Dall’accesso agli atti all’accesso civico generalizzato. L’evoluzione del principio di trasparenza amministrativa

Dall’accesso agli atti all’accesso civico generalizzato. L’evoluzione del principio di trasparenza amministrativa

La Legge 241/90 è stato il primo atto normativo che ha realizzato l’inizio di un percorso verso una pubblica amministrazione sempre più trasparente nei suoi rapporti con il cittadino. In passato infatti l’agere della P.A. è sempre stato caratterizzato dai  principi  inversi ovvero quello della segretezza, che trovava fondamento nella formulazione originaria del D.P.R n° 3 del 1957 nella parte in cui si ricordava che l’impiegato pubblico doveva mantenere il segreto d’ufficio[1], e quello della supremazia frutto di una P.A. non totalmente servente  ma  egemonica rispetto al privato . Con l’avvento della Costituzione Repubblicana cambia finalmente la visione di questo rapporto ponendo Stato e cittadino su uno stesso piano e sognando delle istituzioni totalmente al servizio della persona per la tutela di quei diritti fondamentali di cui egli è portatore in quanto uomo. Solo però negli anni 90, come detto sopra, si incomincia a parlare di trasparenza  amministrativa al fine di passare da una amministrazione  difficilmente decifrabile , enigmatica e segreta ad  una  permeabile e conoscibile soprattutto attraverso i suoi atti[2].

Il principio di trasparenza, esplicitato nel tempo da vari istituti, rende direttamente più vivi  gli articoli 21 e 97 della Costituzione nelle parti in cui riconoscono rispettivamente  il diritto di informazione e  il principio di buon andamento e imparzialità della P.A.. Il fondamento costituzionale del diritto alla  trasparenza non  trova però fondamento solo in questi due articoli ma indirettamente anche negli articoli 24 e 113 nelle parti in cui si ricorda che è sempre ammessa  la tutela giurisdizionale dei diritti soggettivi e interessi legittimi lesi dagli atti della P.A.

E’ proprio tramite la comprensione e conoscenza degli atti che è possibile conoscere l’iter logico ovvero l’operato dell’amministrazione incisivo di situazioni giuridiche evitando così impugnazioni c.d al buio.

Il primo istituto giuridico a sostegno di una amministrazione sempre più casa di vetro, è stato quello dell’accesso agli atti e documenti amministrativi di cui all’art 22 della Legge 241/90. Lo strumento permette, in quanto si ritiene ancora oggi in vigore, di prendere visione o estrarre copia dei documenti detenuti dalla P.A. Il legislatore, nel rispetto dell’ottica di generalità e astrattezza, non ha indicato specificatamente quali documenti fossero accessibili ma ha preferito delineare una definizione generale di documento descrivendolo come qualsiasi rappresentazione, grafica, fotografica, cinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie, del contenuto di atti, anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni, o, comunque, da queste ultime utilizzati ai fini dell’attività amministrativa quale attività di perseguimento del pubblico interesse indipendentemente dal fatto che abbia valore pubblicistico o privatistico[3]. La genericità della definizione permette quindi di rendere accessibile tutti gli atti e documenti, anche se non in forma cartacea, detenuti dai pubblici uffici e quindi tanto atti endo-procedimentali e tanto atti eso-procedimentali, anche relativi ad altri procedimenti amministrativi[4].  Il privato non avrà l’onere di indicare precisamente l’eventuale numero di protocollo dell’atto oggetto della richiesta di accesso essendo sufficiente che indichi gli estremi o elementi che ne individuano il contenuto[5]. Esso infatti non può essere in grado di conoscere elementi specifici relativi alla classificazione e procedure di archiviazione[6]. Una cosa sono il luogo e le modalità di conservazione dei documenti, che possono  incidere sull’accesso in senso materiale, un’altra cosa è l’obbligo di detenerli stabilmente ai fini di permetterne la conoscenza al cittadino, e, quindi, l’accesso in senso giuridico, inteso come diritto all’esibizione e al rilascio di copia, che vede come soggetto passivo del rapporto solo l’amministrazione che per legge li deve detenere. Ciò che viene in rilievo, in altri termini, non è l’archivio inteso come luogo o contenente, ma l’archivio inteso come contenuto, ossia l’insieme dei documenti del quale risponde, nei riguardi del cittadino, solo l’amministrazione che ha l’obbligo di conservazione, la quale non può opporre alla conoscenza da parte dell’interessato una difficoltà materiale di reperimento, imputabile alla sua attività organizzativa[7].

In dottrina e in giurisprudenza si è sempre  molto dibattuto in ordine alla qualificazione giuridica del diritto di accesso ovvero se dovesse essere ricondotto nell’alveo dei diritti soggettivi o interessi legittimi. Dal punto di vista giurisprudenziale[8] si è parlato, in un primo momento, di interesse legittimo anche alla luce della sua giustiziabilità innanzi al giudice amministrativo  in caso di diniego della richiesta. Nel 2006[9] il vertice della giustizia amministrativa ha però mutato orientamento consacrando lo stesso a un vero e proprio diritto soggettivo  partendo dalla considerazione che lo stesso articolo 22 della L.241/90 parla di diritto e che ulteriormente non sussiste nessuna forma di discrezionalità in capo alla P.A. che quindi dovrà limitarsi, in concreto, ad una mera verifica dei presupposti di legittimità. L’aspetto che la sua tutela rimanga appannaggio del giudice amministrativo non  può essere corretta argomentazione per sostenere il contrario in quanto il G.A. è comunque competente a tutelare anche  quei diritti soggettivi attribuiti dalla legge in quelle particolari materie ove si venga ad esplicare l’esercizio di un potere di natura pubblicistica.

Il diritto di accesso è da considerarsi peraltro accessorio e strumentale a quello di tutela delle proprie posizioni giuridiche soggettive per effetto dell’articolo 24 e 113 della Costituzione divenendo così, seppur autonomo diritto, funzionale alla tutela di altre situazioni giuridiche soggettive.  Il dibattito sulla natura si è comunque affievolito negli ultimi anni in quanto sarebbe una mera questione giuridica perché la diversa classificazione non comporterebbe in definitiva  nessuna differenza, essa troverebbe sempre una corretta tutela in quanto è presente una disciplina molto dettagliata. In altri termini diventa quindi irrilevante la qualificazione  partendo dal presupposto che la sua lesione non comporta un vero e proprio pregiudizio se non di natura indiretta nella misura in cui comporti una lesione di un bene della vita finale.

L’istituto dell’accesso ai documenti ha però dei limiti tra cui quello della legittimazione soggettiva attiva in quanto si prevede che l’istante sia in primis titolare di un interesse diretto, concreto, attuale e meritevole di protezione. Il soggetto che vuole accedere ai documenti deve infatti rendere manifeste le motivazioni che lo spingono a farlo mettendo il luce non solo il collegamento tra se stesso e l’interesse a cui è sotteso ma anche dimostrare che si basi su una necessità attuale. L’istituto pertanto nasce come strumento espressivo di un conflitto con  la P.A. e non come strumento di soddisfacimento di un interesse alla trasparenza dell’amministrazione. La stessa legge ha infatti escluso la possibilità di utilizzarlo come mezzo di controllo generalizzato dell’attività amministrativa come invece era previsto nei modelli aperti c.d F.O.I.A dei paesi nord europei.

Pure la giurisprudenza ha affermato, in alcune pronunce, che l’istanza non può essere strumento di controllo o sindacato indiretto sull’attività amministrativa atteso che il diritto di accesso non attribuisce poteri di vigilanza generalizzati  al privato dovendo esso stesso dimostrare la connessione ad uno specifico interesse personale giuridicamente tutelato che si vuole proteggere– si veda in tal senso C.d.S., sez., VI, n.1900 del 2/4/2010[10].

Sotto il profilo soggettivo passivo si deve affermare che l’accesso agli atti non trova applicazione solo nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni  ma anche di enti pubblici economici, aziende autonome, gestori di servizi pubblici che seppur privati gestiscono attività e servizi di pubblico interesse, le amministrazioni dell’Unione Europea[11], le Authority,  le imprese assicurative[12] e le associazioni di volontariato[13] laddove esercitino determinate attività.

Si può pertanto osservare  come sia ampio il  novero dei soggetti passivi e di come siano compresi anche soggetti che hanno natura privatistica. Tutto questo è possibile perché la nozione di pubblica amministrazione deve oggi ritenersi molto più ampia rispetto al passato e rispetto alla nozione soggettiva di P.A. Quello che oggi rileva è la definizione oggettiva che consacra a P.A. tutti quei soggetti che svolgono una attività amministrativa da intendersi come cura concreta degli interessi pubblici. Pertanto è il compimento di determinate funzione per la collettività che determina l’applicazione della disciplina pubblicistica in materia di accesso anche ai soggetti aventi natura privatistica.

L’attività amministrativa cui si correla il diritto di accesso concerne non solo l’attività di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio, e collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante, anche sul  piano soggettivo, dall’intensa conformazione pubblicistica; è stato infatti riconosciuto che anche gli atti disciplinati dal diritto privato rientrano nell’attività di amministrazione degli interessi della collettività e dunque sono soggetti ai principi di trasparenza e imparzialità, non avendo la legge 241/90 stabilito alcuna deroga in tal senso[14].

Le criticità in ordine al diritto di accesso non sono tuttavia da vedere solo nella classificazione di strumento di conflitto, nella stringente legittimazione soggettiva ma anche nei limiti di accesso indicati puntualmente dalla legge. Alcuni limiti sono da ritenersi assolutamente meritevoli di tutela: in tal senso non saranno accessibili documenti coperti da segreto di Stato[15], da segreto o divieto di divulgazione,  atti amministrativi di pianificazione e programmazione generali, atti di procedimenti tributari[16]. Si stabilisce ulteriormente che il Governo  ha facoltà di emanare appositi  regolamenti ex art 17 L.400/88 ampliativi dei limiti.

Tale attribuzione non determina però l’insorgenza di un potere sine modus e scevro da margini  potendo lo stesso ampliare limiti solo laddove ci siano interessi relativi alla  tutela di: sicurezza e difesa, sovranità nazionale in relazione alle relazioni internazionali, politica monetaria, ordine pubblico e contrattazione collettiva nazionale.  Laddove vengano ecceduti tali condizioni  si potranno impugnare i regolamenti stessi; essi, pur essendo formalmente atti legislativi, sono materialmente atti amministrativi e pertanto suscettibili di sindacato giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo.

Altro limite è la tutela della riservatezza attinente dati di natura personale quali dati sensibili o sensibilissimi. Anche in tal caso si deve ritenere tale limite come positivo a patto che lo stesso non sia utilizzato dalla P.A. in maniera troppo estensiva andando quindi ad opporre  l’accesso con tale motivazione non perché si voglia o si debba realmente tutelare dati ma al solo scopo di ostacolare l’accesso per rendere l’amministrazione meno penetrabile. Nonostante la Legge 241/90 stabilisca i limiti è anche fatto salvo un principio: laddove il soggetto istante faccia richiesta di accesso al fine di tutelare, difendere e curare i propri interessi in sede giurisdizionale, esso deve essere comunque garantito. Su tal punto si viene a creare quindi una frattura tra il piano giuridico e il piano fattuale in quanto, nel caso concreto, bisognerà in definitiva andare ad  operare un bilanciamento di interessi. L’unico problema è che tale bilanciamento è sempre fatto  in casa dall’amministrazione e non in una dimensione contraddittoria che dovrà eventualmente svolgersi innanzi al giudice amministrativo competente alla trattazione delle cause in materia di diniego.

Il legislatore, compreso che lo strumento analizzato si strutturava quale strumento per esercitare il diritto di difesa e non di promozione di trasparenza , ha cercato di correre ai ripari con la Legge 69/2009, con la Legge 190/2012 e con il D.Lgs. 33/2013. La legge 69/2009 ha enucleato una iniziale definizione di trasparenza e ha introdotto, anche in relazione ad un nuovo impulso di digitalizzazione, il principio secondo il quale la pubblicazione degli atti sulle pagine telematiche delle amministrazione determina un vero e proprio valore di pubblicità legale ovvero conoscenza nei confronti dei terzi stravolgendo il tradizionale principio della ricettizietà dei provvedimenti dell’amministrazione limitativi dell’altrui sfera giuridica. E’da osservare però che rimane buona prassi amministrativa la comunicazione diretta secondo le regole del codice di procedura civile degli atti che possano avere particolare rilevanza. La legge 190/2012 ha introdotto la figura del responsabile alla trasparenza  quale soggetto coincidente con il responsabile alla prevenzione della corruzione.

Ma il vero punto di svolta negli strumenti a servizio della trasparenza per il raggiungimento di quella che Filippo Turati definiva casa di vetro arriva con il D.Lgs 33/2013 che introduce la nozione d i  accesso civico. Il T.U per la Trasparenza e Pubblicità al suo articolo 5 stabilisce l’obbligo di pubblicazione di atti, dati e informazioni, all’interno della sezione “amministrazione trasparente” delle singole pagine telematiche istituzionali che la legge individua stabilendo altresì la possibilità per il cittadino di presentare istanza per richiedere i medesimi laddove l’amministrazione risulti inadempiente agli obblighi di pubblicazione. Lo scopo della nuova statuizione era quello di aumentare il rapporto fiduciario tra istituzioni e popolazione, ridurre i fenomeni corruttivi o di scarsa trasparenza e garantire la possibilità di controllare l’amministrazione sul corretto esercizio delle funzioni istituzionali, soprattutto se inerenti all’utilizzo delle risorse pubbliche. Cambia quindi il paradigma e prospettiva in maniera radicale in quanto emerge il principio che il cittadino deve poter controllare i pubblici poteri proprio in virtù dell’articolo 97 Cost. che stabilisce il principio di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, dell’articolo 54 Cost. che ricorda i doveri di fedeltà e adempimento alle pubbliche funzioni con onore e dell’articolo 98 Cost. che ricorda una amministrazione al servizio esclusivo della Nazione. Il principio di accessibilità e pubblicità assurge quindi a diritto ad indiretta rilevanza costituzionale  in quanto attua i  principi democratici di uguaglianza, buon andamento, efficacia e efficienza.

Tuttavia va rilevato come solo in parte tale novità abbia trovato applicazione in quanto se da un lato si stabilisce l’obbligo di pubblicazione, dall’altro non si prevedono sanzioni di nessun tipo in caso di inadempienza finendo quindi per lasciare una forma di discrezionalità di fronte l’esecuzione dei precetti imposti;  per non parlare poi di tante amministrazioni che hanno istituito tutte le voci previste nella sezione amministrazione trasparente  ma senza inserire i relativi dati o inserendoli solo parzialmente.

La definitiva novità la si è avuta nel 2016  con il D.lgs. 97/2016[17] meglio conosciuto con l’acronimo F.O.I.A. Freedom of information Act il quale ha introdotto la disciplina dell’accesso civico generalizzato modificando l’articolo 5 e 5 bis del D.lgs. 33/2013. Prima di analizzare l’istituto va rilevato che la denominazione di accesso civico generalizzato non è stato ideato dal testo normativo ma dall’Autorità Nazionale Anti-corruzione al fine di distinguerlo dall’accesso civico c.d semplice introdotto nel 2013.

La riforma ha realizzato un vero e proprio stravolgimento e sovrapposizione con le altre normative precedenti introducendo il concetto di totale accessibilità degli atti, documenti e informazioni della P.A. rendendo definitivamente anche l’Italia un modello open ovvero  c.d F.O.I.A.[18].

L’accesso civico generalizzato “affonda le radici “nel vecchio istituto dell’accesso agli atti di cui all’articolo 22 della Legge 241/90 ma ne eleva completamente presupposti, legittimazione  e limiti andando quindi a rendere l’accesso ai documenti amministrativi non più strumento di conflitto ma come vero strumento di trasparenza. Infatti viene meno la legittimazione soggettiva attiva qualificata in quanto non è più necessario che l’istante abbia un interesse concreto, meritevole e attuale. Il cittadino non dovrà in alcun modo precisare le motivazioni che sottendono alla richiesta. E’ pur vero però che è suggeribile farlo affinché, laddove ci siano dei contro interessati, si possano fare gli opportuni bilanciamenti. Ci si domanda se tale libera legittimazione possa essere incisa in relazione ad un preciso status giuridico del soggetto ovvero nel caso in cui il soggetto che intenda esercitare tale diritto sia allo stesso tempo dipendente dell’amministrazione cui la domanda è rivolta.

La risposta è assolutamente negativa in quanto non c’è alcun riferimento normativo che stabilisca una compressione di tale diritto nel caso sopra indicato anche perché essendo lo stesso classificato come diritto soggettivo con indiretta copertura costituzionale non può essere leso in virtù di un rapporto di dipendenza professionale anche perché il soggetto istante esercita la richiesta sempre in veste di cittadino. Le novità si sviluppano anche sulle modalità di rilascio degli atti che dovrà essere gratuito laddove sia richiesto in formato digitale tramite strumenti di posta elettronica e subordinato al pagamento di una somma relativa  alle spese effettivamente sostenute, e documentate dall’amministrazione, per il rilascio in modalità cartacea. Se in passato l’accesso era reso possibile mediante una mera comunicazione dell’amministrazione, oggi è, al contrario, stabilito un preciso obbligo per l’ufficio interessato ovvero l’obbligo di conclusione del procedimento amministrativo entro il termine di trenta giorni in cui, con formale provvedimento autonomo,  si riconosca o l’accesso o il diniego motivato con fondamento nella legge.

Si da quindi, tramite l’obbligo di pronunciarsi in maniera espressa, piena dignità procedimentale autonoma all’esercizio dell’accesso civico generalizzato. Mentre nel vecchio istituto dell’accesso agli atti il silenzio era classificato come silenzio-diniego, ora il silenzio equivale ad  inadempimento portando con  se tutte le conseguenze sul piano penale, per il configurarsi del reato di omissione di atti d’ufficio[19], sul piano civile, per il configurasi del c.d danno da ritardo laddove il soggetto abbia avuto un pregiudizio, sul piano disciplinare [20] , in sede di valutazione della performance dirigenziale e sul piano amministrativo, determinandosi in capo all’amministrazione stessa, laddove il privato abbia esercitato il potere sostitutivo, l’insorgenza del c.d diritto all’indennizzo da ritardo[21]. Competente a concludere il procedimento saranno gli U.R.P. ovvero gli uffici relazioni con il pubblico di ogni singola amministrazione, l’ufficio indicato nella sezione amministrazione trasparenza o direttamente l’ufficio che detiene stabilmente i dati e documenti cui si vuole fare accesso. E’ consigliabile, al fine di rendere più rapida la procedura, individuare sempre l’ufficio che li detiene stabilmente.

Sotto il profilo dei limiti è da rilevarsi che sussistono in parte gli stessi previsti  nella vecchia legislazione. Si dovrà opporre diniego[22]  per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico;  b) la sicurezza nazionale;  c) la difesa e le questioni militari;  d) le relazioni internazionali;  e) la politica e la stabilità finanziaria ed economica dello Stato;  f) la conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento;  g) il regolare svolgimento di attività ispettive.  Si dovrà opporre  rifiuto se sia necessario evitare un pregiudizio concreto alla tutela di dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; un pregiudizio alla libertà e la segretezza della corrispondenza o interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. Sempre è escluso l’accesso nel caso di segreto di Stato.

Si ricordi però  che non tutti gli interessi pubblici e privati, indicati prima,  possono limitare il fondamentale diritto di accesso civico generalizzato[23] , ma soltanto quando ciò sia “necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela” degli interessi espressamente individuati; pertanto la P.A. avrà un pressante obbligo di motivazione del diniego mettendo il luce che la non accessibilità è  necessaria, in concreto e in maniera non derogabile, alla tutela degli ambiti indicati nell’articolo 5 bis del D.Lgs 33/2013. Ne deriva ulteriormente che è vietato per l’amministrazione precisare, interpretare o aggiungere[24] limiti, anche se con formali atti amministrativi o regolamentari atteso che la riserva di legge è da ritenersi assoluta.

Altra novità è la tutela in ordine ai documenti che possono detenere dati inerenti altri soggetti c.d controinteressati; se prima era l’amministrazione a fare il bilanciamento e attribuire eventualmente all’istante l’onere di far valere le sue ragioni in giudizio, oggi è il contrario. Laddove l’amministrazione ravvisi l’esistenza di contro interessati dovrà, nella forma dell’interpello,  inviare agli stessi la richiesta di accesso civico generalizzato ricordando la facoltà, nel termine di dieci giorni, di proporre motivata opposizione indicando le relative motivazioni. Si verrà quindi a creare una sospensione -e non interruzione- dei termini del procedimento che riprenderanno a decorrere dal momento in cui sia stata ricevuta l’opposizione o  dal decimo giorno se non sia pervenuta. Si ribalta definitivamente l’ottica del passato andando a spostare l’onere di opposizione in capo allo stesso titolare dei dati e non in capo al soggetto istante. Nel caso in cui sia pervenuta opposizione starà in capo all’amministrazione l’obbligo di effettuare un bilanciamento di interessi per vedere quale sia più meritevole di tutela. Ecco perché si raccomanda di indicare sempre le motivazioni affinché, in sede contenziosa innanzi all’amministrazione si possa permettere alla stessa una corretta valutazione.

Nel caso di diniego, il privato avrà facoltà di presentare richiesta di riesame[25] al Responsabile alla trasparenza e anti-corruzione, al difensore civico o optare per il ricorso al T.A.R competente per territorio[26].

Tale istituto di trasparenza, che si aggiunge in ordine cronologico a quelli del passato, trova applicazione a tutte le amministrazioni  e articolazioni della Repubblica[27] in quanto è la legge a determinarlo essendo  la materia dei diritti civili e politici competenza dello Stato ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione. Saranno pertanto da considerarsi costituzionalmente illegittime le norme regionali stabilenti misure in peius rispetto agli standard previsti dalla legislazione statale.

L’Italia, con il Freedom of information Act  l’, ha raggiunto  nel campo della trasparenza amministrativa, almeno sul piano teorico-strumentale, il livello dei  paesi europei dando finalmente attuazione all’articolo 10 della CEDU.

In conclusione c’è da sottolineare un aspetto ovvero che non c’è stata nessuna abrogazione dell’istituto dell’accesso agli atti di cui alla Legge 241/90 determinando quindi quesiti in ordine al rapporto con l’istituto dell’accesso civico generalizzato. Parte della dottrina propende nel riconoscere che i due istituti rimangono in vigore, funzionali e fortemente distinti e alternativi  partendo dalla considerazione che il diritto di accesso generalizzato garantisce il bene “conoscenza” in via autonoma, a prescindere dalla titolarità di un interesse qualificato e differenziato.  Se questa posizione è ovvia sul piano teorico  è anche vero che sul  piano pratico il cittadino mira sempre ad ottenere conoscenza dell’amministrazione, a parità di strumento e di relativo risultato ci saranno però maggiori obblighi per chi decida di utilizzare il primo e non il secondo. Il privato potrebbe quindi sempre utilizzare l’accesso civico generalizzato al fine di non sottostare e aggirare gli stretti presupposti della 241/90. D’altro canto non sarebbe  logico intraprendere un percorso procedimentale più complesso e con minori garanzie per arrivare ad un medesimo fine.  Si potrebbe quindi protendere[28] implicitamente per una abrogazione implicita del vecchio istituto o almeno una parziale abrogazione de facto dei limiti procedimentali previsti nella 241/90 atteso che il legislatore ha chiaramente voluto riconoscere il diritto alla trasparenza della P.A. mediante l’ accesso civico generalizzato quale strumento di controllo, conoscenza, fiducia e vicinanza tra privato e pubblica amministrazione. Ciò che rileva oggi è il diritto alla conoscenza senza limiti procedimentali; pertanto allorquando  si verifichi una richiesta di trasparenza sia che  la si inquadri nell’ambito operativo dell’articolo 5 del D.Lgs. 33/2013 e sia la si inquadri nell’ambito dell’articolo 22 della L.241/90, laddove, in quest’ultima non sia indicata puntualmente la concretezza, attualità e meritevolezza della richiesta, si dovrebbe ritenere ugualmente accogliibile.

Tale tesi trova supporto indiretto nelle linee guida dell’Autorità Nazionale Anticorruzione nella parte in cui afferma che qualora non sia specificatamente indicato il titolo giuridico di accesso, la stessa dovrà essere inquadrata nell’ambito operativo dell’accesso civico generalizzato che assicura una maggior tutela nel diritto a conoscere.  Su tale visione non è però d’accordo parte della P.A. che continua a vedere i due istituti separati e legati quindi a diversa disciplina più stringente nel primo istituto e meno stringente nel secondo, anche al fine di godere di un maggior margine di apprezzamento nel permettere la permeabilità della stessa.


[1] Cit. Articolo 15 del Decreto del Presidente della Repubblica n° 3 del 1957, “Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, Pubblicato nella Gazz. Uff. 25 gennaio 1957, n. 22, S.O.
[2]  Il Legislatore ha dichiarato che la trasparenza della P.A deve essere visto come principio fondamentale in quanto suscettibile di realizzare una amministrazione più imparziale, più oculata sapendo di non poter contare più sull’ottica della segretezza.
[3] Cit. Art 22 L. 241/90.
[4] Si pensi, ad esempio, che l’accesso agli atti amministrativi di altri procedimenti amministrativi potrebbe essere utile per dimostrare in giudizio l’eventuale esercizio non funzionale da parte dell’amministrazione integrante il vizio dell’eccesso di potere di cui all’articolo 21 octies della  L.241/90.
[5] Cfr. Articolo 5, comma 2, D.P.R 184/2006, Regolamento concernente la disciplina in materia di accesso.
[6] Si veda T.A.R Sardegna, sez., I, 6/2/2009, n 174.
[7] Cfr. T.A.R, Calabria, Reggio Calabria, 6/7/2011 n 552.
[8] Si veda in tal senso C.d.S., Ad.Plen., 24/6/1999, n 16.
[9] Si veda il tal senso C.d.S., sez. atti normativi, n 3596/05 del 13/2/2006.
[10] Cfr. T.A.R. Lazio, Roma, sez., III, 12/8/2010, n. 30789; T.A.R., Sicilia, Catania, sez. III, 30/8/2012, n. 2039; T.A.R., Lombardia, Milano, sez., II 24/7/2008, n. 2974; T.A.R., Lazio, Roma, sez., II, 12/6/2009, n. 5586.
[11] Si veda il Regolamento CE n. 1049/2001 che stabilisce la possibilità di accesso ai documenti delle istituzioni previste dai trattati europei.
[12] Cfr.Articolo 146 D.Lgs. 209/2005. La norma in oggetto prevede la possibilità per i contraenti di contratti di assicurazione RCA relativi a veicoli o natanti di visionare le documentazioni relative a sinistri, valutazioni, constatazioni e monetizzazione dei danni relativi a sinistri.
[13] Si veda in tal senso L. 266/91 in relazione alle associazioni che svolgono servizi di pubblico interesse in seguito a rapporto Convenzionale.
[14] Cfr. C.d.S., sez., VI, 1/10/2008, n. 4739 e C.d.S., se., VI, 2/10/2009, n. 5987.
[15] Si veda in tal senso la legge 124/2007 che ha operato la riforma del comparto intelligence.
[16] La disciplina in tal senso trova riferimento in specifiche norme settoriali.
[17]  Il Decreto legislativo 97/2016 conosciuto con il termine “Riforma Madia” è stato frutto della Legge delega 121 del 2015.
[18] Si ricordi che i modelli open ovvero FOIA si ritengono esistenti fin dagli anni 90 nei paesi del Nord Europa.
[19] Vedi articolo 328 del Codice Penale. La norma in oggetto prevede l’insorgenza di responsabilità in capo al Pubblico Ufficiale che ometta di concludere i procedimenti amministrativi entro il termine di trenta giorni previsto dalla L. 241/90 senza che abbia, prima della scadenza del termine, comunicato al soggetto istante le motivazioni che determinano un ritardo nell’adozione del provvedimento finale.
[20] Cfr. Articolo 2, comma 9,  L. 241 /90 comma così sostituito dall’art. 1, comma 1, legge n. 35 del 2012.
[21] Cfr. articolo 2 bis, comma 1 bis,  L. 241/90 che recita “…l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l’obbligo di pronunziarsi, l’istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell’articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento”.L’indennizzo ammonta ad euro 30,00 al gg per ogni giorno di ritardo e deve essere liquidato direttamente dall’amministrazione procedente.
[22] Cit. Articolo 5 bis del D.lgs 33/2013.
[23] Cit. Ministero  per la Pubblica Amministrazione, Circolare  n 2/2017, Roma.
[24] “L’amministrazione è tenuta a consentire l’accesso generalizzato anche quando riguarda un numero cospicuo di documenti ed informazioni, a meno che la richiesta risulti manifestamente irragionevole, tale cioè da comportare un carico di lavoro in grado di interferire con il buon funzionamento dell’amministrazione. Tali circostanze, adeguatamente motivate nel provvedimento di rifiuto, devono essere individuate secondo un criterio di stretta interpretazione, ed in presenza di oggettive condizioni suscettibili di pregiudicare in modo serio ed immediato il buon funzionamento dell’amministrazione”, vedi linee guida ANAC.
[25] Cfr. Articolo 7, comma 7, Dlgs 33/2013.
[26] Si ricordi che i ricorsi avverso provvedimenti di diniego della amministrazioni centrali dello Stato devono essere impugnati innanzi al TAR Lazio.
[27] Vedi articolo 114 Costituzione.
[28] Contributo dottrinale dell’autore.

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