Covid, no vax: il personale sanitario può lavorare da remoto (rif. D.L. n. 44 del 2021)

Covid, no vax: il personale sanitario può lavorare da remoto (rif. D.L. n. 44 del 2021)

T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 17 gennaio 2022, n. 109

Deve essere annullato l’atto di accertamento adottato dall’ATS di -OMISSIS-, nella parte in cui estende la sospensione dal diritto di svolgere le prestazioni professionali anche a quelle prestazioni che, per loro natura o per le modalità di svolgimento, non implicano contatti interpersonali o non sono rischiose per la diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

<<…9. A questo punto, residua la trattazione congiunta del nono motivo del ricorso e del nono e del decimo dei motivi aggiunti, con i quali il ricorrente ha eccepito il contrasto della norma impositiva dell’obbligo vaccinale con i principi enunciati dagli articoli 1, 2, 3, 4, 35 e 36 della Costituzione e con l’articolo 97 della Costituzione.

9.1. I motivi proposti sono parzialmente fondati, nei sensi e nei limiti di cui si dirà.

9.2. In via preliminare, il Collegio ha il dovere di verificare la possibilità di percorrere la via dell’interpretazione conforme ai principi costituzionali, mediante l’esame di tutte le ipotesi ermeneutiche astrattamente possibili per attribuire alla norma un significato non incompatibile con gli stessi ed entro i confini della formulazione letterale della disposizione sospettata di incostituzionalità.

Al comma 1 dell’articolo 4, il legislatore ha qualificato la vaccinazione per la prevenzione dell’infezione da Sars-CoV-2 come <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative dei soggetti obbligati>>.

Nella direttiva quadro del Consiglio 2000/78/CE del 27 novembre 2000, all’articolo 4, paragrafo 1, è previsto che gli Stati membri, <<per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui viene espletata>> possono stabilire <<un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato>>.

La consistenza degli effetti conseguenti alla carenza di tale requisito essenziale deve essere perciò individuata in applicazione del principio di proporzionalità dell’azione amministrativa ed in coerenza con il tenore letterale dell’intero articolo 4, il quale, al comma 6, specifica che gli effetti sfavorevoli conseguenti all’adozione dell’atto di accertamento dell’inosservanza dell’obbligo vaccinale consistono nella sospensione non dall’esercizio della professione ma <<dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2>>.

L’interpretazione restrittiva della sospensione dallo svolgimento di una determinata, sebbene assai estesa, tipologia di mansioni, quali quelle che implicano rapporti interpersonali, con i pazienti o con il personale sanitario, è altresì confermata:

a) dalla formulazione letterale del comma 8, il quale, a proposito del sanitario lavoratore dipendente, pubblico o privato, stabilisce che <<Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni anche inferiori, diverse da quelle indicate dal comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9 non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato>>;

b) dalla formulazione letterale del comma 10, che, a proposito del sanitario lavoratore dipendente, per il quale, in seguito all’accertamento di un pericolo per la salute conseguente alla somministrazione del vaccino, sia stata disposta l’omissione o il differimento dell’obbligo vaccinale, stabilisce che il datore di lavoro, previa adozione delle specifiche misure di prevenzione igienico-sanitarie indicate nel comma 11, lo adibisce temporaneamente <<a mansioni anche diverse, senza decurtazione della retribuzione, in modo da evitare il rischio di diffusione del contagio da SARS-Cov-2>>.

La lettura sistematica delle citate disposizioni consente pertanto di evidenziare che:

a) sussiste il divieto assoluto per tutto il personale sanitario, indipendentemente dalla sua appartenenza alla categoria dei lavoratori autonomi o dei lavoratori dipendenti, di svolgere, sino all’adempimento dell’obbligo vaccinale o durante il periodo di sospensione e di differimento dell’obbligo vaccinale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali con i pazienti, con i loro familiari e con altro personale sanitario o che comunque comportano un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2;

b) è fatto obbligo al datore di lavoro, pubblico o privato, di adibire il lavoratore dipendente per il quale, in seguito all’accertato pericolo per la sua salute, siano stati disposti l’omissione o il differimento della vaccinazione, sino al 31 dicembre 2021, alle medesime mansioni o a mansioni diverse, senza decurtazione della retribuzione, nonché di adottare le specifiche misure di prevenzione igienico-sanitarie, previste per il contenimento del rischio di contagio sui luoghi di lavoro;

c) è conformato il potere organizzativo del datore di lavoro, pubblico o privato, di adibire il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori rispetto a quelle svolte in precedenza, che non implicano contatti interpersonali e non comportano il rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2;

d) residua la generale facoltà di svolgere tutte quelle prestazioni o mansioni, comunque riconducibili allo svolgimento della professione sanitaria, che non comportino contatti interpersonali di prossimità e non creino un concreto rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

9.3. Tale interpretazione dell’articolo 4, a giudizio del Collegio, è l’unica compatibile con la salvaguardia del diritto di svolgere la professione sanitaria, il quale deve temporaneamente recedere a fronte della realizzazione del fine primario perseguito dalla norma, che è quello <<di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza>>, nonché con la salvaguardia del diritto di ritrarre dal proprio lavoro un compenso che fornisca le risorse necessarie ad assicurare al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, mediante l’individuazione di limitazioni all’esercizio della professione o dell’attività lavorativa che siano proporzionate allo scopo da raggiungere, in modo che, all’esito del raffronto tra i benefici per il raggiungimento dell’interesse primario ed i sacrifici per gli interessi personali, nessun interesse ne esca inutilmente frustrato.

9.4. Il Collegio considera che, ove gli effetti automatici, che la norma riconnette all’adozione dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale, venissero intesi in senso lato, come preclusivi dell’esercizio della professione sanitaria tout court, si finirebbe per avvalorare un’interpretazione del citato articolo 4, comma 6:

a) contrastante con la ratio della norma impositiva dell’obbligo vaccinale e foriera di effetti non coerenti con il principio di proporzionalità e di adeguatezza di matrice euro-unitaria, il quale impone di ricercare, tra le scelte ugualmente idonee al raggiungimento del pubblico interesse, quella meno gravosa per i destinatari incisi dal provvedimento, ove evitare agli stessi inutili sacrifici;

b) foriera di un’irragionevole discriminazione tra i sanitari che esercitano la professione come lavoratori subordinati o parasubordinati e quelli che la esercitano come lavoratori autonomi, in quanto per i primi, a differenza che per i secondi, non è previsto un divieto assoluto di esercitare l’attività lavorativa, ancorché relegato allo svolgimento di mansioni – anche inferiori – che non implichino rischi di diffusione del contagio e sempre che l’organizzazione aziendale lo permetta.

9.5. Il Collegio ritiene pertanto che l’unica interpretazione della norma che consenta di perseguire il fine primario della tutela precauzionale della salute collettiva e della sicurezza nell’erogazione delle prestazioni sanitarie in una situazione emergenziale, senza comprimere in modo irragionevole – sia pure temporaneamente – l’interesse del sanitario a svolgere un’attività lavorativa, sia quella di limitare, come espressamente enunciato dall’articolo 4, comma 6, gli effetti dell’atto di accertamento dell’inadempimento dell’obbligo vaccinale allo svolgimento delle prestazioni e delle mansioni che comportano contatti interpersonali e di quelle che, pur non svolgendosi mediante un contatto interpersonale, comportino un rischio di diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

A tal uopo, l’elemento normativo <<contatti interpersonali>>, che il legislatore ha indicato quale attributo delle prestazioni o delle mansioni di cui ha vietato lo svolgimento, deve essere inteso, in coerenza con la ratio legis di apprestare tutti gli strumenti precauzionali per il contenimento della diffusione del virus Sars-CoV-2, in senso materiale, come stretto accostamento fisico tra individui, e non in senso relazionale, come rapporto interpersonale che può essere instaurato anche con modalità diverse da quelle del contatto fisico, notoriamente individuato come uno dei potenziali vettori del contagio.

La locuzione <<in qualsiasi altra forma>>, che il legislatore ha utilizzato per colorare il divieto di svolgimento di prestazioni o mansioni diverse da quelle che implicano contatti interpersonali, postula comunque che l’attività lavorativa si risolva in un rischio concreto <<di diffusione del contagio da SARS-CoV-2>>.

9.6. Osserva il Collegio che, nell’ambito delle professioni sanitarie, esistono delle attività, praticabili grazie alla tecnologia sanitaria, che il personale sanitario può svolgere senza necessità di instaurare contatti interpersonali fisici, quali ad esempio l’attività di telemedicina, di consulenza, di formazione e di educazione sanitaria, di consultazione a distanza mediante gli strumenti telematici o telefonici, particolarmente utili per effettuare una prima diagnosi sulla base di referti disponibili nel fascicolo sanitario telematico e per fornire un’immediata e qualificata risposta alla crescente domanda di informazione sanitaria, le quali non potrebbero essere svolte in caso di sospensione dall’esercizio della professione sanitaria.

L’ordinamento ricollega infatti allo svolgimento di attività per le quali è richiesta l’iscrizione in un albo professionale, nell’ipotesi in cui questa sia stata temporaneamente sospesa, conseguenze di notevole rilievo sotto il profilo disciplinare, civile (ai sensi dell’articolo 2231 del codice civile, il contratto stipulato con il professionista che non sia iscritto all’albo è nullo e non conferisce alcuna azione, neppure quella sussidiaria di cui all’articolo 2041 del codice civile, per il pagamento della retribuzione) e penale (la giurisprudenza ritiene che soggetto attivo del delitto di esercizio abusivo della professione, previsto e punito dall’articolo 348 del codice penale, sia anche il professionista sospeso dall’albo).

La sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o che comportino comunque il rischio di diffusione del contagio non può dunque coincidere con la sospensione dall’iscrizione all’albo professionale, ancorché la vaccinazione sia stata elevata a <<requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati>>.

9.7. Il Collegio non ignora che un interesse di notevole rilievo, coinvolto nel procedimento disciplinato dall’articolo 4, sia anche quello dei pazienti di essere informati dell’avvenuto adempimento dell’obbligo vaccinale da parte dei professionisti ai quali si rivolgono, specialmente ove la domanda di prestazioni sanitarie avvenga per scelta diretta del professionista e non tramite il filtro dell’accesso ad una struttura sanitaria – pubblica o privata – che si faccia garante delle condizioni di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Il diritto dei pazienti ad essere informati è infatti un corollario del diritto alla sicurezza delle cure, che l’articolo 1, comma 1, della legge 8 marzo 2017, n. 24, individua come parte costitutiva del diritto alla salute.

Orbene, se è vero che la sospensione dall’albo professionale è idonea a realizzare la funzione notiziale della inidoneità temporanea del sanitario a svolgere le prestazioni professionali, tale funzione ben può essere garantita mediante specifiche e adeguate forme di pubblicità, la cui individuazione rientra nella competenza degli Ordini professionali.

9.8. Il nono motivo del ricorso introduttivo nonché il nono ed il decimo dei motivi aggiunti devono dunque essere accolti e, per l’effetto, deve essere annullato l’atto di accertamento adottato dall’ATS di -OMISSIS-, nella parte in cui estende la sospensione dal diritto di svolgere le prestazioni professionali anche a quelle prestazioni che, per loro natura o per le modalità di svolgimento, non implicano contatti interpersonali o non sono rischiose per la diffusione del contagio da Sars-CoV-2.

Saranno in ogni caso demandate all’autonomia ed all’autogoverno dei singoli Ordini professionali, ai quali è riservato in via esclusiva il compito di tenere aggiornato l’albo degli iscritti, sia la predisposizione delle modalità di annotazione dell’atto di accertamento di cui all’articolo 4, comma 6, che l’esercizio della fondamentale funzione di vigilanza sul rispetto della misura interdittiva di natura preventiva.

Resta fermo tuttavia che l’esercizio della professione al di fuori degli stretti limiti sopra evidenziati è idoneo ad integrare un comportamento illecito, rilevante a tutti gli effetti di legge…>>.


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