti, comprendere dall’ordinanza impugnata quali siano i presupposto oggettivi e quelli soggettivi (avere agito con crudeltà, senza necessità) del reato contestato. Il Tribunale di Chieti ha avvalorato la tesi dell’abbandono del cane per due settimane, durante il periodo estivo, nonostante elementi di prova contraria, ovvero la presenza di ciotole con acqua e cibo. La presenza di acqua, infatti, dimostrerebbe la quotidiana cura del cane; l’acqua nella ciotola non poteva essere stata messa dai vicini, perché le ciotole non passano attraverso il cancello. Anche la presenza di cibo (pasta del giorno prima) dimostra la cura quotidiana. Inoltre il certificato del veterinario, al momento del sequestro evidenzia una massa corporea in sovrappeso. Il cane del resto era ammalato di leishmaniosi e le condizioni erano, quindi, riferibili a tale malattia e non alla mancata cura della proprietaria, che lo aveva adottato dal canile”.

La grossolana sbrigatività della ricorrente viene sventrata dalla Suprema Corte che restituisce vivide scaglie  di esistenza.

Preliminarmente, precisa la Suprema Corte,  sia per il sequestro preventivo  sia per il sequestro probatorio è possibile il ricorso per cassazione unicamente per motivi di violazione di legge e non per vizio di motivazione.

Si precisa in sentenza, in tale nozione, violazione di legge,  dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo“, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice (Sez. 5, n. 43068 del 13/10/2009 – dep. 11/11/2009, Bosi, Rv. 245093; Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008 – dep. 26/06/2008, Ivanov, Rv. 239692).

Nel caso prospettato  non ricorre una violazione di legge  e nemmeno l’apparenza della motivazione,  conseguentemente il ricorso deve ritenersi manifestamente infondato  per l’adeguata motivazione del provvedimento impugnato, non contraddittoria e non manifestamente illogica, conforme ai principi in materia espressi dalla Corte di Cassazione.

Ed invero, si osserva,  come all’esito di diversi sopralluoghi gli agenti di P.G., dopo aver accertato la reiterata assenza dell’indagata, con l’ausilio del servizio veterinario locale, annotavano le precarie condizioni di salute dell’animale affetto da  leishmaniosi. In particolare, in occasione di un  sopralluogo,   è stato appurato che l’animale presentava una emoraggia dal naso, l’unghia del primo dito della zampa destra incrinata che generava sanguinamento, onicogrifosi e linfoadenioregalia. I vicini dell’indagata riferivano che quest’ultima, unitamente alla propria famiglia e ad altro cane, era partita nelle due settimane precedenti lasciando il cane incustodito all’interno del cortile e che i passanti, impietositi dalle precarie condizioni di salute dell’animale, si erano presi cura dello stesso fornendogli cibo ed acqua attraverso le grate del cancello.

Ne consegue che il provvedimento del Tribunale del riesame risulta adeguato e conforme  alle risultanze degli accertamenti di P.G.

Tutto è eccesso di vita nella motivazione della sentenza della Suprema Corte  che riassorbe, in tal modo,  la percezione  distorta  del muto  lamento riprodotto nitidamente  dai  fatti e pizzica  le  corde antiche  della pietà.


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