Da Impresa Sociale a Impresa Social?

Da Impresa Sociale a Impresa Social?

Sommario1.  La nozione di Impresa Sociale – 2.  La normativa italiana previgente – 3. L’impresa sociale nelle recenti riforme

1.  La nozione di Impresa Sociale

“Social enterprise’ is the term by which, almost universally (despite certain nuances that depend on the specific legislative and scholarly context), reference is made to an organization that pursues objectives of general interest, community interest or social benefit through the performance of an entrepreneurial activity involving the use of business logics and method”[1].  Si tratta, dunque, di una organizzazione sociale largamente diffusa, in grado di svolgere attività di interesse comune e di beneficio sociale, attraverso logiche di gestione e metodi imprenditoriali.

E’, questa, una definizione dottrinale frutto di una serie di studi comparati su varie esperienze legislative europee, nelle quali l’Impresa Sociale ha ricevuto cittadinanza, sia pure in tempi e in modi differenti[2]. Ma anche la Comunità Europea è riuscita a elaborare una definizione – non prescrittiva – di Impresa Sociale come “an operator in the social economy whose main objective is to have a social impact rather than make a profit for their owners or shareholders. It operates by providing goods and services for the market in an entrepreneurial and innovative fashion and uses its profits primarily to achieve social objectives”[3]. Dunque, i tratti caratteristici di questa indicazione programmatica sono costituiti dal conseguimento di obiettivi sociali operando in una economia sociale, avendo come punto di arrivo non il profitto aziendale ma un “impatto di mercato” sociale.

La stessa Comunità Europea, nel  2009 e nel 2011[4], aveva avviato, attraverso il Comitato Economico e Sociale Europeo, una attività di indagine e di promozione dell’Impresa Sociale all’interno degli Stati Membri,  i cui riscontri sono stati pubblicati, sui singoli ordinamenti, sottolineandone soprattutto le notevoli potenzialità e le ricadute positive in termini di occupabilità nella fascia giovanile. La Commissione Europea – come si ricorda nel documento riportato in nota – non ha ritenuto opportuno formulare una definizione normativa di ‘Impresa Sociale’, soprattutto per il rispetto delle autonome definizioni presenti nei singoli ordinamenti nazionali. Gli elementi di criticità dell’Impresa Sociale, considerati dal Comitato, sono rappresentati, come è facilmente intuibile, dalle difficoltà di accesso al credito[5].

Questo perché – si sottolineava nel documento – molti ordinamenti sono carenti in relazione alla predisposizione di procedimenti di auditing collaudati e specifici circa il rating economico sulla solidità e affidabilità creditizia delle imprese sociali, che dovrebbe essere parametrato in base a indici diversi dal quelli di rischio creditizio applicati alle imprese commerciali. Si raccomandava, inoltre, nel documento citato, anche la predisposizione, da parte degli Stati Membri, di meccanismi in grado di garantire una certa visibilità sociale dell’Impresa Sociale stessa, in modo da incentivarne la diffusione.

Nel 2012, anno della diffusione di questo rapporto, nel nostro ordinamento esisteva già un concetto normativo di Impresa Sociale, recentemente riformato. A questo punto è opportuno tracciarne i profili di interesse nel § che segue.

2.  La normativa italiana previgente

L’impresa sociale viene istituita nel nostro sistema tramite il Decreto legislativo n. 155, emanato dal Consiglio dei Ministri del 2 marzo 2006, in attuazione della legge delega del 13 giugno 2005 n. 118.

Il decreto legislativo è frutto di una lunga serie di studi e ricerche prevalentemente orientate all’esame della esperienza anglosassone[6] ed è riuscito  individuare alcuni decisivi elementi distintivi dell’impresa sociale sia sotto l’aspetto economico, sia sotto quello giuridico.

Proprio la legge delega si pone come rilevante ai fini della presente indagine poiché contiene, per la prima volta nel nostro sistema[7], una definizione dell’impresa sociale, che vale la pena naturalmente qui trascrivere e commentare. Sono imprese sociali, in particolare, “le organizzazioni private senza scopo di lucro che esercitano in via stabile principale un‘attività economica di produzione o di scambio di beni o di servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale”.

E, per la prima volta, nel nostro ordinamento si prevede espressamente che un ente no profit possa svolgere, pacificamente, una attività organizzata in forma di impresa. Anche nel D. Lgs. 155, nei primi articoli, viene delineata in forma più frammentata la nozione di impresa sociale, dalla quale sono espressamente escluse le organizzazioni pubbliche e quelle private nelle quali siano previste erogazioni di beni e servizi nei confronti dei soli soci, associati o partecipi. E all’articolo 1, comma 1, del D. Lgs. n. 155/2006 viene in effetti riprodotta la medesima nozione prevista nella legge di delega e si enuncia che “possono acquisire la qualifica di impresa sociale tutte le organizzazioni private, ivi compresi gli enti di cui al libro V del codice civile, che esercitano in via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno i requisiti di cui agli articoli 2, 3 e 4”.

L‘obiettivo delle imprese sociali è la realizzazione dell‘interesse generale. L‘impresa sociale è organizzazione senza scopo di lucro. È questo, in sintesi il contenuto dell‘art. 3 d D.lgs. 155/2006.  Ma, ai sensi dell’art. 6, comunque gode – a determinate condizioni – di un principio tutto sommato anomalo per una impresa non commerciale e piuttosto tipico delle società di capitali, ossia quello dell’autonomia patrimoniale perfetta. La principale condizione è che l’impresa sociale non abbia un patrimonio inferiore a ventimila euro, salvo che non sia organizzata in forma di società di capitali. Inoltre, è necessario che l’impresa si iscriva presso la apposita sezione del registro.

Quel che sorprende, all’esame della legge delega, è il fatto che essa abbia precluso al legislatore delegato l’opportunità di attribuire una  specifica disciplina fiscale favorevole all’impresa sociale, poiché, all’art. 3, era previsto che dall’attuazione di principi e criteri direttivi non potessero derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica. Infatti, se l’impresa sociale acquisisce anche la qualifica di cooperativa sociale può godere, per estensione, dei benefici fiscali assegnati a quest’ultima dalla Legge 381/91, di quelli previsti per le Onlus (D .Lgs. 460/1997) e di quelli concessi alle società cooperative. E così, nel recepire la delega, l’art. 17 D.Lgs. 155/2006 non ha previsto nulla di nuovo nell’ampliare la normativa fiscale per l’impresa sociale. Dunque molti enti no profit hanno trovato disincentivante la trasformazione in imprese sociali.

E, oltre a non prevedere alcuna agevolazione fiscale per l’impresa sociale, il D. Lgs. 155/2006 non contiene alcuna norma di carattere tributario utile a individuare la natura reddituale in cui inglobare il reddito prodotto dall’impresa stessa.  Il Decreto in parola, in definitiva, si qualifica come norma ‘neutrale’ dal punto di vista fiscale.

Altra criticità della norma del 2006 risiede nel fatto che l’impresa sociale non può beneficiare del Cinque per Mille, non esteso dal legislatore in favore delle imprese sociali. Ciò è parso indice, secondo alcuni, di una certa ‘diffidenza’ del legislatore nei confronti dell’impresa sociale. E, da parte della dottrina, si auspicava quantomeno un potenziamento e una riforma della c.d. ‘finanza etica[8]’,  non potendo, peraltro, l’impresa sociale provvedere alla distribuzione dei profitti.

La riforma dell’impresa sociale è intervenuta in tempi recentissimi insieme al Codice del Terzo settore e in questa parte conclusiva della trattazione verificheremo se le criticità evidenziate abbiano trovato un valido superamento.

3. L’impresa sociale nelle recenti riforme

Nel quadro complessivo di riforma del Terzo Settore a cui abbiamo sommariamente accennato nelle pagine precedenti si inserisce anche la riforma, specifica, dell’Impresa Sociale, che si è posta all’attenzione della più autorevole dottrina[9].

Il d.lgs. 112/2017 ha incisivamente rivisitato la disciplina dell’impresa sociale, già regolamentata dall’abrogato d.lgs. 155/2006, nell’intendimento di promuovere il rilancio di tale modello d’impresa, che forse, come si è accennato, non ha riscosso in Italia il successo meritato.

Non si può  fare a meno di  sottolineare che l’impresa sociale è a tutti gli effetti, come ricordato dall’art. 4, co. 1, del d.lgs. 117/2017 un Ente del Terzo Settore.

Ma vi è da riflettere sul fatto che l’espressione “Impresa sociale” esprima, negli intendimenti del legislatore, una qualifica particolare che, possa attagliarsi, con molta flessibilità, a qualsiasi realtà organizzativa di tipo privato dotata di soggettività giuridica, comprese le società commerciali, a patto che, tuttavia queste: (1) siano prevalentemente istituite per lo svolgimento, secondo un criterio imprenditoriale, di un’attività di impresa di interesse generale; (2) non siano votate a uno scopo di lucro ma a finalità solidaristiche; (3) siano improntate a criteri di gestione responsabili e trasparenti ed infine (4) si impegnino nel coinvolgimento dei lavoratori, degli utenti e, più in generale, dei soggetti a vario titolo coinvolti.

Naturalmente una qualifica espressa di ‘impresa sociale’ spetta, ope legis, alle cooperative sociali e anche ai loro consorzi e – come già nella normazione precedente – è preclusa alle amministrazioni pubbliche, , alle società unipersonali possedute da persone fisiche, alle fondazioni bancarie e, più in generale, a tutte le realtà organizzative che, a livello statutario, dispongano, anche in via indiretta, forme di limitazioni alla erogazione di beni e servizi, destinandoli a favore, unicamente, dei propri soci o associati.

Per quanto concerne il novero delle attività d’impresa di interesse generale, l’art. 2 del d.lgs. 112/2017 ha proposto alcune innovazioni rispetto alle norme in vigore e, in particolare, ha notevolmente allargato il novero delle attività da ricomprendere nell’alveo normativo del concetto: alle materie di assistenza sociale; assistenza sanitaria; educazione, istruzione e formazione; tutela ambientale; valorizzazione del patrimonio culturale; turismo sociale; formazione universitaria e post universitaria; ricerca ed erogazione di servizi culturali; formazione, extra-scolastica; servizi di strumento alle imprese sociali, si aggiungono nuovi settori: ricerca scientifica, attività culturali turistiche o ricreative, housing sociale, commercio equo e solidale, inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro di persone svantaggiate, microcredito, agricoltura sociale, organizzazione e gestione di attività sportive dilettantistiche ed altre.

L’elencazione delle attività classificate come di interesse generale è inoltre suscettibile di aggiornamenti ed integrazioni. Il che sta chiaramente ad indicare la volontà di non procedere a una elencazione rigida e tassativa, ma unicamente esemplificativa e descrittiva e pronta ad adeguarsi a nuove realtà imprenditoriali.

Lo svolgimento di un’attività di impresa di interesse generale, seppur requisito esterno dirimente e qualificante, deve rivestire un ruolo prevalente nell’assetto organizzativo ma non esaurisce le operazioni condotte dall’ente, che può svolgerne anche di differenti. Come ‘quantificare’ questa prevalenza in termini numerici? La novellazione ha mantenuto fermo il criterio finanziario della incidenza percentuale dei ricavi, in virtù del quale i proventi conseguiti allo svolgimento delle attività di impresa interesse generale devono incidere in misura superiore al 70% dei ricavi complessivamente ritratti da parte dell’organismo.

Inoltre, e a prescindere dalla attività in concreto svolta, può fregiarsi della qualifica di impresa sociale un’impresa che impieghi  per almeno il 30% della complessiva forza lavoro persone rientranti nelle categorie di lavoratori svantaggiati o disabili.

Finalmente il legislatore sembra ‘credere’ nelle potenzialità propulsive dell’impresa sociale, anche in forza di agevolazioni fiscali e della possibile, equa remunerazione degli investimenti su di essa dirottati da privati ed Enti.

A livello di risorse ‘interne’ all’ente, il legislatore dispone, all’art. 3, che le imprese sociali organizzate secondo il modulo delle società possano raccogliere, entro certi limiti, capitale di rischio. Vi è, infatti, la possibilità di inserire negli statuti la eventualità di remunerazione per i soci tramite una politica di distribuzione dell’utile per una quota che non potrà superare il limite dell’interesse riconosciuto ai buoni postali fruttiferi, maggiorato di due punti e mezzo percentuali, riferito al capitale sociale sottoscritto ed effettivamente versato.

Inoltre, l’impresa sociale può espressamente destinare una parte degli utili ad aumento gratuito del capitale, consentito annualmente entro il limite dell’adeguamento della sua misura all’inflazione da determinarsi sulla base dell’indice di svalutazione rilevato dall’ISTAT con riferimento al periodo di formazione degli utili impiegati.

Ancora, per tutte le imprese sociali, a prescindere dalla forma societaria, la distribuzione di parte degli eventuali avanzi di gestione realizzati potrà avvenire attraverso erogazioni gratuite, allo scopo di supportare specifici progetti di utilità sociale, a favore di enti appartenenti al terzo settore, diversi da consimili imprese sociali, che non siano, direttamente od anche indirettamente, legati da alcun rapporto partecipativo con l’impresa.

Non sono mancate riforme relative che incidono sulla trasparenza dell’impresa sociale: essa deve tenere le scritture contabili previste dall’art. 2214 e ss. del codice civile (libro giornale e libro degli inventari) in modo da rendere chiara ai terzi la situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa ed il risultato economico dell’esercizio. Ulteriore punto della riforma suscettibile di apprezzamenti è rappresentato sicuramente dall’obbligo generalizzato di redigere e depositare presso il registro delle imprese, con contestuale pubblicazione sul sito internet dell’impresa, il bilancio sociale.

Rispetto alla normativa previgente, merita di essere segnalata la previsione di consistenti agevolazioni fiscali. In particolare, la rivisitata disciplina dispone detrazioni, ai fini IRPEF, e deduzioni, ai fini IRES, correlate agli investimenti effettuati a titolo di conferimento di capitale sociale degli organismi che acquisiranno la qualifica di impresa sociale successivamente alla data di entrata in vigore del decreto 112/2017, e siano costituiti non oltre trentasei mesi dalla medesima data. Più nel dettaglio:

  1. Detrazione IRPEF:

Ai soggetti passivi dell’imposta sui redditi delle persone fisiche è riconosciuta una detrazione d’imposta pari al 30% dell’aumento effettivo di capitale sociale conseguente al loro conferimento, nell’ambito di un limite massimo di un milione di euro per ciascun periodo d’imposta. La detrazione spetta automaticamente ed andrà richiesta nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta nel corso del quale risulterà iscritto nel Registro delle imprese l’atto costitutivo o quello di avvenuto aumento di capitale sociale;

  1. Deduzione IRES:

Per quanto invece concerne i soggetti passivi dell’imposta sulle società, la misura agevolativa concessa a fronte di conferimenti nel capitale sociale consiste in una deduzione dal reddito imponibile di un importo pari al 30% dell’investimento la cui misura, ai fini della presente agevolazione, non potrà oltrepassare la misura di 1.800.000 euro per singolo periodo d’imposta.

Per entrambe le misure agevolative è previsto una durata minima dell’investimento pari a tre anni pena la decadenza del beneficio con conseguenziale recupero dei benefici medio tempore goduti.

Sempre nella direzione di favorire, entro certi limiti, le operazioni di raccolta del capitale di rischio, l’art. 18 del d.lgs. 112/2017 include le imprese sociali tra gli istituti legittimati all’impiego di portali on line al fine della raccolta di capitali tra i risparmiatori (c.d. “crowdfunding”) attraverso offerta pubblica di sottoscrizione degli strumenti finanziari emessi a tale scopo. Prima una simile possibilità era prevista unicamente per le c.d. Startup e per le Imprese Innovative: basti consultare la legge 221 del 2012 per rendersene conto[10].

Quest’ultima novità merita forse di essere approfondita, rappresentando un aspetto che solo di recente si è posto all’attenzione degli Studiosi specialisti del Terzo Settore. Per le organizzazioni del terzo settore, il crowdfunding si profila quale strumento di fundraising di natura complementare  rispetto ai a mezzi tradizionali. Consente, infatti, alle imprese sociali di ricevere finanziamenti per progetti innovativi e di impatto servendosi di piattaforme già presenti sul web e attingendo a piccoli contributi offerti, però, da una vasta platea di sostenitori.

Nel Terzo Settore – anche prima della riforma attuale di estensione all’Impresa Sociale – il crowdfunding, secondo gli studiosi, ha sempre riscosso un certo successo e, soprattutto, si è posto in evidenza per un notevole dinamismo di sviluppo, motivato da ragioni di congiuntura economica non proprio favorevoli: “il dinamismo che ha caratterizzato la storia del crowdfunding in Italia è stato probabilmente facilitato dalla difficoltà di accesso al credito delle imprese, delle organizzazioni del terzo settore e delle persone fisiche, a seguito della crisi finanziaria globale”[11]. Analizziamo in breve anche un altro strumento di sostegno al Terzo Settore e alle imprese sociali: il c.d. Social Lending (previsto testualmente all’art. 78 D.Lgs. 117/2017).

In questo caso gli investitori prestano ad un ETS del denaro che verrà restituito con un interesse secondo modi e tempi inizialmente stabiliti. Il caso italiano di maggior successo riguarda il portale gestito da Banca Prossima denominato Terzo Valore che in pochi anni ha finanziato moltissimi progetti.  Si tratta di una rivoluzione per i tanti Enti che non siano in grado di far fronte ai tassi di interesse usualmente praticati dagli intermediari finanziari. Il legislatore garantisce agevolazioni sugli interessi percepiti da chi presta denaro e prevede una tassazione degli stessi pari a quella relativa agli interessi delle obbligazioni pubbliche.

Anche il sostegno pubblico alle imprese sociali, in Italia, ha recentemente assunto proporzioni finalmente congrue allo sviluppo del settore.  Forte di una dotazione di 223 milioni di euro, ha  infatti preso avvio a novembre 2017 il Fondo Rotativo per i soggetti beneficiari per la concessione di finanziamenti agevolati per la diffusione e il rafforzamento dell’economia sociale promosso dal MISE (Ministero dello Sviluppo Economico).  Si è trattato di un bando attivato tramite procedura a sportello, corredate da delibera preventiva di una delle banche aderenti alla Convenzione ABI, CDP e MISE.

Il Fondo è una nuova, recentissima misura di agevolazione tesa a incrementare la istituzione e lo sviluppo delle imprese operanti nel settore dell’economia sociale, nello specifico:

  • imprese sociali di cui al decreto legislativo n. 112/2017 (ex D.Lgs n. 155/2006) e ss.mm.ii. costituite in forma di società;

  • cooperative sociali;

  • società cooperative aventi qualifica di ONLUS.

L’agevolazione consiste in un finanziamento agevolato teso a realizzare programmi  di investimento tesi alla creazione o allo sviluppo di imprese operanti nell’ambito dell’economia sociale, in qualunque settore e su tutto il territorio nazionale.

Più in particolare, L’agevolazione consiste in:

  • una quota pari al 70% di finanziamento agevolato dello 0,5% (di una durata non superiore a 15 anni, comprensiva di un periodo di pre-ammortamento massimo di 4 anni – a valere sulle risorse del Fondo Rotativo per il sostegno alle imprese e gli investimenti di ricerca (FRI), presso la gestione separata di Cassa Depositi e Prestiti);

  • un quota pari al 30% di cofinanziamento bancario a tasso di mercato da parte di una banca convenzionata con ABI, CDP, MISE;

  • un contributo alle spese a fondo perduto per programmi non superiori a 3 milioni fino a un massimo del 5% dei costi.

Naturalmente le imprese sociali non possono accedere indiscriminatamente alla procedura di bando. Vi sono requisiti di affidabilità e trasparenza, poiché esse devono essere regolarmente costituite e iscritte nel Registro delle imprese e inserite negli elenchi, albi, anagrafi previsti dalla rispettiva normativa di riferimento, devono operare in regime di contabilità ordinaria, ed essere in attività sul territorio nazionale, essendo in regola con ogni normativa su ambiente, edilizia sicurezza e contributi. Altro requisito stringente riguarda la una positiva valutazione del merito di credito da parte della banca finanziatrice e dispongono di una delibera di finanziamento adottata dalla medesima banca finanziatrice per la copertura finanziaria del programma di investimenti proposto.

Per quello che riguarda l’oggetto dei possibili finanziamenti, essi sono i programmi di investimento proposti dalle imprese che operano nell’economia sociale e che prevedano spese ammissibili, al netto di IVA, non inferiori a 200.000,00 euro e non superiori a 10.000.000,00 di euro. I programmi devono perseguire uno o più degli obiettivi previsti all’art. 8, comma 1, del d.m.  14 febbraio 2017, ossia:

  • incremento occupazionale di categorie svantaggiate;

  • inclusione sociale di soggetti vulnerabili;

  • raggiungimento di specifici obiettivi volti alla salvaguardia e valorizzazione dell’ambiente, del territorio e dei beni storico-culturali;

  • conseguimento di ogni altro beneficio derivante da una attività di rilevante interesse pubblico o di utilità sociale in grado di colmare uno specifico fabbisogno all’interno di una comunità o territorio attraverso un aumento della disponibilità o della qualità di beni o servizi.

Inoltre, i programmi ammissibili devono essere:

  • compatibili con le finalità statutarie dell’impresa proponente;

  • ricadere nell’ambito dei settori di attività sociale relativi a ciascuna tipologia di impresa beneficiaria secondo le disposizioni della disciplina sociale vigente;

  • funzionali all’attività di interesse generale esercitata dall’impresa nell’ambito dei settori d’appartenenza.

  • Le spese sostenute nell’ambito dei programmi d’investimento per essere ammissibili devono essere necessarie alle finalità del programma di investimento proposto e relative all’acquisto di beni e servizi rientranti nelle categorie seguenti:

  • suolo aziendale e sue sistemazioni;

  • comprese le ristrutturazioni;

  • programmi informatici commisurati alle esigenze produttive e gestionali dell’impresa; brevetti, licenze e marchi;

  • formazione specialistica dei soci e dei dipendenti dell’impresa beneficiaria, funzionali alla realizzazione del progetto;

  • consulenze specialistiche;

Infine, a dimostrazione del notevole dinamismo del settore, pur in un momento di stasi politica e di incertezza derivante dai risultati delle recenti elezioni politiche nazionali, merita di essere segnalata la recentissima la approvazione, in esame preliminare dal Consiglio dei Ministri del 21 marzo 2018, di uno schema di decreto legislativo che introduce norme integrative e correttive del decreto legislativo sulla revisione della disciplina in materia di impresa sociale. Gli interventi correttivi e integrativi previsti dal decreto riguardano essenzialmente: l’utilizzazione dei lavoratori molto svantaggiati e dei volontari, l’adeguamento degli statuti delle imprese sociali, le misure fiscali e di sostegno economico[12]. In particolare, viene introdotto un limite temporale ai fini del computo della quota di lavoratori molto svantaggiati dipendenti dell’impresa sociale. Inoltre, vengono imposti limiti all’impiego di volontari nelle imprese sociali. L’azione dei volontari deve essere aggiuntiva, non sostitutiva, rispetto a quella dei lavoratori impiegati.

In ambito fiscale, si prevede la non imponibilità delle somme destinate al versamento del contributo per l’attività ispettiva e delle somme destinate a riserva e, nello stesso tempo, l’imponibilità di qualsiasi distribuzione di utili ai soci, anche con riferimento all’aumento gratuito del capitale nei limiti delle variazioni ISTAT. Al fine di creare un allineamento rispetto alla normativa sulle Startup innovative, si precisa che gli investimenti agevolabili devono avvenire dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 112/2017 e che la qualifica di impresa sociale deve essere acquisita da non più di cinque anni[13].

Si può senz’altro affermare che i numeri di crescita – evidenziati anche dagli studi di Banca Etica, attivamente impegnata nel campo anche informativo[14] sulle opportunità di innovazione per le imprese sociali –  siano notevoli. Molte imprese sociali, tuttavia, stando al XI Rapporto dell’Osservatorio Isnet sull’impresa sociale in Italia, sono ancora, sotto il profilo delle opportunità di investimento e di finanziamento, molto indietro. Qui, citando la fonte, se ne possono trarre alcune indicazioni significative[15].

Quasi il 70% delle imprese interpellate non è riuscita a raggiungere i propri obiettivi di innovazione  non solo per mancanza di risorse economiche. I rispondenti hanno ammesso una notevole difficoltà circa il recepimento delle nuove modalità di capitalizzazione.

Molte delle imprese sociali rispondenti (circa il 64,5%) hanno ammesso che gli strumenti nuovi di capitalizzazione previsti dalla Riforma del Terzo Settore (social bond, capitali di rischio, equity crowdfunding e social lending) sono ancora poco noti e poco chiari nel loro funzionamento. Vi sono poi state anche Imprese Sociali che hanno manifestato (ma si tratta di un 8%) qualche perplessità su tali forme di capitalizzazione, poiché ritenute come negativamente incidenti sulla governance dell’impresa. Inoltre, Le imprese sociali si sono dichiarate – citando sempre il Rapporto di cui sopra – alquanto impreparate rispetto a un sistema di analisi del proprio impatto sociale[16].

In base alla Riforma del Terzo Settore ogni impresa sociale dovrebbe progettare un proprio sistema di valutazione, ma solo il 5% delle Imprese intervistate è riuscita ad adeguarsi. Cosa si intenda per impatto sociale, può essere chiarito leggendo un  esplicito riferimento all’art.7 comma 3, Legge 106/2016, nel punto in cui si afferma che “per valutazione dell’impatto sociale si intende la valutazione qualitativa e quantitativa, sul breve, medio e lungo periodo, degli effetti delle attività svolte sulla comunità di riferimento rispetto all’obiettivo individuato”. Non si comprende, tuttavia, se tale valutazione possa considerarsi come elemento obbligatorio, ma tendenzialmente la risposta dovrebbe essere affermativa[17].

Occorre, allora, forse lavorare meglio sull’informazione e sulla formazione alle Imprese, in modo che vi sia una piena capacità di cogliere le opportunità di finanziamento e di innovazione, nonché, come si suol dire tra gli addetti ai lavori, di ‘capitalizzazione responsabile’.

Veniamo, a questo punto, a qualche considerazione conclusiva sulla riforma del Terzo Settore, soprattutto alla luce delle più recenti novità normative. Il cammino di riforma del Terzo Settore, lungo e ‘travagliato’, è ben lungi dall’esser pervenuto a una conclusione. La riforma appare costantemente ‘in progress’, il che non costituisce necessariamente un elemento negativo ma è un indice di ‘vitalità’ della materia.

Il Consiglio dei Ministri dello scorso 21 marzo ha dato il via libera ad ulteriori norme integrative e correttive sia sul Codice del Terzo settore che sul decreto che riguarda l’Impresa sociale. I testi dei provvedimenti sono stati approvati esplicitamente con la clausola salvo intese: ciò vuol dire che andranno esaminati dalle commissioni parlamentari competenti, formate dopo l’insediamento delle nuove Camere, per la pubblicazione dei testi in Gazzetta ufficiale entro agosto.

Per quello che riguarda, nello specifico, il Codice del Terzo Settore, Il decreto apporta alcune modifiche che permettono verosimilmente un migliore coordinamento con la normativa nazionale e regionale e tiene conto, inoltre, delle osservazioni formulate dagli stakeholder di riferimento.

Il provvedimento interviene in vari ambiti della disciplina relativa agli enti del Terzo settore, in materia di: attività di interesse generale esercitabile dai predetti enti; acquisto della personalità giuridica; revisione legale dei conti; organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale; agevolazioni fiscali in favore dei predetti enti.

In particolare, si prevede che, fermo restando il controllo contabile già previsto, l’obbligo di sottoporsi ad attività di revisione legale dei conti sussiste solo per gli enti del Terzo settore di maggiori dimensioni. Si prevede poi che le organizzazioni di volontariato di secondo livello debbano avvalersi in modo prevalente delle attività di volontariato delle persone fisiche associate alle organizzazioni di primo livello che ne compongono la base sociale. Viene aumentato di unità il numero dei componenti del Consiglio nazionale del Terzo settore, in modo da garantire una maggiore rappresentanza degli enti, comprese le reti associative. In materia fiscale, si prevedono integrazioni e correzioni. Più nel dettaglio, per quello che riguarda l’impresa sociale: gli interventi correttivi e integrativi previsti dal decreto riguardano essenzialmente l’utilizzazione dei lavoratori molto svantaggiati e dei volontari, l’adeguamento degli statuti delle imprese sociali e  le misure fiscali e di sostegno economico.

Sono inoltre previsti interventi correttivi sul versante fiscale, tra cui la previsione della non imponibilità delle somme destinate al versamento del contributo per l’attività ispettiva e delle somme destinate a riserva e, al contempo, della imponibilità di qualsiasi distribuzione di utili ai soci, anche qualora ciò avvenga sotto forma di aumento gratuito del capitale nei limiti delle variazioni ISTAT. Si introducono poi modifiche disciplina degli investimenti nel capitale delle imprese sociali.

Inoltre, va sottolineato un altro dato importante, a conclusione di questa ricerca: un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 23 febbraio, ha sancito, per il Terzo Settore, la nascita di una ‘Cabina di Regia’ per il Terzo Settore. Essa sarà presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri e sarà composta dal Ministro del Lavoro, da quello dell’Economia e delle Finanze, dal Presidente della Conferenza delle Regioni, dal Presidente della Associazione Nazionale Comuni Italiani e dal Presidente della Fondazione Italia Sociale.

La Cabina di Regia – ulteriore passo per il perfezionamento della riforma commentata in queste pagine – avrà essenzialmente tre compiti da svolgere:

1) coordinare l’attuazione del Codice del Terzo Settore, per assicurarne la tempestività, la efficacia e la coerenza esprimendo, nel caso, il proprio orientamento rispetto ai decreti e alle linee giuda;

2) promuovere le varie attività possibili di raccordo con le PP.AA. interessate, così come la stipula di accordi, protocolli di intesa e eventuali convenzioni, anche con enti privati, al fine di valorizzare la fattività degli enti del Settore e a sviluppare azioni di sistema;

3) svolgere una attività di monitoraggio globale sullo stato di attuazione delle riforme del Codice del Terzo Settore, preoccupandosi di formulare, periodicamente, proposte correttive di miglioramento.

A febbraio scorso si è, inoltre, insediato un altro organismo: il Consiglio Nazionale del Terzo Settore (di cui all’art. 60, comma 1, C.T.S.). In questo caso l’organismo sarà chiamato a esprimere pareri, sebbene non vincolanti, qualora vengano richiesti, in merito a schemi di atti normativi sul Terzo Settore. Vi sono tuttavia alcuni pareri obbligatori da parte del Consiglio, sebbene pur sempre non vincolanti.

Essi riguardano, in particolare: 1) le linee guida in tema di raccolta fondi, bilancio sociale e valutazione di impatto sociale delle attività svolte dagli Enti del Terzo Settore; 2) definizione di modelli di bilancio degli Enti del Terzo Settore.

Inoltre, recentemente, sono state modificate anche alcune norme sul Servizio Civile Universale.

Ma è chiaro che i profili più rilevanti e forse i più critici, nella pratica, per la crescita del settore sono  innanzitutto una maggiore formazione in merito all’impatto sociale del Terzo Settore, da intendersi, come autorevolmente è stato scritto, come  “tutte le ricadute, dirette ed indirette, di medio e di lungo periodo, che l’agire dell’organizzazione produce sulla società con cui si relaziona”[18] e, soprattutto, una maggiore promozione delle opportunità di finanziamento a disposizione del Terzo Settore, in merito alla quale è positivo il Trend di progetti formativi sostenuti da alcune Banche del Credito Cooperativo romagnole[19].

In ultimo, ma non da ultimo, per voler spiegare il titolo forse provocatorio delle riflessioni qui presentate, il Terzo Settore deve cogliere con opportunismo le potenzialità offerte dalle ‘vetrine’ immense dei Social Networks. A seguito di una analisi condotta su 253 campagne di crowdfunding lanciate da imprese sociali su piattaforme italiane si è pervenuti a risultati interessanti, che aprono una via maestra per il futuro del settore: “i risultati dimostrano come la presenza dell’impresa sociale sui social network (in particolare Twitter), la scelta di una specifica piattaforma di tipo reward-based e la gestione attiva della campagna abbiano un impatto rilevante sull’effettivo raggiungimento dell’obiettivo di finanziamento”[20].


[1] Così, testualmente, A. Fici,  Recognition and legal Forms of Social Enterprise in Europe: A Critical Analysis from a Comparative Law Perspective. Euricse Working Papers, 82|15, 2015.

[2] Si pensi, per la Gran Bretagna, a quanto può leggersi in Departement of Trade and Industry (DTI), Social Enterprise. A strategy for Success, London,  www.dti.gov.uk/socialenterprise/strategy.htm.  Negli Stati Uniti, nel 2008, è stata introdotta la Low Profit Limited Liability Company. In Francia appare assimilabile all’Impresa Sociale la c.d. Società Cooperativa di Interesse Collettivo (SCIC). In argomento, ampiamente, cfr. lo studio di R. Randazzo, L’impresa sociale nella prospettiva europea, in Enti non profit n. 12/2009 pp.31 ss.

[3] http://ec.europa.eu/growth/sectors/social-economy/enterprises_it.

[4] http://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52012AE1292&from=EN. Si tratta, in particolare, per il 2011, della c.d. Social Business Initiative.

[5] Ibidem: In relazione al miglioramento delle possibilità di accesso ai finanziamenti, si condivide la valutazione della Commissione europea circa la necessità di finanziamento delle imprese sociali. Questo perché si osserva, sia tra gli istituti di credito sia tra i gestori di misure di sostegno al credito attuate dalle istituzioni pubbliche, una carenza di strumenti appropriati per la valutazione del merito creditizio delle imprese sociali. Infatti in molti casi si riscontra una scarsa propensione a riconoscere il valore “aziendale” e la solidità economica delle imprese sociali.

[6] A. Santuari, L’impresa sociale: un concetto giuridico? (sulla riforma del libro i del codice civile in materia di enti non profit), in Rivista Il Diritto delle Famiglie e delle Persone, 2000, pag. 897.

[7] Art. 1, comma 1, Legge delega citata.

[8] V. Zapponini, All‘impresa sociale serve una banca per il sociale, in Terzo settore, n. 6/2006, p. 9.

[9] Mi riferisco, in particolare, al volume Aa.Vv., La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale, a cura di A. Fici, Napoli, 2018.

[10] Altre interessanti notizie possono leggersi in Aa.Vv., Modelli e strumenti di finanziamento dell’Impresa Sociale, in http://irisnetwork.it/wp-content/uploads/2015/06/colloquio15-daleo-lobue-vesperi-morabito.pdf.

[11] Aa.Vv., I segreti del successo delle campagne di crowdfunding delle imprese sociali italiane, in www.rivistaimpresasociale.it/archivio/item/134-crowdfunding-imprese-sociali.html. Il numero citato è del 2015, numero 6.

[12] www.governo.it/articolo/comunicato-stampa-del-consiglio-dei-ministri-n-75/9132.

[13] La documentazione è stata consultata all’indirizzo http://www.nonprofitonline.it/detail.asp?c=1&p=0&id=4401.

[14] https://www.bancaetica.it/blog/imprese-sociali-crescita-ma-bisogna-sfruttare-meglio-le-opportunita.

[15] http://www.impresasociale.net/osservatorio.php

[16] Il tema è ampio e sarebbe meritevole di un approfondimento, qui naturalmente soltanto suggerito: un primo invito alla valutazione dell’impatto sociale delle imprese sociali può essere fatto risalire alla comunicazione della Commissione Europea del 25 novembre 2011 (Social Business Initiative. Creating a favourable climate for social enterprises, key stakeholders in the social economy and innovation).

[17] Altre interessanti indicazioni sul tema in A. Depedri, La valutazione dell’impatto sociale nel terzo settore, in www.euricse.eu/wp-content/uploads/2016/09/Position-Paper_Impatto_FINAL.pdf.

[18] S. Depedri, La valutazione, cit.

[19] www.forlitoday.it/economia/crowdfunding-dalla-bcc-un-aiuto-concreto-alle-realta-del-terzo-settore.html.

[20]Così, testualmente, riprendo da Aa.Vv., I segreti del successo, cit., dall’indirizzo www.rivistaimpresasociale.it/rivista/item/134-crowdfunding-imprese-sociali.html


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Annalisa Triggiano

Lawyer, Researcher in European and Comparative Law Area, Security Policies

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