Criminalità organizzata negli enti pubblici: diritto di accesso alle relazioni prefettizie

Criminalità organizzata negli enti pubblici: diritto di accesso alle relazioni prefettizie

Se per i futuri governanti troverai una condizione di vita migliore del potere, la tua città può diventare ben governata, perché sarà l’unica in cui governeranno coloro che sono realmente ricchi, non di oro, ma della ricchezza che deve possedere l’uomo felice, ossia una vita onesta e saggia. Ma se le cariche pubbliche sono occupate da individui poveri e affamati di proprietà privata, che pensano di doverne ricavare il proprio guadagno, questa possibilità non può sussistere, in quanto il potere diventa oggetto di contesa e una simile guerra intestina e civile manda in rovina loro e il resto della città”.
(Platone, Repubblica)
Sommario: 1. Il caso – 2. La procedura – 3. Sul diritto di accesso – 4. Osservazioni conclusive

 

 

1. Il caso

L’infiltrazione della malavita organizzata negli enti pubblici locali è, purtroppo, una diffusa e dannosa realtà che danneggia economicamente lo Stato e gli operatori del mercato e che comporta la sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni pubbliche.

Questo ha portato ad una legislazione volta ad assicurare una maggiore trasparenza all’interno di tali enti tramite l’estensione della disciplina del diritto di accesso e l’istituzione di obblighi di pubblicazione di determinate informazioni secondo la “filosofia” per cui il cittadino ha interesse ad esercitare un controllo sul corretto esercizio da parte della PA delle proprie funzioni (prospettiva ispirata al Freedom of Information Act statunitense).

Prima dell’entrata in vigore di queste nuove disposizioni, suscitò scalpore la relazione redatta da una commissione di indagine di nomina prefettizia inerente ad una Asl calabrese, censurata dalla Polizia postale dopo la sua diffusione a mezzo stampa in quanto coperta da segreto (1): “Dopo l’omicidio (di Francesco Fortugno, in sintesi medico e vicepresidente del Consiglio Regionale calabrese che denuncia in Procura e pone interrogazioni in Consiglio su sprechi, corruzione e collusioni politico-mafiose nella sanità regionale, ndr), della Asl di Locri si occupa una commissione amministrativa … La loro relazione conclusiva, nel marzo 2006, porta al commissariamento dell’Asl segnalando una serie infinita di irregolarità, sprechi e collusioni mafiose. Il Ds calabrese Marco Minniti, viceministro dell’Interno, dichiara ad Annozero che la relazione “andrebbe letta nelle scuole, per far capire il grado d’infiltrazione della mafia”. Ma quel testo diventa proibito: agenti della Digos lo sequestrano nella redazione del quotidiano “Calabria ora”, che aveva cominciato a pubblicarlo a puntate; la Polizia postale oscura le pagine dei siti che l’avevano messo online, da democraziaelegalita.it di Elio Veltri a genovaweb, da repubblica.it fino al sito calabrese dei Comunisti italiani. Vengono denunciati per violazione del segreto tutti i webmaster dei siti coinvolti e i responsabili della pubblicazione, tra cui Vittorio Zucconi, direttore del sito della “Repubblica”, e Giancarlo Santalmassi, direttore di Radio 24, l’emittente del “Sole 24 Ore” che in tre settimane ne aveva letto il testo completo a puntate. La relazione ricostruisce un quadro agghiacciante. Appalti affidati a trattativa privata, aggirando la legge che impone bandi pubblici di gara. Lavori faraonici, come quelli per la ristrutturazione dell’ospedale per 14 milioni di euro. Assunzioni clientelari. Forniture irregolari, non conformi alle norme comunitarie e vinte sempre dalle stesse società. Affidamenti diretti ad aziende già segnalate per infiltrazioni mafiose. Sospensioni delle forniture agli ospedali pubblici di Locri e Siderno per consentire ai privati di ottenere il monopolio in alcuni settori delle indagini cliniche e della diagnostica”.

Il presente contributo intende analizzare la normativa e la giurisprudenza riguardanti questi specifici atti amministrativi anche con riferimento alla loro accessibilità.

2.La procedura

Il procedimento con cui lo Stato interviene su eventuali infiltrazioni criminali negli enti pubblici è disciplinato dal decreto legislativo 18.08.2000 n. 267, “Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali” (c.d. TUEL), all’art. 143. La norma si riferisce alle amministrazioni comunali e provinciali, ma l’art. 146 prevede che le medesime disposizioni si applicano anche “agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere”.

Innanzitutto, si interviene laddove si individuano “concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare … ovvero su forme di condizionamenti … tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni … nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica” (comma 1).

La sentenza del T.A.R. Roma Sez. I, 08.01.2015 n. 165 precisa il significato dei presupposti suddetti: a) per concretezza degli elementi si intende il loro “obiettivo e documentato accertamento nella loro realtà storica”; b) per univocità la “direzione agli scopi che la misura di rigore è intesa a prevenire”; c) per rilevanza “l’idoneità all’effetto di compromettere il regolare svolgimento delle funzioni dell’ente locale”.

Inoltre, la sentenza della stessa Autorità del 7.04.2015 n. 5088 sancisce che, trattandosi di una procedura emergenziale volta a tutelare il corretto funzionamento dell’Amministrazione interessata più che a reprimere eventuali condotte illecite di singoli, “sono giustificati margini ampi nella potestà di apprezzamento dell’amministrazione nel valutare gli elementi su collegamenti diretti o indiretti, non traducibili in singoli addebiti personali, ma tali da rendere plausibile il condizionamento degli amministratori, pur quando il valore indiziario dei dati non sia sufficiente per l’avvio dell’azione penale o l’adozione di misure di sicurezza … essendo asse portante della valutazione di scioglimento, da un lato, la accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, le precarie condizioni di funzionalità dell’ente in conseguenza del condizionamento criminale”.

Spetta al Prefetto dare impulso alla procedura promuovendo l’accesso presso l’ente interessato attraverso la costituzione di una commissione di indagine. Essa, entro 3 mesi (prorogabili solo una volta per altri 3 mesi al massimo) redige le proprie conclusioni e le consegna al Prefetto medesimo.

Entro 45 giorni dalla consegna, il Prefetto redige a sua volta una relazione conclusiva per poi inviarla al Ministero dell’Interno, sentito il Procuratore della Repubblica competente per territorio ed il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica. La relazione indica gli elementi di cui al primo comma, nonché gli appalti, i contratti e/o i servizi interessati.

L’intervento del Procuratore della Repubblica è finalizzato a filtrare quanto si intende comunicare al Ministero dell’Interno: verranno infatti comunicate solo le informazioni che egli non ritiene debbano rimanere segrete; restano invece riservate quelle in relazione alle quali pende un procedimento penale, laddove sia necessario per tutelarne le esigenze.

Entro 3 mesi dalla trasmissione della relazione si dispone lo scioglimento dell’ente interessato con Decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministero dell’Interno e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri. La proposta ministeriale di scioglimento indica in modo analitico le anomalie riscontrate e i provvedimenti necessari per rimuovere gli effetti pregiudizievoli, nonché i nomi degli amministratori ritenuti responsabili delle condotte che hanno causato lo scioglimento.

Nel caso in cui, invece, non si disponga lo scioglimento, viene emanato comunque un decreto di conclusione del procedimento, con gli esiti dell’attività svolta, da parte del Ministero dell’Interno.

Al riguardo, la già menzionata sentenza del T.A.R. Roma, Sez. I, 08.01.2015 n. 165 spiega: “è la proposta del Ministro dell’Interno di scioglimento … che costituisce il ruolo centrale del nucleo espressivo della determinazione tecnica sottostante allo scioglimento stesso e tale proposta, pertanto, non è vincolata alle eventuali, difformi valutazioni risultanti dalla relazione prefettizia, atteso che è nella facoltà del Ministro orientare autonomamente il proprio convincimento in ordine alle conseguenze da trarre dagli elementi trasmessi con la detta relazione e coerentemente con essi”.

Il decreto di scioglimento è pubblicato in Gazzetta Ufficiale assieme alla proposta ministeriale ed alla relazione prefettizia, salvo che il Consiglio de Ministri disponga di mantenere la riservatezza su parti della proposta o della relazione nei casi strettamente necessari.

Tali casi sono quelli per i quali, a titolo esemplificativo, “dalla loro divulgazione possa derivare una lesione, specifica e individuata, alla sicurezza e alla difesa nazionale” oppure quelli riguardanti “le strutture, i mezzi, le dotazioni, il personale e le azioni strettamente strumentali alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione e alla repressione della criminalità con particolare riferimento alle tecniche investigative, alla identità delle fonti di informazione e alla sicurezza dei beni e delle persone coinvolte, all’attività di polizia giudiziaria e di conduzione delle indagini” (art. 10 del DPR del 12.04.2006 n. 184, “Regolamento recante disciplina in materia di accesso agli atti amministrativi”, che rinvia all’art. 24 commi 2 e 6 della legge del 7.08.1990 n. 241, “Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”).

Il decreto presidenziale è un atto amministrativo: la Corte Costituzionale con la sentenza n. 103 del 19.03.1993 ha statuito che non si tratta di un atto politico, condividendo quanto affermato dall’ordinanza di rinvio del giudice a quo. Gli atti politici, infatti, riguardano la “direzione suprema e generale dello Stato considerato nella sua unità e nelle sue istituzioni fondamentali” e questa caratteristica non si rinviene nel DPR di scioglimento degli enti: “la salvaguardia delle amministrazioni locali dalle ingerenze della criminalità organizzata risponde ad un interesse specifico e delimitato dello Stato, per quanto pressante e necessaria sia l’esigenza dell’intervento” e “le valutazioni di ordine politico devono intendersi esaurite nella sede legislativa, restando al potere esecutivo il compito, che è proprio della sfera di azione della potestà amministrativa, di rendere operante il dettato della fonte primaria”.

La procedura di pubblicazione della relazione prevede dunque due filtri: uno di natura giurisdizionale, sotto il controllo della Procura della Repubblica, ed uno di natura politica, disposto dal Consiglio dei Ministri.

3. Sul diritto di accesso

Il tema della riservatezza delle informazioni provenienti dalle indagini è stato affrontato in relazione al diritto ad una effettiva e completa difesa in giudizio.

Premettendo che la legge del 7.08.1990 n. 241 all’art. 24 comma 7 prevede che “Deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”, laddove le parti intendano avvalersi di quanto riportato nelle relazioni prefettizie “le esigenze di tutela della riservatezza sono da considerarsi, di norma, recessive rispetto all’esigenza di tutela del diritto di difesa” e l’Amministrazione Pubblica, in caso di rigetto della richiesta di ostensione, “o appone il segreto di Stato oppure è tenuta a motivare, in modo rigoroso, l’esistenza di eventuali e concrete ragioni di eccezionale prevalenza dell’esigenza di riservatezza su quella della tutela in giudizio dei diritti e degli interessi della parte ricorrente”. Ne consegue che “ove la PA intenda ‘segretare’ o tenere comunque riservati determinati atti, non può al tempo stesso utilizzarli come supporto ‘indirettamente’ motivazionale non solo della condotta amministrativa, ma financo della propria difesa in giudizio, pretendendo di escluderli definitivamente dalla verifica del contraddittorio e, quello che più conta, dal controllo giudiziario” (T.A.R. Calabria Sez. I – Reggio Calabria, 28.10.2019 n. 628).

Sul regime, più strettamente, di pubblicità della relazione si è pronunciato il Consiglio di Stato Sez. III con la sentenza del 30.05.2011 n. 3248, la quale ha ritenuto che la normativa sull’allegazione della relazione prefettizia al DPR di scioglimento dell’ente interessato dalle indagini “ha posto un principio di ordine generale in ordine alla accessibilità della relazione prefettizia che non solo non è atto riservato, né oggetto del divieto di divulgazione, ma addirittura deve essere integralmente pubblicata nella G.U. quale atto coessenziale e facente corpo con il decreto di scioglimento unitamente alla proposta del Ministro” salvi i casi strettamente necessari per i quali il Consiglio dei Ministri può disporre la riservatezza.

Ne segue che il diritto di difesa e la possibilità di contestare o sottoporre a controllo giudiziario le valutazioni relative all’onorabilità del soggetto interessato o alla sua credibilità sociale comporta il diritto di accesso alla relazione, con apposizione del termine “omissis” sulle relazioni di servizio, sui nomi degli autori e sulle fonti delle informazioni raccolte.

4. Osservazioni conclusive

L’accesso alle relazioni prefettizie che indagano sulle infiltrazioni malavitose è dunque regolato in base alla necessità di segretare informazioni coinvolgenti procedimenti penali o interessi nazionali, ma al contempo garantisce il completo esercizio del diritto di difesa in giudizio.

Un bilanciamento certamente corretto e da condividersi, ma che non realizza quell’interesse del cittadino al monitoraggio auspicato con le riforme susseguitesi in tema di accesso agli atti.

Le relazioni accessibili in quanto allegate al relativo DPR di scioglimento, infatti, riportano nomi e riferimenti a procedimenti pendenti, ma allo stesso tempo garantiscono la segretezza di determinate informazioni con la scritta “omissis”. Questa soluzione permette a tutti i membri della collettività di conoscere qualcosa che forse interessa ancora di più della sorveglianza sulle decisioni in sè della PA: quei meccanismi attraverso cui la corruzione, il clientelismo e l’omertà penetrano nella res pubica danneggiandone il funzionamento e minando la fiducia dei consociati nell’organizzazione dello Stato. Conoscere queste dinamiche e sapere che la criminalità organizzata non è “solo” quella degli attentati e delle sparatorie, ma è anche appalti, contratti e accordi permette di prendere coscienza del grado di pervasività con cui l’illegalità penetra nel mondo del lavoro, dell’economia, nel tessuto sociale e produttivo di un Paese, rovinandolo economicamente e socialmente.

La procedura di scioglimento descritta anticipa la tutela degli interessi pubblici coinvolti, essendo connotata da valutazioni discrezionali dell’amministrazione sulla sussistenza dei presupposti per lo scioglimento dell’ente e non richiedendo lo stesso grado di gravità indiziaria previsto per l’avvio di un procedimento penale vero e proprio, a discapito dei singoli altrettanto coinvolti. Considerando dunque la prospettiva opposta, la pubblicazione con “omissis” è una soluzione che protegge anche il soggetto (dirigente, amministratore, consigliere) a cui siano state addebitate ingiustamente vicende di tali gravità, permettendo che non ne venga pubblicato il nome e che dunque non ne vengano pregiudicate la credibilità e l’onorabilità, soprattutto laddove la persona non sia nemmeno sottoposta ad indagine o a procedimento penale e sia dunque presunta innocente.

 


(1) Da “Mani Sporche – 2001-2007. Così destra e sinistra si sono mangiati la II Repubblica”, Barbacetto, Gomez, Travaglio, Milano 2007 (ed. Chiarelettere), pagg. 418-419.
(2) Decreto del Presidente della Repubblica del 28.04.2006 n. 22226 (G.U. 17.05.2006 n. 113) – “Affidamento della gestione dell’A.S.L. n. 9, in Locri, ad una commissione straordinaria, a norma dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

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