Contributo unificato tributario: il banco vince sempre?

Contributo unificato tributario: il banco vince sempre?

Accade sempre più spesso che dopo il deposito di un ricorso tributario il ricorrente o il suo difensore si vedano recapitare richieste di integrazione del contributo unificato già versato, risultante dalle dichiarazione di valore della controversia e calcolato sulla base degli scaglioni di cui all’art. 13 c. 6 quater DPR 115/2002.

Questo succede perché secondo le Commissioni Tributarie il contributo unificato per le cause di loro competenza viene calcolato in base al valore singoli atti impugnati e non in base al valore complessivo della controversia come avviene nel processo civile.

Si ritiene, quindi, che il contributo dovuto per il singolo atto vada sommato agli altri al fine di determinare quello effettivamente dovuto.

Un piccolo esempio renderà più chiare le pesanti conseguenze economiche di questa procedura.

Poniamo di dover impugnare 5 cartelle esattoriali per tributi Iperf non corrisposti ognuna dell’importo di € 900,00.

Sommando i diversi importi otteniamo la cifra di € 4.500,00 che rientrebbe nello scaglione compreso tra € 2.582,28 e € 5.000,00 con un contributo unificato pari a € 60,00.

Se, invece, calcoliamo i singoli contributi dovuti per ciascuna cartella, rientranti nello scaglione fino € 2.582,28 e pari a € 30 otterremmo che il contributo unificato dovuto sarebbe pari a € 30,00 moltiplicato per 5 (il numero delle cartelle) ossia a € 150,00, quindi a più del doppio di quanto visto in precedenza.

Ma su quali norme legislative si basa questa procedura?

Prendiamo, innanzitutto, L’art. 14 c. 3 bis del già citato DPR 115/2002, così come modificato dalla legge di Stabilita 2014 (l. 147/2013), che prevede che “nei processi tributari, il valore della lite, determinato, per ciascun atto impugnato anche in appello, ai sensi del comma 2 dell’articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.”

Tale articolo, sia nell’attuale formulazione, come modificata ex art. 9 Dlgs. 156/2016 che nella precedente stabilisce che “per valore della lite s’intende l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogato con l’atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste”.

Parrebbe quindi che la normativa stabilisca che per il processo tributario solo in caso di sanzioni si possa procedere a un calcolo del valore della controversia di tipo “sommatorio”.

In questo senso la circolare n. 1/Df del 21 settembre 2011 del Ministero delle Finanze prevede al punto 5 che “nel  giudizio  di  primo grado, il  valore  della  lite  dovrà  essere  determinato  con  riferimento  all’ammontare  del  tributo  oggetto  del  ricorso principale. Qualora l’atto impugnato contenga più tributi, il valore della lite si identifica esclusivamente con quello relativo al tributo di cui si chiede l’annullamento” cosi sottintendendo che in caso di richiesta di annullamento di più tributi contenuti nello stesso atto, il contributo unificato si calcola su ciascuno di essi tramite i relativi scaglioni di riferimento.

In maniera ancora più specifica, la direttiva n. 2/Dgt del 14 dicembre 2012, sempre emessa dal Ministero delle Finanze, ha posto i seguenti principi.

In primo luogo (cfr. risposta al quesito n. 16) che il contributo relativo al preavviso di fermo e all’avviso di ipoteca si calcola tenendo conto “esclusivamente del valore dei crediti tributari, al netto di interessi, sanzioni e altri oneri accessori, per i quali viene effettuata la richiesta di fermo o di iscrizione ipotecaria” facendo quindi ritenere che lo stesso vada calcolato sulla somma soli tributi, come indicata nell’avviso.

La risposta al successivo quesito 18, richiamando il già citato art. 12 c. 2 Dlgs 546/1992, stabilisce altresì che “soltanto nel caso in cui siano impugnati gli atti di irrogazione delle sanzioni il valore della lite è dato dalla loro somma. Tenuto conto che la norma collega il valore della lite al singolo atto impugnato, in caso di un unico ricorso avverso più atti, si ritiene che il calcolo del contributo unificato  debba  essere  effettuato con riferimento ai valori dei singoli atti e non sulla somma di detti valori”, portando così a concludere che nel caso si impugnino più atti debba essere applicato il criterio di calcolo più oneroso.

Infine (cfr. risposta al quesito n. 21) che nel caso in cui venga impugnato un avviso di accertamento Ici e il relativo atto di classamento il contributo unificato sia dato dalla somma del tributo richiesto nell’avviso di accertamento e la cifra prevista per gli atti avente valore indeterminato (pari ad € 120,00) riferita all’atto di classamento, confermando l’impostazione meno favorevole e risolvendo il problema dell’impugnazione degli atti il cui valore non è determinabile

Va, peraltro, precisato che fino a questo momento la Giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto che tale impostazione, sebbene fondata su meri atti interni della stessa pubblica amministrazione creditrice sia pienamente legittima (cfr. Corte costituzionale sentenza 78/2016, Ctp di Frosinone, sentenza 1218//2014; Ctp di Torino, sentenza 1255//2014; Ctp di Foggia, sentenza 226//2015; Ctp di Bari, sentenza 182/2013) e che, quindi, per i ricorsi cosiddetti cumulativi il contributo unificato debba essere calcolato dalla somma di quelli dovuti per i singoli atti.

Questo tuttavia non risolve il problema di quei procedimenti in cui il contribuente abbia impugnato un atto cautelare quale un avviso d’ipoteca, un preavviso di fermo amministrativo o anche un sollecito di pagamento e le cartelle a esso presupposte.

In questo caso, infatti, non si potrebbe applicare la soluzione prevista nel quesito 21 in quanto il fermo e l’ipoteca avrebbero un proprio valore dato dalla somma dei tributi richiesti.

Tuttavia tali tributi sarebbero già stati calcolati singolarmente come riferiti a ciascuna delle cartelle impugnate, con la conseguenza che il ricorrente si troverebbe soggetto a un doppio pagamento del contributo unificato per le stesse somme.

Del resto, in questi casi, l’impugnazione del solo avviso d’ipoteca (o del preavviso di fermo amministrativo) sarebbe, trattandosi di un mero atto cautelare, del tutto inutile per il contribuente al fine di definire la propria controversia tributaria, in quanto le cartelle presupposte rimarrebbero valide.

In questi casi vi è, quindi, un palese contrasto tra l’art. 12 c. 2 Dlgs 546/1992 che stabilisce che per il calcolo del contributo unificato sia fatto in base all’”importo del tributo” con le norme di rango inferiore quali l’art. 14 c. 3 bis del DPR 115/2002 o le citate circolari interne del Ministero delle Finanze che si riferiscono agli atti impugnati nell’evidente presupposto che ogni atto contenga la richiesta di pagamento di un tributo diverso, cosa che invece non avviene nell’impugnazione cumulativa sia degli atti della riscossione successivi all’emissione della cartelle esattoriale che delle cartelle stesse, dove le somme sono le medesime.

Appare, quindi evidente, che nel caso di specie non può essere sostenibile e ciò proprio in base alle norme citate dalla Pubblica Amministrazione Tributaria, il calcolo dei contributi unificati per ciascun atto e la loro successiva somma.

Vediamo quindi cosa accade a livello pratico e quali rimedi siano esperibili.

In base all’art. 15 c. 1 DPR 115/2002 le Segreterie delle Commissioni Tributarie verificano la corrispondenza della dichiarazione di valore con l’effettivo valore della causa. Pertanto le stesse dovrebbero comunicare immediatamente l’insufficienza dello stesso al ricorrente o al suo difensore richiedendone l’integrazione.

Tuttavia il punto 8 lett. d della circolare n. 1/Df del 21 settembre 2011, prevede tra i doveri del funzionario addetto al deposito quello di comunicare all’ufficio competente per il recupero del contributo unificato, l’insufficienza o il mancato versamento dello stesso.

Quindi di norma succede che il ricorso viene accettato dalla Commissione Tributaria e che solo successivamente venga richiesto, nella forma di un invito di pagamento ex art. 248 DPR 115/2002 per l’integrazione del contributo unificato: una pratica che, peraltro, rischia di causare anche un danno di immagine al difensore che dovrà spiegare al proprio assistito perché i costi inizialmente comunicati per il deposito del ricorso siano aumentati.

Peraltro l’impugnabilità dell’avviso in questione, nel termine dei trenta giorni previsti per il suo pagamento, oltre ad essere tuttora controversa in Giurisprudenza (a favore cfr. CTP Massa Carrara 12 giugno 2012, n. 239/1/12; CTP Foggia 31 ottobre 2012, n. 184/3/12 e CTP Bergamo del 20 marzo 2013 n. 81, Ctp La Spezia 227/2013; contro CTR Toscana 1057/2016, CTP Milano 5684/2015) comporterebbe un ricorso alla Commissione Tributaria avverso un atto della segretaria della stessa Commissione Tributaria!!!!!

Infine, qualora l’eventuale causa rientrasse tra quelle previste ex art. 17 bis l. 546/1992 ossia a quelle di valore inferiore a 20 mila euro (possibilità assai concreta, trattandosi di una controversia accessoria al procedimento principale instaurato) occorrerebbe anche attendere il decorso del termine di 90 giorni per la procedura di reclamo\mediazione prevista dalla norma con un ulteriore ritardo per il contribuente, il quale, inoltre, potrebbe anche temere effetti pregiudizievoli sul ricorso principale a causa dell’impugnazione dell’avviso inviato dalla Commissione Tributaria che dovrà decidere sul ricorso principale.

Stando così le cose, sembra più opportuno, provvedere al pagamento del contributo unificato richiesto nell’invito di pagamento, ciò anche allo scopo di sottrarsi alle onerose sanzioni aggiuntive per il ritardato versamento e poi richiedere il rimborso per il doppio versamento effettuato, relativo all’atto impositivo principale, preavviso di fermo o avviso ipotecario che sia e alle cartelle presupposte, tramite la procedura, da esperirsi nel termine di due anni dal pagamento, prevista dalla circolare n. 33 del 2007 (scaricabile all’indirizzo: http://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/CIRCOLARI/2007/Circolare-n.-33.htm_asc1.PDF), in quanto richiamata dal punto 10 della circolare n. 1/Df del 21 settembre 2011 e che prevede un’istanza in forma libera da depositare presso l’ufficio giudiziario o notificare a mezzo di plico raccomandato.

Allo stato, tale rimedio, appare quello più rapido e meno oneroso in termini economici e di tempo, per tentare di ottenere il rimborso del contributo unificato pagato per i medesimi tributi sia sull’atto dell’esecuzione che sulle cartelle a esso presupposte, sebbene sia auspicabile un intervento del Legislatore che dia omogeneità ai procedimenti civile e tributario nell’ottica di un accesso alla Giustizia meno oneroso per il cittadino e al fine di eliminare una pratica fortemente iniqua che permette ad atti dello stesso ente pubblico creditore di determinare l’entità del contributo che a esso dovrebbe essere versato.

Avv. Andrea Persi


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