Covid: quando può essere sospeso il lavoratore?

Covid: quando può essere sospeso il lavoratore?

L’obbligo di un trattamento sanitario per i lavoratori. Innanzitutto è opportuno chiarire che, ai sensi dell’art.32 Cost., lo Stato Italiano ha la possibilità di poter imporre l’obbligo vaccinale nei confronti dei cittadini attraverso una legge. Difatti, in questo ambito la nostra Costituzione prevede espressamente la riserva di legge, quindi soltanto con un atto legislativo può essere disposto l’obbligo per il cittadino di doversi sottoporre ad un trattamento sanitario. In particolare, in virtù del predetto articolo, lo Stato può anche disporre la sospensione del lavoratore, nell’ipotesi in cui quest’ultimo non voglia sottoporsi al vaccino.

L’obbligo può essere previsto soltanto se vi sono tre requisiti: a) il trattamento sanitario imposto ha come scopo di tutelare la salute della comunità; b) dal vaccino non devono derivare conseguenze dannose per sé; c) il risarcimento del danno nel caso in cui vi siano conseguenze dannose per la salute del cittadino a causa del vaccino.

In tal senso si è anche espressa la giurisprudenza europea. La CEDU, con più sentenze, si è espressa in maniera favorevole sull’obbligo vaccinale. Difatti, la Corte ha stabilito che tale imposizione non viola i diritti fondamentali dell’individuo; inoltre, la CEDU ha chiaramente espresso la sua posizione affermando che la salute della collettività deve essere tutelata ed ha sicuramente una valenza superiore rispetto ai diritti dei singoli individui, quindi l’obbligo vaccinale è assolutamente legittimo perché ha come obiettivo quello di tutelare la salute pubblica.

La sospensione del lavoratore non vaccinato. Con il decreto legge 127/2021 lo Stato Italiano ha imposto l’obbligo del green pass per tutti i lavoratori e la immediata sospensione dal posto di lavoro e della retribuzione per coloro i quali non sono in possesso del predetto documento.

Pertanto, i datori di lavoro che hanno nel proprio organico dei lavoratori no-vax hanno la possibilità di poter sospendere il lavoratore dalle proprie mansioni e inoltre provvedere alla sospensione della retribuzione. Difatti, ai sensi dell’art. 2087 c.c., i datori di lavoro devono garantire la sicurezza e la salute dei propri dipendenti e dei terzi, quindi essi hanno l’obbligo di provvedere in qualsiasi modo per garantire idonee condizioni di lavoro per i propri dipendenti.

Nello specifico, è opportuno sottolineare che il lavoratore  sospeso per aver scelto di non vaccinarsi può comunque ottenere la retribuzione se può essere adibito a mansioni diverse che non prevedono il contatto con il pubblico. Difatti se il datore di lavoro ha la possibilità di poter collocare il proprio dipendente non vaccinato in posizioni di lavoro che non prevedono il pericolo del contagio per gli altri colleghi o per i terzi, allora costui è obbligato ad adibirlo a mansioni diverse e corrispondere la normale retribuzione prevista per quelle mansioni.

Ben diverso è quanto previsto per coloro i quali rifiutano di mettere la mascherina; difatti in questo caso si rischia il licenziamento perché il rifiuto di indossare la mascherina rappresenta un giusto motivo per il licenziamento. Pertanto, mentre nel caso del rifiuto vaccinale il licenziamento è previsto come ipotesi di “extrema ratio”, nel caso di rifiuto di indossare la mascherina è previsto in maniera immediata il licenziamento del lavoratore.

Il no-vax reintegrato. Recentemente, vi sono stati numerosi provvedimenti da parte di giudici di lavoro italiani che hanno reintegrato dei lavoratori ingiustificatamente sospesi dal proprio posto di lavoro.

In particolare, vi sono stati parecchi casi in cui l’ingiusta sospensione riguardava degli operatori sanitari, i quali sebbene avessero rifiutato di vaccinarsi, non potevano essere sospesi dal proprio lavoro, perché potevano essere adibiti a mansioni diverse che non prevedevano dei contatti con i terzi, quindi non rappresentavano nessun pericolo per la salute pubblica. Ciò è accaduto a Velletri, dove il giudice del lavoro ha imposto l’obbligo per l’ASL 6 di reintegrare il proprio operatore sanitario presso la propria struttura, assegnandolo a delle mansioni diverse che avrebbero potuto evitare per il lavoratore di essere a contatto con i terzi, come ad esempio lo smart-working.

Altro esempio clamoroso è il caso di un medico che si è rifiutato di vaccinarsi, come accaduto a Cefalù, ed è stato sospeso immediatamente dall’ASL; anche in questo caso vi è stato un provvedimento del giudice del lavoro siciliano, il quale sostenendo che il lavoratore potesse essere adibito a mansioni diverse evitando il contatto con i terzi, ha dichiarato che il lavoratore non poteva essere sospeso.

In conclusione, possiamo affermare che è chiara ed evidente la posizione della giurisprudenza sia nazionale che europea sulla legittimità dell’obbligo vaccinale e del green pass per tutti i cittadini, anche sul posto di lavoro; tuttavia, i datori di lavoro devono essere molto attenti nello scegliere il provvedimento da emettere nei confronti del lavoratore, dato che la sospensione dal posto di lavoro e la conseguente sospensione della retribuzione possono essere irrogati soltanto come una soluzione di “extrema ratio”.


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Dott. Marco De Chiara

Laureato in Giurisprudenza presso l'Università Federico II di Napoli, nel 2019. Praticante Avvocato Abilitato, presso lo studio civile-penale di Napoli, iscritto all'albo dei praticanti avvocati del Tribunale di Napoli dal 2020. Diploma di Scuola di specializzazione per le professsioni legali.

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