Cos’è il “catcalling” e perché in Italia non è ancora reato

Cos’è il “catcalling” e perché in Italia non è ancora reato

Un fenomeno sempre più diffuso in Italia è il cd. catcalling. Dalla fusione dei termini “cat” e “calling”, all’interno di questo fenomeno vengono ricompresi una serie di apprezzamenti (che risultano essere tutto tranne che dei veri e propri complimenti) rivolti per lo più ad una donna per strada da parte degli uomini.

Questo genere di molestie di strada suscita nelle loro vittime un tale turbamento da determinare in esse un vero e proprio senso di colpa, come se il motivo per cui vengono disturbate sia dovuto al loro modo di vestirsi o al loro modo di atteggiarsi. Ciò perché le donne che subiscono questo tipo di molestia sentono come se la loro persona venisse mercificata e ridotta solamente ad un corpo, oggetto di becero desiderio sessuale. Proprio perché trattasi di un fenomeno sempre più diffuso, è bene sensibilizzare la popolazione sull’argomento e soprattutto ricordare a chi viene infastidita in tale modo che non deve sentirsi in colpa: ad avere sbagliato non sono mai le vittime, ma sono sempre gli artefici di questi “complimenti” invadenti e indesiderati.

Secondo un recente articolo dell’organizzazione no-profit Stop Street Harassment, le molestie di strada non sempre includono azioni o commenti con connotazione sessuale. A volte includono anche insulti omofobici, transfobici e altri commenti che fanno riferimento a etnia, religione, classe sociale e disabilità: ciò a dimostrazione che, il più delle volte, questo genere di molestie non sono che un riflesso del sentimento discriminatorio radicato nella società.

Infine, sebbene molti banalizzino il fenomeno definendolo come dei semplici commenti non apprezzati dai soggetti ai quali sono rivolti, il fondatore di Stop Street Harassment ribadisce che non si può escludere che in molti casi queste molestie possono sfociare in comportamenti più minacciosi come lo stalking, l’aggressione o lo stupro.

Per molti Paesi le molestie di strada sono diventate reato. A livello comunitario, nel 2018, in Francia il Presidente Macron[1] ha varato un disegno di legge che dichiara il catcalling una vera e propria molestia, che nulla ha a che vedere con un tentativo non ricambiato di flirt. La norma, in particolare, statuisce che il fenomeno consiste “nell’imporre a una persona osservazioni o comportamenti di natura sessuale o sessista che ledano la dignità di tale persona in ragione del loro carattere degradante o umiliante, o che creino situazioni intimidatorie, ostili o offensive”[2]. Gli autori del reato possono essere soggetti a multe fino a € 750, con mora per comportamenti più aggressivi o violenti.

Diversamente, in Italia, così come in tanti altri Paesi, questo fenomeno non è ancora considerato un reato. Anzi, vi è di più. Vi è infatti chi ritiene che qualificare un atteggiamento del genere come un comportamento penalmente perseguibile rischia di ledere la “libertà degli individui di corteggiare e di approcciarsi ad altri”. Tuttavia, chi appoggia tale visione dimentica che alla base delle relazioni umane c’è il consenso e, quando questo viene a mancare, non può non ritenersi lesa la libertà di autodeterminazione della vittima.

In mancanza di fattispecie incriminatrici ad hoc, allora, ci si chiede in che modo sarebbe possibile qualificare le molestie di strada.

Di primo acchito, si potrebbe pensare di inquadrare tali comportamenti all’interno dell’articolo 660 codice penale, che regola la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone. La norma de qua punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con mezzo telefonico, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo con l’arresto fino a 6 mesi o con l’ammenda fino a € 516.

Il bene giuridico tutelato da questa norma, secondo l’orientamento tradizionale, è il turbamento della pubblica tranquillità[3], attuato mediante l’offesa alla quiete privata, ossia l’ordine pubblico. L’interesse privato individuale, quindi, riceve una tutela penale soltanto riflessa: il reato è infatti perseguibile d’ufficio, venendo la tutela penale riconosciuta con o senza la volontà delle persone molestate[4].

Ai fini della configurazione della fattispecie de qua, il comportamento penalmente rilevante deve essere petulante, ossia deve essere posto in essere un comportamento caratterizzato da insistenza eccessiva, arrogante invadenza e intromissione continua e pressante nell’altrui sfera di quiete e libertà[5].

Il reato consiste quindi in una condotta oggettivamente idonea a molestare e disturbare terze persone, interferendo nell’altrui vita privata e nell’altrui vita relazionale[6]. Dal punto di vista soggettivo, invece, richiede il dolo specifico, ossia la volontà della condotta e la direzione della volontà verso il fine specifico di interferire inopportunamente nell’altrui sfera di libertà.

Pare evidente che la norma francese va oltre la configurazione di cui all’articolo 660 codice penale, in quanto inquadra come fattispecie di reato l’osservazione verbale in sé poiché lesiva della dignità della persona offesa, che viene umiliata, degradata o, nei casi peggiori, intimidita.

La contravvenzione di molestia o disturbo alle persone, così come delineata, non appare tuttavia idonea ad accogliere al suo interno il fenomeno di catcalling. Innanzitutto perché il bene giuridico tutelato dalla norma è, come detto, il turbamento alla pubblica tranquillità e non la dignità della persona offesa molestata. E inoltre perché la contravvenzione in esame non è configurabile in caso di reciprocità o ritorsione delle molestie: vale a dire che la fattispecie in oggetto non viene integrata nel caso in cui la persona offesa risponda alle provocazioni[7].

Altro reato nel quale potrebbe essere inserito il fenomeno del catcalling, soprattutto nelle sue manifestazioni più aggressive e violente, è quello di cui all’articolo 612-bis codice penale, ossia lo stalking. La norma de qua statuisce che, “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da 1 anno a 6 anni e 6 mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.

In questo caso il bene giuridico tutelato sarebbe la libertà personale e morale della persona offesa ma, affinchè possa ritenersi integrata la fattispecie, è necessaria la reiterazione dei comportamenti penalmente rilevanti, trattandosi di reato dalla natura abituale.

Peraltro, nella costruzione della fattispecie incriminatrice il grave e perdurante stato di ansia e di paura è un elemento necessario perché venga integrato l’illecito di atti persecutori, mentre nel caso del catcalling questa sensazione si manifesterebbe nella vittima immediatamente dopo il verificarsi della molestia di strada.

Alla luce delle considerazioni sin qui esposte, è chiaro dunque il motivo per il quale oggi in Italia il catcalling non integra ancora nessuna fattispecie di reato e risulta improprio inquadrarlo come molestia o atto persecutorio. Esiste allora una evidente zona di ombra tra la contravvenzione di molestia o disturbo alle persone e il delitto di atti persecutori che rischia di lasciare prive di tutela vittime che, giorno dopo giorno, sono costrette a subire, silenti, gli inopportuni commenti e sguardi di casuali molestatori.

Nonostante le varie difficoltà di inquadramento giuridico del catcalling, non bisogna dimenticare che in alcune, seppure limitate occasioni – ossia nelle ipotesi in cui il comportamento veniva reiterato nel tempo, la Suprema Corte di Cassazione ha confermato l’integrazione dell’ipotesi di cui all’articolo 660 codice penale nel caso di “corteggiamenti non graditi”.

In particolare, gli ermellini hanno affermato che “integra l’ipotesi di molestia ex articolo 660 codice penale l’insistente comportamento, prolungato nel tempo, di chi “corteggia”, in maniera non gradita, una donna, seguendola in strada (sì da costringere costei a cambiare abitudini), essendo tale condotta rivelatrice di petulanza, oltre che di biasimevole motivo”[8]. In tali circostanze il “corteggiamento” consisterebbe in una vera e propria molestia sessuale, ossia una forma particolare di molestia punita come contravvenzione dall’articolo 660. Giova ricordare che la molestia sessuale è ad ogni modo “cosa diversa dall’abuso sessuale sia pure nella forma tentata, giacché prescinde da contatti fisici a sfondo sessuale e si estrinseca o con petulanti corteggiamenti non graditi o con altrettante petulanti telefonate o con espressioni volgari nelle quali lo sfondo sessuale costituisce un motivo e non un momento della condotta. In definitiva, coincide con tutte quelle condotte, sessualmente connotate, diverse dall’abuso sessuale, che vanno oltre il semplice complimento o la mera proposta di instaurazione di un rapporto interpersonale […]”[9].

In conclusione, tralasciando le sporadiche occasioni in cui è stato possibile muovere un rimprovero penale nei confronti degli autori del catcalling, sembra essere ancora lunga la strada che porterà ad attenzionare un fenomeno come quello in esame che, sebbene ancora sia ritenuto dai molti non meritevole di tutela penale, lascia nell’animo delle vittime (peraltro nella stragrande maggioranza donne) quel senso di inquietudine e paura che non permette loro di camminare tranquillamente da sole per strada, anche di notte.

 

 

 

 

 


[1] Il Presidente ha sempre fortemente criticato questo fenomeno. È infatti un forte simpatizzante del movimento #metoo e non ha potuto non prendere in considerazione i dati di una ricerca condotta sulla popolazione francese dalla quale era emerso che l’83% delle donne francesi, anche di diversa fascia d’età, sono state vittime per la strada di apprezzamenti inopportuni e osceni, subendo, alcune volte, anche intimidazioni da parte degli uomini che cercavano la loro attenzione.
[2] Questa la traduzione dalla norma francese: Imposer à une personne tout propos ou comportements à connotation sexuelle ou sexiste qui soit porte atteinte à sa dignité en raison de son caractère dégradant ou humiliant, soit créé à son encontre une situation intimidante, hostile ou offensante.
[3] Ex plurimis: Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 22055 del 23 maggio 2013.
[4] Ex plurimis: Cass. Pen., sentenza n. 18216 del 2019; Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 10983 del 16 marzo 2011; Trib. Milano, sentenza n. 8118 del 2008.
[5] Ex plurimis: Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 6064 del 2018; Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 6908 del 24 novembre 2011; Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 17308 del 13 marzo 2008.
[6] Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 8198 del 2006.
[7] Ex plurimis: Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 7067 del 2019; Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 23262 del 2016.
[8] Cass. Pen., Sez. I, sentenza n. 55713 del 19 ottobre 2017.
[9] Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 27469 del 05 giugno 2008. V. anche Cass. Pen., Sez. III, sentenza n. 24895 del 07 ottobre 2014.

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Elena Avenia

Nata ad Agrigento nel 1994. Laureata con pieni voti e lode nel luglio del 2018, presso l'Università degli studi di Enna Kore, con una tesi in diritto processuale penale dal titolo "L'ascolto del minore nel processo penale". Diplomata nel luglio 2020 presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Catania. Abilitata alla professione forense il 21 settembre 2020.

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