Costituzione e obbligo vaccinale per i professionisti

Costituzione e obbligo vaccinale per i professionisti

La libertà di iniziativa economica privata garantita dalla Costituzione all’art. 42 Cost. può essere compressa per salvaguardare il diritto alla salute inteso come interesse individuale e collettivo? Questo solo quando vi sia una nuova norma di legge, conforme all’art 32 Cost, che metta in sicurezza gli italiani.

Chiaro come l’introduzione di un obbligo di vaccinazione per le categorie professionali diverse dall’operatore sanitario debba seguire le ineludibili indicazioni tecnico scientifiche che permetterebbero di individuare norme precauzionali specifiche e di sicura affidabilità.

La specificità della materia della vaccinazione presuppone la necessità di individuare caratteristiche e modalità di diffusione del virus, al fine di meglio prevenire la sua espansione con lo strumento che garantisca il più ampio consenso popolare, e cioè una legge ad hoc.

Chiaro come solo il legislatore può introdurre norme corredate dal carattere della specificità e della tipicità, in tutt’uno con le “norme scientifiche” attinenti al campo medico.

L’obbligo di vaccino, da intendersi come generalizzato, va di pari passo con il progredire della ricerca medica. Al di fuori di queste coordinate, non si può ancora parlare di obbligo, ma solo di volontarietà.

Il d.l. n. 44 del 2021, convertito in L. n. 76/2021, detta un criterio sistematico funzionale in base al quale l’operatore sanitario che rifiuti il vaccino senza comprovare specifiche esigenze di salute tali da impedirne la somministrazione si trova in difetto del titolo abilitativo a svolgere la professione. La sanzione disciplinare prescelta non è quella del licenziamento, ma quella della sospensione senza retribuzione fino alla fine all’attuazione del piano vaccinale. Solo ove possibile ai subordinati è concessa la possibilità di essere adibiti a mansioni diverse, o addirittura inferiori con corrispondente trattamento economico.

Questo criterio sistematico può essere utilizzato anche per le altre categorie professionali per le quali non c’è ancora una disposizione legislativa?

In assenza di una legge che soddisfi la riserva dell’art. 32 Cost, per le altre categorie professionali, la giurisprudenza prevalente contrariamente a qualche orientamento minoritario non sembra individuare un obbligo di vaccinazione pena il licenziamento o la sospensione desumibile dalle norme vigenti.

La legislazione vigente, l’art. 2087 c.c e il Testo Unico sul lavoro, non può essere utilizzata al fine di introdurre un obbligo vaccinale. L’art 2087 c.c. è una norma volta a prescrivere il criterio della massima sicurezza tecnologicamente fattibile. Quali sarebbero le norme tecniche e di esperienza che servirebbero a corroborare l’obbligo di vaccinazione e la sicurezza del vaccino? Questo non ci è dato sapere dal tenore della norma in questione.

Quelle valutazioni relative ai dati scientifici desumibili dall’esperienza e dalla tecnica, che vanno di pari passo con la ricerca scientifica, potrebbero essere raccolte e sintetizzate solo dal legislatore, per giunta con un ampio consenso popolare.

Anche il Testo Unico all’art 279 sembra essere norma desueta e non applicabile alla fattispecie del vaccino, più che altro riferendosi solo ad un agente biologico presente nella lavorazione che implicherebbe l’allontanamento temporaneo del lavoratore, con conseguente possibilità di adibizione del lavoratore a mansioni diverse. Ma il richiamo ad un agente biologico presente nella lavorazione farebbe pensare solo al raggruppamento di tutt’altra serie di infezioni che derivino dall’interno, non dall’esterno, dell’azienda.

Così come anche l’articolo 20 del Testo Unico sulla sicurezza negli ambienti di lavoro (d. lgs. n. 81/2008) è un precetto che può essere astrattamente invocato rispetto alle misure che impongono di indossare la mascherina e/o rispettare il distanziamento o, ancora, farsi misurare la temperatura all’ingresso dei luoghi di lavoro (misure del resto previste da fonti sovraordinate), ma non per quelle che, come la vaccinazione, incontrano un limite che deriva da una norma costituzionale.

La previsione dell’art. 29, comma 3, del d.lgs. n. 81/2008, che dispone che la valutazione dei rischi deve essere immediatamente rielaborata qualora si renda disponibile una nuova misura che incida sulla prevenzione e protezione dei lavoratori, non fa ritenere che il datore di lavoro debba introdurre un obbligo di vaccinazione, ma si riferirebbe a un giudizio di idoneità del lavoratore a svolgere determinate mansioni incombente su un nuovo soggetto, il medico competente.

Tutte queste norme non sono dirette, per loro stessa natura e ontologia, alla previsione ex novo di un obbligo di vaccinazione, in quanto non vi è alcuna previsione disciplinare riguardo alla condotta del lavoratore che non si vaccini, alcun precetto implicante la protezione della  salute propria e quella degli altri, non sono ben specificate le linnee guida e i dati scientifici a cui fare un sicuro riferimento. Norme desuete non al passo con il tempo, il progredire della ricerca scientifica che sempre di più avanza.

Ecco come l’obbligo di vaccinazione necessita di una legge che abbia il più ampio consenso popolare e non può essere desunto in via di interpretazione ermeneutica da norme già presenti nella legislazione che nulla dispongano in merito alla ricerca scientifica, e che sembrerebbero esser poter utilizzabili per altri fini ed altri comportamenti, venendo a configurare un più generale obbligo di sicurezza estensibili ad altre situazioni.

Cosa fare in concreto dinanzi ad un lavoratore che non voglia vaccinarsi? La sanzione del licenziamento non sembra essere sempre praticabile o l’unica strada da percorrere, ma si potrebbe ipotizzare una legittima collocazione in ferie per il lavoratore che non si vaccini, e che sia a contatto con il pubblico, pena la violazione di un obbligo di sicurezza, come sostenuto dal Tribunale di Belluno.

Anche la via della sospensione senza retribuzione, sostenuta dalla giurisprudenza del Tribunale di Modena, sembra concretamente praticabile in quanto il datore di lavoro si pone come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali. Anche il lavoro agile (smart working) ove possibile sarebbe una scelta che consentirebbe al lavoratore di continuare a lavorare da casa, ove non si vaccinasse. Ma in questo caso il suo rifiuto dovrebbe essere giustificato oppure questa soluzione sarebbe idonea anche per il lavoratore che ingiusificatamente non si vaccini? Ulteriore possibilità è quella della adibizione del lavoratore  a mansioni diverse o inferiori, che non implichino il contatto con il pubblico. Il datore di lavoro potrebbe svolgere indagini, nei settori lavorativi privati, sulle condizioni di salute del lavoratore e sulla sua avvenuta vaccinazione o meno, in violazione dell’art. 9 del G.D.P.R che prescrive la tutela dei dati personali particolari. Nel settore pubblico la vaccinazione potrebbe essere utilizzata come requisito di accesso all’impiego.

 

 

 

 

 


Bibliografia
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Diritti fondamentali.it, “Vaccinazioni e diritti costituzionali”, 05/05/2021, Marco Mocella
Il Sole 24 ore.it, “Lavoro, lecito mettere in ferie il dipendente che rifiuta il vaccino“, 24/03/2021, Aldo Bottini e Matteo Prioschi
FIlodiritto.it, “Vaccino contro il Covid 19: il datore di lavoro può imporlo? E se il lavoratore rifiuta, può licenziarlo?”,22/01/2021, Monica Bombelli
Diritto.it; “Lavoratore non vaccinato, sospensione e niente stipendio: la decisione del Tribunale“, di Redazione  – 29 luglio 2021

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