Criteri di imputazione della responsabilità amministrativa degli enti

Criteri di imputazione della responsabilità amministrativa degli enti

Il decreto legislativo n. 231 del 2001 introduce nell’ordinamento giuridico italiano un regime di autonoma responsabilità amministrativa a carico degli enti per i reati commessi nel loro interesse o vantaggio da persone fisiche appartenenti a vario titolo alla struttura societaria.

I presupposti della responsabilità dell’ente sono: a) la commissione di talune tipologie di reato, tassativamente indicate dal legislatore da parte di soggetti funzionalmente legati all’ente; b) realizzazione del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente; c) mancata predisposizione o adeguatezza di un modello organizzativo idoneo alla prevenzione dei reati o sua inefficace attuazione.

La Suprema Corte ha di recente concentrato la sua attenzione nel delineare il collegamento di tipo obiettivo tra l’illecito commesso e l’ente, consistente nella finalizzazione del reato stesso al vantaggio o all’interesse della persona giuridica.

La sentenza n. 295 del 2018 delinea la nozione di interesse contenuta nell’art. 5 del d.lgs. 231 del 2001 che così testualmente dispone: “l’ente è responsabile per i reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio: a) da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo dello stesso; b) da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a). 2. L’ente non risponde se le persone indicate nel comma 1 hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi”.

Gli artt. 5 e 6 del suddetto decreto enucleano i criteri in base ai quali il reato commesso dalla persona fisica può essere attribuito alla persona giuridica; in particolare, l’art. 5 individua il criterio di imputazione oggettiva a norma del quale l’ente risponde solo dei reati commessi nel suo interesse o vantaggio.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità (S.U. 38343/2014) ha identificato i due criteri di imputazione dell’interesse e del vantaggio in rapporto di alternatività. Nello specifico, il criterio di interesse esprime una valutazione teleologica del reato, apprezzabile ex ante al momento della commissione del fatto e secondo un metro di giudizio soggettivo in relazione all’elemento psicologico del soggetto agente. Il criterio del vantaggio ha una connotazione oggettiva valutabile ex post sulla base degli effetti concretamente derivati dalla realizzazione dell’illecito.

Tuttavia, la giurisprudenza ha iniziato ad identificare in chiave oggettiva non solo il vantaggio, ma anche l’interesse. Con la sentenza n. 10265 del 2014 i giudici di legittimità hanno, infatti, sostenuto che “ai fini della configurabilità della responsabilità dell’ente, è sufficiente che venga provato che lo stesso abbia ricavato dal reato un vantaggio, anche quando non è stato possibile determinare l’effettivo interesse vantato ex ante alla consumazione dell’illecito e purché non sia contestualmente stato accertato che quest’ultimo sia stato commesso nell’esclusivo interesse del suo autore persona fisica o di terzi”. Dunque, dovrebbe essere attribuita alla nozione di interesse una connotazione non esclusivamente soggettiva che non troverebbe riscontro nel dato normativo.

La Suprema Corte ha, infatti, evidenziato come la legge non richieda necessariamente che l’autore del reato abbia voluto perseguire l’interesse dell’ente ai fini della configurabilità di una qualche responsabilità in capo a quest’ultimo, né che sia richiesto che il soggetto agente sia stato anche solo consapevole di realizzare tale interesse attraverso la propria condotta (Cass. 10265/2014).

In conclusione, i giudici di legittimità con la sentenza n. 295 del 2018 hanno affermato che l’interesse del reato può coincidere con quello dell’ente, ma la responsabilità dello stesso sussiste anche quando, perseguendo il proprio autonomo interesse, l’agente obiettivamente realizzi anche quello dell’ente. Dunque, le condotte dell’autore del reato, poste in essere nell’interesse dell’ente, sono quelle che rientrano nella politica societaria ossia tutte quelle condotte che trovano una spiegazione ed una causa nella vita societaria.  Per quanto concerne il vantaggio, quest’ultimo va inteso come la potenziale o effettiva utilità, non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato presupposto, valutabile ex post, sulla base degli effetti derivati dalla realizzazione dell’illecito.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News

Articoli inerenti