Dalla nullità alle nullità del contratto

Dalla nullità alle nullità del contratto

Sommario: 1. La nullità del contratto: inquadramento e profili generali – 2. Nullità e annullabilità: elementi comuni e profili differenziali – 3. Evoluzione della categoria della nullità: dalla nullità alle nullità del contratto – 4. Recenti approdi giurisprudenziali: le nullità selettive – 5. Nullità derivate e nullità successive o sopravvenute – 6. Conclusioni

di Renata Maddaluna[1]

1. La nullità del contratto: inquadramento e profili generali

Nell’ambito della patologia negoziale e della moderna categoria di invalidità[2], la nullità è il vizio più grave che può investire il contratto, trattandosi di un vizio strutturale, genetico o funzionale dello stesso, diversamente dall’annullabilità che può essere prodotta da incapacità di una delle parti o da vizi del consenso.

Come l’annullabilità, anche la nullità riguarda il contratto come atto, così distinguendosi dalla risoluzione che è, invece, rimedio che, più che incidere sulla validità, investe l’efficacia del contratto, inteso, peraltro, come rapporto.

Secondo una certa impostazione, la nullità esprime una valutazione negativa del contratto da parte dell’ordinamento o a causa di una sua deficienza strutturale, quale mancanza di uno dei suoi elementi essenziali, o a causa della sua dannosità sociale, per illiceità della sua causa o dei suoi motivi. Secondo i fautori della teoria della qualificazione negativa, che trova seguito anche nella giurisprudenza di legittimità, il negozio nullo non è un “quid facti” né una vuota apparenza. La nullità va intesa come forza negativa che si oppone alla forza positiva rappresentata dalla rilevanza del negozio sul piano sociale, non permettendo allo stesso di produrre effetti dal punto di vista giuridico.

2. Nullità e annullabilità: elementi comuni e profili differenziali

Se tradizionalmente nullità e annullabilità sono state distinte sul piano quantitativo, relativo alla maggiore o minore gravità del vizio[3], nelle più recenti ricostruzioni, invece, esse vengono distinte sul piano qualitativo, relativo al fine che con questi istituti il legislatore si prefigge di raggiungere.

In tal senso, mentre con la categoria dell’annullabilità il legislatore intende tutelare un interesse particolare, attinente cioè ad una delle parti del contratto, la nullità è, invece, categoria posta a tutela di un interesse generale dell’ordinamento. La nullità è stata, così, ritenuta la sanzione più grave relativa alla violazione di norme imperative di validità. In questo modo si spiegano le regole codicistiche in tema di legittimazione allargata a far valere il vizio da parte di chiunque vi abbia interesse (art. 1421 c.c.), il potere di rilievo ufficioso della nullità del contratto da parte del giudice (art. 1421 c.c. e 112 c.p.c.), l’imprescrittibilità della relativa azione (art. 1422 c.c.) e la regola dell’inammissibilità della convalida del contratto nullo, salvo diversa previsione di legge[4].

Tutte queste caratteristiche valgono a distinguere la nullità rispetto all’annullabilità del contratto la cui azione, invece, si prescrive (art. 1422 c.c.), e può essere fatta valere solo dalla parte nel cui interesse è stabilita dalla legge (art. 1441, 1 comma c.c.)[5].

Pertanto, mentre la nullità è posta a tutela di un interesse generale che soverchia quello delle parti, l’annullabilità è, per converso, posta a tutela di un interesse particolare.

La ratio di tutela di un interesse generale propria della nullità ne spiega l’accresciuto ruolo nell’attuale ordinamento giuridico in cui si assiste ad una espansione e moltiplicazione delle ipotesi di nullità, specie di protezione, ad onta del carattere tipico di tale forma d’invalidità. Come rilevato dalla giurisprudenza di legittimità[6], tale ratio è ciò che accomuna le diverse forme di nullità: essa è certamente presente nelle nullità virtuali, per contrarietà del contratto a norme imperative, ma può cogliersi anche nelle nullità strutturali con cui il legislatore persegue l’obiettivo di evitare che l’autonomia negoziale si ponga in contrasto con i principi e le norme dell’ordinamento. La stessa ratio non è meno manifesta nelle nullità di protezione o speciali che si situano al confine tra nullità e annullabilità mostrando, per certi versi, maggiore affinità con quest’ultima.

Nello stesso ordine di idee si colloca, altresì, il rilievo ufficioso della nullità del contratto da parte del giudice (art. 1421 c.c.). Come evidenziato anche dalla più recente giurisprudenza di legittimità, la funzione di tale potere è quella di evitare che un contratto nullo costituisca il presupposto di una pronuncia giudiziale che ne postuli la validità o l’efficacia (Cass., Sez. III, 23 giugno 2016 n. 12996)[7].

Di conseguenza, ogniqualvolta le parti in giudizio facciano valere una domanda che presuppone la validità del contratto (adempimento, rescissione, risoluzione, annullamento), il giudice, qualora emerga dagli atti di causa, deve rilevare d’ufficio la nullità del contratto, sottoponendo la questione al contraddittorio delle parti. In tutti questi casi, infatti, le varie azioni summenzionate, pur nelle irriducibili differenze strutturali, sono caratterizzate da un’omogeneità funzionale, nel senso che, rispetto ad esse, la non nullità del contratto si pone come questione pregiudiziale in senso logico[8]. Questa soluzione interpretativa, inoltre è fondata su una logica di economia processuale.

Per questo motivo, ad onta del tenore letterale della norma[9], si tratta di un potere-dovere che, però, va coordinato con i principi processuali (artt. 99 e 112 c.p.c.)[10]. Affermato, infatti, il dovere giudiziale di rilevare d’ufficio la nullità di qualsivoglia tipologia, la Suprema Corte individua, tuttavia, un limite di ordine processuale all’esercizio di tale potere, cioè quello della “ragione più liquida”.

In conclusione, il ruolo assorbente della nullità quale sanzione che l’ordinamento esprime per il disvalore dell’assetto negoziale e la maggiore facilità nel suo accertamento impone al giudice il rilievo ufficioso e ciò anche a fronte di domande come quella di risoluzione, rescissione ed annullamento rispetto alle quali le parti ben potrebbero conservare il contratto attraverso un’offerta volta a ricondurre ad equità lo stesso (artt. 1450 e 1467, 3 comma c.c.) oppure convalidarlo (art. 1444 c.c.).

La giurisprudenza più recente fa leva, dunque, sul carattere grandangolare della nullità che va stigmatizzata in tutti i modi: l’obiettivo è che il contratto nullo non esca immune da censure e il meccanismo processuale del rilievo ufficioso della nullità tende proprio a ciò. In questo senso il potere -dovere di rilievo ufficioso della nullità del contratto si pone quale imprescindibile garanzia di effettività della tutela di valori fondamentali dell’ordinamento[11].

3. Evoluzione della categoria della nullità: dalla nullità alle nullità del contratto

Secondo la giurisprudenza di legittimità[12], la tutela di un interesse generale dell’ordinamento da parte della categoria della nullità è ciò che vale, comunque, a renderla una categoria unitaria. In tal senso, le nullità di protezione, pur presentando delle indubbie peculiarità, non avrebbero fatto implodere lo statuto della nullità che è e resta uno statuto unitario[13].

Non può, tuttavia, tacersi che all’interno della generale categoria della nullità è possibile rintracciare molteplici distinzioni.

In disparte la dicotomia, tutta codicistica, tra nullità virtuali (art. 1418, 1 comma c.c.) e nullità strutturali (art. 1418, 2 comma c.c.), negli ultimi tempi si sono moltiplicate le ipotesi di nullità a tutela di una parte debole del rapporto contrattuale. Tali nuove forme di nullità, peraltro, divergono significativamente dalla disciplina generale in materia di nullità.

Il riferimento è, in particolare, alle nullità di protezione o speciali[14] le quali si situano al confine tra nullità è annullabilità[15]. Con quest’ultima, in particolare, condividono la legittimazione ristretta, riservata, cioè, solo alla parte nel cui interesse sono state previste dalla legge. Si tratta, pertanto, di nullità relative, anche definite dalla giurisprudenza come “ancipiti” perché in esse convive, accanto alla tutela dell’interesse della parte più debole del rapporto, anche la tutela di un interesse generale, coincidente con l’uguaglianza delle parti (art. 3 Cost.) o con la libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.)[16]. La nullità di protezione è, nel contempo, strumento di governo degli scambi e mezzo di tutela degli interessi di una delle parti del contratto rispetto a situazioni di “irrazionalità” [17].

Secondo la più recente giurisprudenza di legittimità, peraltro, sono ammissibili anche nullità relative atipiche[18]. Pertanto, è possibile ravvisare le nullità relative non solo se il legislatore le prevede espressamente ma anche in via interpretativa. In conseguenza di ciò, quando il legislatore non chiarisce se la nullità sia assoluta o relativa, l’interprete dovrà indagare la ragione del vizio. In altri termini, nullità di protezione possono non essere testuali e discendere anche dall’interpretazione del giudice[19].

Gli interpreti hanno, altresì, ammesso che anche le nullità speciali possono essere rilevate d’ufficio dal giudice[20]

4. Recenti approdi giurisprudenziali: le nullità selettive

Più di recente, peraltro, la stessa giurisprudenza ha riconosciuto che le nullità di protezione possono essere anche selettive e cioè che il contraente nel cui vantaggio le stesse sono poste sia legittimato a selezionare quella parte del contratto che intende caducare[21]. Si tratta di una sentenza rivoluzionaria perché stabilisce che la nullità del contratto non comporta necessariamente la nullità dell’intero rapporto, potendo il cliente avere piuttosto interesse a formulare un’eccezione di nullità “selettiva”, mirata a salvaguardare alcuni effetti prodotti dall’ esecuzione del contratto dichiarato nullo e a fare caducare altri che si sono rivelati svantaggiosi.

La nullità selettiva può, così, essere vista come una sorta di convalida del contratto nullo[22] facendo così entrare nel tema della nullità la convalida, sebbene per regola generale il contratto nullo non può essere convalidato.

5. Nullità derivate e nullità successive o sopravvenute

Alla luce delle suesposte considerazioni, la dottrina, negli ultimi tempi, ha cominciato a porre in discussione l’asserita unitarietà della categoria della nullità del contratto, rivisitandone le tradizionali considerazioni. Quanto detto sembra trovare conferma con riguardo alle nullità derivate e alle nullità successive o sopravvenute.

La nullità può definirsi derivata quando tale forma di vizio si propaga da un contratto nullo ad un altro, in sé valido ma avvinto al primo da un collegamento negoziale, da un rapporto di accessorietà o di influenza reciproca. Il problema delle nullità derivate riguarda normalmente la possibilità di propagazione della sanzione di nullità che colpisce un contratto a monte nei confronti di un contratto a valle[23]. In queste ipotesi, rette dal principio del “simul stabunt simul cadent“, si preferisce affermare un riverbero della nullità cosiddetta derivata anche sul contratto collegato, invece che predicarne un’autonoma invalidità per assenza di causa (esterna).

Nella prassi questa figura è stata richiamata per stigmatizzare i contratti conclusi dai consumatori a valle di intese restrittive della concorrenza nulle ex art. 2 l. 287/1990: infatti, secondo una certa interpretazione, l’invalidità dell’intesa determinerebbe la nullità derivata relativa del contratto consumeristico individuale. In realtà, però, l’opzione prevalente sconfessa ogni forma di invalidità derivata per mancanza della co – volontà all’instaurazione di un fenomeno di collegamento, residuando al consumatore il solo rimedio risarcitorio esteso dall’art. 1, 2 comma  del d.lgs. 3/2017 al danno emergente e al lucro cessante effettivamente patiti per effetto del carattere anticoncorrenziale dell’intesa.

Dalla nullità derivata si distingue la nullità successiva o sopravvenuta[24]. Quest’ultima, pure derogatoria dei principi generali in materia di nullità, non influisce sulla validità ma sull’efficacia del contratto. Quando si parla di nullità sopravvenuta ci si riferisce ad ipotesi molto specifiche e a leggi irretroattive che dispongono cioè solo per l’avvenire. Inoltre, le nullità sopravvenute riguardano solitamente i contratti di durata o ad esecuzione differita. Il problema non si pone, infatti, quando il contratto ha già avuto piena esecuzione ed ha, quindi, esaurito i suoi effetti prima dell’entrata in vigore della nuova norma.

Come per le nullità derivate, anche di questa categoria non sussiste una disciplina generale nel codice, quindi è compito dell’interprete cercare di capire se la figura sia o meno ammissibile per poi comprenderne la disciplina.          Nel corso del tempo il problema della nullità sopravvenuta si è posto specialmente con riguardo all’art. 2 della legge 287/1990 che per la prima volta ha introdotto la nullità delle intese restrittive della concorrenza e all’art. 1938 c.c. in tema di fideiussione omnibus per crediti futuri.

6. Conclusioni

La nullità del contratto è, ormai, categoria ibrida e dallo statuto incerto e non più unitario, come in passato. Il fenomeno delle nullità derivate e delle nullità sopravvenute dimostra l’eterogeneità della categoria della nullità che migra verso una tendenza alla frantumazione. Pertanto, se gli interpreti cercano di contenere la nullità entro una categoria unitaria, non si può non rilevare come sia in atto una tendenza al passaggio dal concetto di nullità del contratto, intesa come categoria unitaria e dallo statuto omogeneo, alle nullità del contratto, ciascuna caratterizzata da proprie peculiarità in punto di disciplina.


[1] Dottoressa in giurisprudenza con lode presso l’Università degli studi di Napoli Federico II con una tesi di laurea in storia del diritto romano dal titolo: “La constitutio Antoniniana“.

[2] La validità e l’efficacia sono categorie moderne; esse erano, infatti, sconosciute al diritto romano in cui si discorreva di negozio utile o inutile per le parti. Nell’attuale ordinamento l’invalidità può ritenersi collegata all’inefficacia in senso lato, quale modo di essere di contratti diversi, tutti accumunati dalla mancata produzione degli effetti o dalla loro possibile rimozione. La nozione di invalidità non coincide, tuttavia, necessariamente con l’inefficacia in senso stretto, alludendo ad una irregolarità giuridica del contratto.  Tra le forme di invalidità sono generalmente ricomprese la nullità e l’annullabilità. Non da tutti condiviso è, invece, l’inquadramento tra le stesse della categoria della rescissione.

[3] Alla distinzione tra nullità e annullabilità si è pervenuti solo con il codice del ’42. Da un punto di vista storico, infatti, Il codice civile del 1865, difatti, non disciplinava espressamente la fattispecie dell’annullabilità e trattava unitariamente quelle della nullità e della rescissione (artt. 1300 e 1311), accomunate da una medesima dimensione morfologica (quella della patologia genetica dell’atto), e funzionale (le relative azioni “duravano 5 anni”, ferma la imprescrittibilità delle relative eccezioni). Il regime dettato per la nullità era, nei fatti, non dissimile da quello oggi vigente per l’annullabilità, tanto che le cause di nullità contrattuale si estendevano dalla carenza dei requisiti formali all’errore, alla violenza e al dolo incidenti (art. 1111 c.c.1865). Il novum del codice del ’42, ossia la ponderata discriminazione tra le due forme d’invalidità, venne tendenzialmente riportato, nelle riflessioni consolidate della dottrina dell’epoca, al piano “quantitativo” della maggiore o minore gravità del vizio: la nullità rappresentava l’esito di un giudizio di radicale disvalore dell’ordinamento, sanzionando un contratto che, per ragioni strutturali, non era meritevole di tutela, come tale inidoneo a produrre gli effetti voluti dalle parti, anche se non mancò chi, ebbe a discorrere, assai autorevolmente, addirittura di un fenomeno di inqualificazione giuridica, anzichè di semplice qualificazione negativa dell’atto da parte dell’ordinamento. Sul tema della nullità del contratto si leggano, in particolare, V. ROPPO,Il Contratto in Trattato di diritto privato a cura di Giovanni Iudica e Paolo Zatti, II Edizione, Giuffré, Napoli, 2011, pp. 693 ss.;  F. GAZZONI, Manuale di diritto privato, XVII Edizione, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, pp. 994 ss.; F. CARINGELLA, Manuale di diritto civile, VI Edizione, 2016, pp. 984 ss.

[4] Nella mens legis, pur essendo i due rimedi accumunati dalla caratteristica di incidere sull’atto in sé (e non sul rapporto), nullità e annullabilità rappresentano due vizi diametralmente opposti: il contratto annullabile, a differenza di quello nullo, può produrre effetti precari i quali possono essere caducati dall’interessato; di conseguenza, il contratto annullabile può essere convalidato, producendo così effetti inattaccabili; l’azione per far valere l’annullamento è relativa (salvo le ipotesi di annullabilità assoluta) e si prescrive. Anche sul versante processuale si riscontrano significative differenze: mentre la sentenza di annullamento ha natura costitutiva, la sentenza dichiarativa della nullità è una sentenza di accertamento. Inoltre, la sentenza di annullamento ha efficacia inter partes, la sentenza di nullità, invece, erga omnes.

[5] Il contratto annullabile, inoltre, può essere convalidato dal contraente cui spetta l’azione di annullamento.

[6] Cass., Sez. Un. 12 dicembre 2014 n. 26242 e 26243.

[7] Si legge in Cass. Sez. III, 23 giugno 2016 n. 12996: “come affermato dalle Sezioni Unite civili di questa Corte , il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito (sempreché la pretesa azionata, o l’impugnazione, non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”: il che, nella specie, non è), in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale (adempimento, risoluzione per qualsiasi motivo, annullamento, rescissione), senza, per ciò solo, potersi negare la diversità strutturale di queste ultime sul piano sostanziale, poiché tali azioni sono disciplinate da un complesso normativo autonomo ed omogeneo, del tutto incompatibile, strutturalmente e funzionalmente, con la diversa dimensione della nullità contrattuale. Il principio della rilevabilità officiosa della nullità si fonda, infatti, sulla ratio di impedire che il contratto nullo – alla luce del “ruolo che l’ordinamento affida alla nullità contrattuale, per esprimere il disvalore di un assetto di interessi negoziale” (così Cass., sez. un., 4 settembre 2012, n. 14828, sul punto richiamata adesivamente dalle sentenze del 2014 sopra citate) – “costituisca il presupposto di una decisione giurisdizionale che in qualche modo ne postuli la validità o, comunque, la provvisoria attitudine a produrre effetti giuridici”. Di qui, pertanto, la possibilità di predicare una soluzione unitaria in punto di rilevabilità officiosa della nullità contrattuale“.

[8] Cass., Sez. III, 23 giugno 2016 n. 12996.

[9] Nell’art. 1421 c.c. infatti si legge che “salvo diversa disposizione di legge la nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice“.

[10] Ne consegue, per l’appunto, l’obbligatorietà della “rilevazione” officiosa delle nullità negoziali, la quale è da intendersi come indicazione alle parti di tale vizio; la loro “dichiarazione”, invece, ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa (salvo per le nullità speciali, che presuppongono una manifestazione di interesse della parte) del medesimo vizio, previo suo accertamento, nella motivazione e/o nel dispositivo della pronuncia, con efficacia, peraltro, di giudicato in assenza di sua impugnazione (Cass. Sez. III, 23 giugno 2016 n. 12996).

[11] Cass., Sez. Un. 12 dicembre 2014 n. 26242: “La riconduzione ad unità funzionale delle diverse fattispecie di nullità – lungi dal risultare uno sterile esercizio teorico – consente di riaffermare a più forte ragione l’esigenza di conferire al rilievo d’ufficio obbligatorio il carattere della irrinunciabile garanzia della effettività della tutela di valori fondamentali dell’organizzazione sociale“.

[12] Cass., Sez. Un. 12 dicembre 2014 n. 26242.

[13] Cass., Sez. Un. 12 dicembre 2014 n. 26242: “Le nullità speciali, pertanto, non hanno “fatto implodere il sistema originario delineato dal legislatore del 1942”. Se è vero che i fenomeni economico-sociali non si lasciano imprigionare in schematismi troppo rigidi, è altrettanto vero che una equilibrata soluzione che ricostruisca le diverse vicende di nullità negoziale in termini e in rapporti di genus a species appare del tutto predicabile ancor oggi, così come solidamente confortata dalla stessa giurisprudenza comunitaria“.

[14] Le nullità di protezione si definiscono anche speciali per tre ordine di motivi: innanzitutto,  le fonti da cui derivano, perlopiù, contenute nella legislazione speciale; poi per i fattori da cui dipende la qualificazione del contratto come nullo, i quali non sono interni o intrinseci rispetto al contratto, ma estrinseci; infine per il trattamento riservato al contratto nullo, essendo la relativa disciplina contraddistinta da significative divergenze rispetto all’ordinario regime della nullità.

[15] Si consideri, a titolo esemplificativo, l’art. 36 del d.lgs. 206/2005 (cd. codice del consumo).

[16] Cass., Sez. Un. 12 dicembre 2014 n. 26242: “parte della dottrina osserva criticamente che le recenti fattispecie di nullità negoziale mutano la vocazione generale di tale categoria, offrendo protezione a interessi particolari e seriali, facenti capo a soggetti singoli e/o gruppi specifici. Ma è stato incisivamente fatto notare, in senso opposto, che queste nullità cd. di protezione sono anch’esse volte a tutelare interessi generali, quali il complessivo equilibrio contrattuale (in un’ottica di microanalisi economica), ovvero le stesse regole di mercato ritenute corrette (in ottica di macroanalisi), secondo quanto chiaramente mostrato dalla disciplina delle nullità emergenti dalla disciplina consumeristica, specie di derivazione comunitaria, per le quali si discorre sempre più spesso, e non a torto, di “ordine pubblico di protezione”.

[17] Cosi Cass. ordinanza n. 10447/2017. Nullità di protezione sono spesso previste dalla legislazione speciale. Si pensi, a titolo esemplificativo, all’art. 23 d.lgs. 58/1998 in materia di contratti finanziari e all’art. 6 della legge 192/1998 sulla subfornitura.

[18] Cass., Sez. Un., n. 18214/2015.

[19] Cass., Sez. Un., n. 18214/2015: “Tra le molte teorie elaborate sulla complessa tematica della forma negoziale, va posto l’accento su quelle che ne valorizzano il contenuto, privilegiando il valore funzionale alla forma, da valutarsi in concreto, in relazione alla ratio espressa dallo specifico “tipo” contrattuale. Di qui, l’impredicabilità di una automatica applicazione della disciplina della nullità in mancanza della forma prevista dalla legge ad substantiam, essendo piuttosto necessario procedere ad un’interpretazione assiologicamente orientata, nel rispetto dei valori fondamentali del sistema. Così, il carattere eccezionale o meno della norma sulla forma, ovvero il suo carattere derogabile o inderogabile, non potrà essere definito in astratto e in via generale, ma dovrà risultare da un procedimento interpretativo che dipende dalla collocazione che la norma riceve nel sistema, dalla ratio che esprime, dal valore che per l’ordinamento rappresenta“.

[20] Cass., Sez. Un. 12 dicembre 2014 n. 26242: “la rilevabilità officiosa, pertanto, sembra costituire il proprium anche delle nullità speciali, incluse quelle denominate “di protezione virtuale”. Il potere del giudice di rilevarle tout court appare essenziale al perseguimento di interessi pur sempre generali sottesi alla tutela di una data classe di contraenti (consumatori, risparmiatori, investitori), interessi che possono addirittura coincidere con valori costituzionalmente rilevanti – quali il corretto funzionamento del mercato, ex art. 41 Cost., e l’uguaglianza non solo formale tra contraenti in posizione asimmetrica -, con l’unico limite di riservare il rilievo officioso delle nullità di protezione al solo interesse del contraente debole, ovvero del soggetto legittimato a proporre l’azione di nullità, in tal modo evitando che la controparte possa, se vi abbia interesse, sollecitare i poteri officiosi del giudice per un interesse suo proprio, destinato a rimanere fuori dall’orbita della tutela“. In tal senso anche  Cass., ordinanza n. 10447/2017 secondo cui: “la nullità di protezione può essere fatta valere solo dal cliente, oltre che rilevata d’ufficio dal giudice, sempre nell’esclusivo interesse e a vantaggio del primo”.

[21] Cass. Sez. I n. 8395/2016.

[22] Cass.  ordinanza n. 10447/2017: “la nullità di protezione palesa caratteri affatto speciali – sopra tutte, appunto, la facoltà di farla valere solo da parte del contraente a cui favore è dettata, con l’eventualità, quindi, di una sanatoria “di fatto” del negozio“. Nel medesimo senso, peraltro, già la Corte di giustizia dell’Unione Europea, sent. 4 giugno 2009, C – 243/08, Pannon, punti 31 e 32 nonché Corte di giustizia dell’Unione Europea, 14 giugno 2012, C-618/10, Banco Espanol de Crédito SA, punti 42 e 43.

[23] Il tema è insomma quello dell’invalidità derivata che attiene al fenomeno della cosiddetta propagazione dei vizi e dell’incidenza degli stessi sull’atto terminale. In diritto amministrativo il tema è molto più studiato perché la connessione di atti susseguenti è la fisiologia (procedimento amministrativo), distinguendosi l’invalidità derivata ad efficacia viziante dall’invalidità ad efficacia caducante.

[24] Per un inquadramento generale si legga F. CARINGELLA, Manuale di diritto civile, VI Edizione, 2016, pp. 998 ss.


Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.
Dottoressa in giurisprudenza con lode presso l'università degli studi di Napoli Federico II con tesi di laurea in storia del diritto romano dal titolo: "La Constitutio Antoniniana". Ha svolto con esito incondizionatamente positivo il tirocinio ex art. 73 d.l. 69/2013 presso gli Uffici Giudiziari di Napoli ed è iscritta al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Napoli come praticante, svolgendo la pratica forense principalmente nel settore del diritto civile. Attualmente svolge uno stage all'interno della Segreteria Tecnica dell'Arbitro Bancario e Finanziario - Collegio Territoriale di Napoli.

Articoli inerenti