Contratti quadro di investimenti: nessun risarcimento all’investitore “professionale”

Contratti quadro di investimenti: nessun risarcimento all’investitore “professionale”

Cass. civ., sez. I , 05 febbraio 2019, n. 3335

L’investitore “professionale” che effettua, con elevata frequenza, operazioni di investimento ad elevatissimo rischio ed è quindi pienamente a conoscenza del funzionamento del mercato obbligazionario ed azionario, non ha diritto al risarcimento dei danni, anche se la banca non ha adempiuto puntualmente ai suoi doveri informativi.

A stabilirlo è la Corte di Cassazione con sentenza n. 3335 depositata il 5 febbraio 2019 che conferma quanto precedentemente sancito dalla Corte di Appello di Bologna.

Il ricorso prendeva le mosse da due investitori che, nel 2007, si erano visti accogliere dal Tribunale di Parma la domanda di risoluzione del contratto relativo ai servizi di negoziazione, sottoscrizione e collocamento di ordini di valori mobiliari stipulato con la Cassa di risparmio di Parma e Piacenza il 24.4.96 per colpa di quest’ultima, condannata altresì al risarcimento dei danni, oltre rivalutazione e interessi legali. Il Tribunale, aveva motivato la decisione in virtù del fatto che il contratto-quadro era stato sottoscritto in violazione del D.lgs. n. 415/1996: la banca infatti non aveva richiesto informazioni ai clienti circa la loro situazione finanziaria, la loro esperienza in materia d’investimenti, i loro obiettivi e la propensione al rischio oltre a non aver informato i clienti riguardo al rischio specifico dei titoli negoziati.

La banca aveva proposto impugnazione, accolta dalla Corte d’Appello di Bologna, la quale aveva ritenuto che i due ricorrenti fossero degli investitori esperti e propensi al rischio, che erano soliti effettuare operazioni finanziarie piuttosto rischiose decidendo in piena autonomia l’acquisto dei titoli e movimentando annualmente ingenti somme di denaro sul mercato azionario e obbligazionario. Stante la specifica esperienza dei due investitori, soprattutto in relazione ai rischi connessi agli investimenti in questione, il giudice di appello aveva ritenuto di non attribuire rilievo al mancato adeguamento del contratto quadro al D.Lgs. n. 415 del 1996, e D.Lgs. n. 58 del 1998, e al reg. Consob in relazione alla omessa assunzione delle informazioni da parte della banca. Inoltre aveva sancito che la mancata acquisizione da parte della banca di informazioni sulla situazione finanziaria del cliente non aveva alcun rilievo, in ragione di una pregressa attività dei due ricorrenti con la banca stessa della durata di più di 25 anni.

I due investitori hanno quindi proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi. Resisteva la banca con controricorso eccependone l’inammissibilità e l’infondatezza.

In particolare, con il primo motivo i due ricorrenti hanno lamentato in relazione al contratto quadro, la violazione dell’art. 17 D.Lgs. 415/1996, e dell’art. 21 Tuf, circa i doveri di diligenza, correttezza e di adeguata informazione dei clienti, nonché dell’art. 23 Tuf, non avendo la Corte d’Appello applicato correttamente l’onere della prova in ordine all’accertamento della responsabilità dei danni cagionati dagli acquisti delle obbligazioni argentine.

La Suprema Corte ha anzitutto richiamato il suo orientamento costante in materia di obblighi informativi relativi ai servizi di investimento, i quali “devono essere assolti in modo specifico per qualsiasi tipologia di investimento finanziario e devono essere alla base di ogni scelta d’investimento”, rimanendo a capo della banca l’onere di provare l’eventuale mancanza (Cass., n.11578/ 2016; n.19417/2017; ord. n. 10286/18), anche mediante prove orali (Cass. 19750 del 2017).

Al riguardo “costituisce obbligo endocontrattuale dell’intermediario l’acquisizione di informazioni sul cliente tali da consentire di delineare un profilo soggettivo dello stesso che ne evidenzi le potenzialità economiche e patrimoniali e la conseguente propensione all’investimento ed al rischio.”

Inoltre, le informazioni fornite dall’intermediario devono essere adeguate sotto il profilo oggettivo non avendo rilievo il profilo soggettivo del cliente e la sua propensione al rischio, ad eccezione dell’investitore abilitato o professionale. In quest’ultima ipotesi, l’esperienza dell’investitore incide sulla tipologia delle informazioni da fornire, nel senso che esse devono riguardare le caratteristiche specifiche del prodotto e non quelle generalmente riconoscibili.

D’altra parte, tanto più è elevata la rischiosità dell’investimento tanto più puntuale deve essere l’adempimento dell’obbligo informativo in relazione a tale specifico profilo, con lo scopo di verificare se la scelta dell’investimento sia stata dettata dalla conoscenza effettiva della rischiosità da parte dell’investitore (Cass. n. 10286/18).

Tuttavia, nel caso di specie, la Corte ha ritenuto sulla base di diversi elementi probatori che, sebbene l’istituto di credito non avesse acquisito informazioni scritte sulla propensione al rischio dei ricorrenti e sulla loro situazione patrimoniale finanziaria in sede di sottoscrizione del contratto-quadro, i ricorrenti erano adeguatamente informati sulla rischiosità dell’acquisto delle obbligazioni argentine, potendo quindi essere definiti degli investitori professionali, avvezzi a tale tipo di operazioni.

In altri termini, la Corte Suprema, concordemente al giudice di appello, ha ritenuto che non potesse essere attribuito alcun rilievo eziologico al mancato adempimento dei doveri informativi da parte della banca in relazione alle scelte d’investimento dei due ricorrenti e alla determinazione del danno conseguente a tali scelte.


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Letizia Santin

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