Danilo Dolci profeta della collaborazione civica e antesignano della sussidiarietà orizzontale

Danilo Dolci profeta della collaborazione civica e antesignano della sussidiarietà orizzontale

Sommario: Premessa – 1. La maieutica reciproca – 2. Lo sciopero alla rovescia – 3. Attualità dell’arringa di Calamandrei

Premessa

Non è agevole definire la complessa personalità di Danilo Dolci[1], sebbene esista una copiosa letteratura. Avendolo conosciuto personalmente, posso dire che fu un uomo a cui piaceva ascoltare ma anche porre domande. Di certo, fu un visionario che, spesso, confondeva il piano del desiderio con quello della realtà.

Non a caso, la sua massima più famosa recita: «Ciascuno cresce solo se sognato»[2]. Non se sogna, beninteso, ma se viene sognato. Se è parte del sogno di qualcun altro. Fu solito ripetere che «Le cose fondamentali della vita, quelle per cui vale veramente la pena vivere, sono racchiuse in pochi valori essenziali»[3].

Non credo che possa definirsi cattolico ma citò i vangeli e fu animato da una etica della responsabilità molto vicina a quella cristiana. Ripudiò l’economia fondata sullo scambio di denaro ed esaltò quella ispirata ai valori della solidarietà e reciprocità. Non fu legato ad alcuna confessione religiosa.

Fu un laico ribelle al pari dell’uomo, «chiamato Gesù di Nazareth», descritto dall’antropologa Ida Magli[4]. È documentata, invece, la collaborazione con la chiesa evangelica valdese del pastore Pietro Valdo Panascia[5]:

«[…]I valdesi di Palermo partecipano attivamente alle iniziative di Danilo Dolci, fondano un convitto e una scuola elementare, creano un piccolo centro sociale – con un ambulatorio, una scuola di cucito e un consultorio – in quel cortile Cascino[6] che col libro “Inchiesta a Palermo” di Dolci era diventato simbolo dell’ emarginazione urbana. Sono lontani anni luce dall’atteggiamento della gerarchia cattolica che accusa Dolci di diffamare la Sicilia»[7].

Non a caso, nel ‘63, Ernesto Ruffini[8], cardinale di Palermo, lo indicò come uno dei mali della Sicilia[9], insieme, al romanzo il Gattopardo e alla mafia[10]. Accorata la difesa[11] di Panascia[12], compagno di tante battaglie per i diritti dei più deboli.

Dolci, fece investire miliardi delle vecchie lire per la costruzione dei centri educativi ispirati alla sua filosofia ma visse[13] e morì da povero[14]«pieno di debiti e senza neppure un vestito decente per la sepoltura. Indossava una tuta da ginnastica, gli lasciarono quella. Il figlio organizzò una colletta per pagargli la bara. Sapete come lo ha chiamato suo padre? Amico!»[15].

1. La maieutica reciproca

Danilo Dolci, parla di collaborazione civica negli anni ’50 del secolo scorso. Il principio di sussidiarietà orizzontale non c’è ancora, almeno nella forma che conosciamo oggi. Eppure, grazie alla maieutica reciproca[16], le persone s’incontrano e comunicano le proprie esperienze. Parlano di bisogni, disagi e sogni.

Cominciano a capire che trovare insieme una soluzione ai problemi non solo è possibile ma è anche gratificante. Progettare allo stesso tavolo dei decisori (politici e non, ndr) restituisce dignità e giustizia. Significa sognare un futuro migliore, provare a gettare le basi per uno sviluppo equo e sostenibile e riconquistare il potere.

Non per sostituirsi alle istituzioni, beninteso. Non certo per sovvertire l’ordine costituito, alla stregua degli anarchici. Quei senzadio che mettono le bombe e fanno saltare in aria gli innocenti. Ribellarsi ma senza usare violenza. Quando le cose non vanno per il loro verso, è giusto far sentire la propria voce, senza urlare, rispettando sempre le buone maniere.

Magari sì, alzare il volume, qualche volta, quanto basta e non esagerando. In fondo, è un buon esempio di democrazia la facoltà di rinunciare alla delega ad altri e scegliere di lavorare uniti per la tutela dell’interesse generale.

2. Lo sciopero alla rovescia

Il quarto comma del centodiciotto non è stato ancora scritto nella nostra Costituzione. Come fare? È  il 2 febbraio del 1956 e c’è una vecchia strada sterrata che, dalla periferia di Trappeto scende ripida, per circa otto chilometri, fino al mare. È  una delle tante regie trazzere borboniche che attraversano la campagna siciliana.

Quella mattina, circa mille disoccupati, decidono di prendersi cura di quel vecchio sentiero abbandonato che scavalca la ferrovia, passando sotto due ponti. Danilo Dolci, uno dei promotori dell’iniziativa, passata alla storia come lo sciopero alla rovescia, è convinto di non violare la legge[17].

Anzi, la Costituzione è dalla sua parte. Un articolo non lascia dubbi al riguardo. È  il numero quattro. Anzi, il comma due, in particolare, stabilisce che «Ogni cittadino ha il dovere di svolgere secondo le proprie possibilità e la proprio scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società».

Ed è quello che viene fatto. Niente di più. In verità, i manifestanti, essendo disoccupati, si appellano anche al comma uno: «La repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto». In altre parole, lo scopo va oltre quello di rimettere in sesto una strada accidentata.

Si vuole dimostrare al mondo intero che, se un operaio per protestare si astiene dal lavoro, un disoccupato può scioperare lavorando. Sebbene animati da buoni propositi, i dimostranti vengono dispersi dalle forze dell’ordine. Alcuni di loro, tra cui l’educatore triestino, sono trascinati via con la forza e condotti in carcere dai carabinieri[18].

Dolci trascorre due mesi all’Ucciardone, prima che il consigliere istruttore decida di rinviarlo al giudizio: «Nonostante le precedenti diffide, il Dolci e gli altri imputati hanno persistito nella loro attività criminosa organizzando l’ arbitraria invasione di una trazzera demaniale (…) tale condotta e le condizioni di vita individuale e sociale del Dolci sono manifesti indici di una spiccata capacità a delinquere»[19]. Carlo Levi ed Elio Vittorini[20] sono alcuni dei testimoni al processo celebrato dinanzi al tribunale di Palermo.

3. Attualità dell’arringa di Calamandrei

La difesa è affidata all’avvocato Piero Calamandrei[21]. A tal proposito, un aspetto dell’arringa desta l’interesse dello storico, mostrando, al tempo stesso, l’attualità del pensiero giuridico. Non si parla di sussidiarietà orizzontale, principio che sarà scritto 45 anni più tardi.

Il giurista fiorentino, compiendo un gesto di straordinaria abilità forense, recupera, dal diritto romano, l’istituto[22] del negotiorum gestio: «un caso, si potrebbe dire, di esercizio privato di pubbliche funzioni volontariamente assunte dai cittadini a servizio della comunità e in ossequio al senso di solidarietà»[23].

In altre parole, il gestor (Dolci e i suoi compagni) avrebbe assunto spontaneamente la gestione di un affare altrui (la manutenzione della trazzera), senza avere ricevuto l’incarico da parte del dominus (il Comune). Ebbene, nell’antica Roma, tale ingerenza (animus aliena negozia gerendi) non sarebbe stata giudicata come un fatto illecito, qualora fosse stata dettata dall’urgenza o dall’impossibilità del proprietario di provvedere.

Del resto, già all’epoca dei fatti, la giurisprudenza di legittimità[24] aveva riconosciuto l’applicazione di questo istituto alle attività del pubblico potere, in presenza di un «cogente impedimento all’esercizio delle competenze assegnate agli uffici pubblici» o, comunque, «di un esplicito riconoscimento dell’effettivo vantaggio conseguito (utiliter coeptum)», in riferimento alla valutazione economica costi-benefici. Il caso balza agli onori della cronaca internazionale e l’opinione pubblica conosce, per la prima volta, il Ghandi del sud, l’uomo che ha scelto di stare con gli emarginati[25].

 


[1]  Danilo Dolci, nato a Sesana il 28 giugno 1924, è scomparso a Trappeto il 30 dicembre 1997. Soprannominato “Ghandi italiano”, è stato un sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza. «Dolci ha combattuto la miseria, la mafia, il sistema clientelare, ma il suo merito più grande è stato quello di aver fatto una cosa semplice, che dovrebbe essere naturale in una realtà sociale non alienata: ha aiutato la gente ad incontrarsi, discutere insieme dei problemi comuni, aprirsi, comunicare. È tutta qui la sua maieutica reciproca, espressione filosofica per dire una cosa essenziale come il mangiare ed il respirare. Una cosa dalla quale dipende la nostra democrazia. Non illudiamoci: non esiste democrazia se non c’è confronto; non esiste democrazia in un paese in cui la socialità è frammentata ed ognuno apprende singolarmente il mondo; non esiste democrazia dove la lettura attenta dei segni complessi del reale lascia il posto alla chiacchiera ed allo slogan».  A. Vigilante, presentazione all’opera di M. Ragone, Le parole di Danilo Dolci, Foggia, Edizione del Rosone, 2011. Per approfondimenti, si rinvia all’opera del biografo ufficiale G. Barone, La forza della non violenza. Biografia e profilo biografico di Danilo Dolci, Napoli, Libreria Dante e & Descartes, 2000.
[2] D. Dolci, Il Limone lunare, Bari, Laterza, 1970: «C’è chi insegna guidando gli altri come cavalli passo per passo: forse c’è chi si sente soddisfatto così guidato. C’è chi insegna lodando quanto trova di buono e divertendo: c’è pure chi si sente soddisfatto essendo incoraggiato. C’è pure chi educa, senza nascondere l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni sviluppo ma cercando d’essere franco all’altro come a sé, sognando gli altri come ora non sono: ciascuno cresce solo se sognato». On line: https://www.poesieracconti.it/poesie/a/danilo-dolci/ciascuno-cresce-solo-se-sognato  (21/05/2019).
[3] G. Casarrubea, Piantare uomini. Danilo Dolci sul filo della memoria, Roma, Castelvecchi, 2014, 18-19: «[…]A chiunque gliene facesse richiesta, diceva sempre che i suoi maestri erano stati Gesù, Ghandi e Lenin. Le tre figure che avevano cambiato la storia dell’uomo. Le cose fondamentali della vita, ci diceva, sono racchiuse in pochi valori essenziali».
[4] I. Magli, Gesù di Nazareth.Tabù e trasgressione, Milano, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, 2004,72: «[…]Gesù di Nazareth fu un uomo ribelle a qualsiasi indottrinamento, con capacità di riflessione e di elaborazione di valori così personale che non si può sottrarre al pensiero di quanto debba essere stata profonda la sua solitudine e la distanza da tutti coloro che lo circondavano».
[5]  P.Ciaccio, Dieci anni senza Panascia, in Chiesa valdese Palermo, 20 ottobre 2017: «[…]Proprio      Pietro Valdo Panascia: “Un uomo concreto che, ‘vedendo’ con gli occhi della fede le condizioni degradanti in cui troppi uomini, donne, bambini di quartieri dimenticati di Palermo erano costretti a vivere nell’indifferenza delle autorità civili e religiose, ha semplicemente ritenuto di dover unire la sua voce e quella della Chiesa valdese alla forte denuncia di uomini di valore come Danilo Dolci, il sociologo triestino con cui affrontò molte battaglie per i più poveri». On line: https://www.adista.it/articolo/38714  (21/05/2019).
[6] A.Cavadi, Un grande uomo, in Centonove, 26 ottobre 2007: «[…]mani protese verso “gli ultimi” di cortile Cascino, quartiere alle spalle della cattedrale di Palermo, di cui gli uomini del potere si ricordavano solo al momento delle elezioni, distribuendo generi alimentari per ottenere quei voti necessari per accedere al sopra citato “salotto buono” della città».
[7]  A Crisantino, La scelta dei valdesi, in Larepubblica.it, 8 giugno 2005.
[8] T. Gullo, Un principe della chiesa che non capì la Sicilia, intervista (stralcio) a F. Renda, in Repubblica.it, 27 marzo 2004: «[…]Perché prendersela con Danilo Dolci?  “Perché il sociologo non era all’ interno della Chiesa cattolica, perché la sua analisi dell’ Isola non collimava con quella della curia e perché si faceva promotore di un nuovo movimento che si poneva come alternativa sia al comunismo che alla Democrazia cristiana». On line: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2004/03/27/un-principe-della-chiesa-che-non-capi.html  (21/05/2019).
[9] Ibidem: «[…]il cardinale Ernesto Ruffini nella Pastorale, vergata in occasione della Pasqua del 1964, che quell’anno cadeva il 29 marzo, individuava i mali della Sicilia nel romanzo il Gattopardo, nel sociologo triestino Danilo Dolci, che denunciava l’ arretratezza dell’Isola, e in tutti quelli che amplificavano la presenza della mafia, che per lui era semplice criminalità, come nella sua Mantova. Le tre “iatture” erano viste dall’ alto prelato come una congiura organizzata per disonorare l’ Isola».
[10] E. Ruffini, Il vero volto della Sicilia. Lettera pastorale, in Bollettino ecclesiastico palermitano. Pubblicazione ufficiale dell’Archidiocesi, LIX, 27 marzo1964: «[…] In questi ultimi tempi si direbbe che è stata organizzata una grave congiura per disonorare la Sicilia; e tre sono i fattori che maggiormente vi hanno contribuito: la mafia, il Gattopardo, Danilo Dolci!».
[11] D. Paternostro, L’impegno della Chiesa Valdese contro la mafia dopo la strage di Ciaculli, in Città nuove Corleone, 29 ottobre 2007: «[…]il pastore Pietro Valdo Panascia contrastò con garbata fermezza, in un opuscolo pubblicato dal giornale “L’Ora” del 9-10 aprile 1964: “Il problema sta nello stabilire se il male c’è o non c’è (…) prima di gridare all’untore (…) Ora che il male ci sia e che lo vedano anche gli stranieri(…) è fuori dubbio. (…) Giova al rinnovamento morale, spirituale e sociale del nostro popolo cullarlo nella facile retorica di una esaltazione che confonde le idee e lo lascia in una inferiorità umiliante da cui invece dovremmo con ogni mezzo aiutarlo ad uscire, anche a costo di essere fraintesi, malvisti, odiati dai benpensanti e da quanti hanno una vita facile e comoda?”. http://cittanuovecorleone1.blogspot.com/2007/10/mafiadocumenti-limpegno-della-chiesa.html  (21/05/2019).
[12] A. Cavadi, Un grande uomo, op. cit.: «[…]Ci sono siciliani che hanno vissuto con l’intenzione determinata di lasciare la loro terra un po’ migliore di come l’hanno trovata, e ci riescono. Il pastore Valdo Panascia è stato uno di questi […]Per queste iniziative, e per tante altre, Pietro Valdo Panascia ha inciso positivamente e durevolmente nel tessuto cittadino, innalzando il livello del dibattito culturale, incrementando il dialogo fra le confessioni religiose, difendendo i pochi spazi di laicità e migliorando la qualità della vita di generazioni di diseredati. Sarebbe un segno di riconoscimento e di riconoscenza che la municipalità cittadina gli dedicasse, quanto prima, una strada o una piazza o una scuola: un segno di cui abbiamo bisogno noi per ricordarlo, non certo lui che – quale che sia la soglia varcata – è ormai estraneo alle faccende per cui ci agitiamo così tanto sul nostro pianetino periferico».
[13] G. Casarrubea, op cit., 18: «[…]E, in effetti, Danilo fu sempre povero, non disdegnò mai di esserlo. Per necessità di cose si poté permettere solo il lusso di qualche utilitaria, mai di un cappotto. Né una camicia con cravatta. Tranne, forse, una volta, in occasione della consegna di un premio o di una laurea. A Milano, in una circostanza, dovette ricorrere a un loden e a un basco ma doveva sentire veramente freddo. Portava, per lo più, pantaloni che sembravano di vent’anni prima, stretti e alti sui malleoli. Maglioncini bianchi e raramente a fantasia, che col passare del tempo, gli si modellavano addosso sempre più stretti».
[14] Ivi,17: «[…]Quella sera, nella sua casa del Borgo di Dio, fatta di piccole cose, di un arredo quasi francescano e di piccoli ricordi dei suoi viaggi per il mondo, a circondare il suo volto sorridente c’erano, oltre ai suoi familiari, i contadini e i pescatori che lo avevano conosciuto, c’era il procuratore della repubblica Gian Carlo Caselli e pochi altri uomini che lo avevano apprezzato e sostenuto. C’era padre Cosimo Scordato e qualche suo amico che, la sera di Natale, aveva voluto con sé a cena, per consegnargli il suo testamento morale. Non lascio ricchezze ma debiti e sacrifici e un’ottimistica volontà di cambiare il mondo».
[15]Raicultura:http://www.arte.rai.it/articoli-programma-puntate/danilo-dolci/19045/default.aspx.
[16] «La maieutica reciproca è una metodologia che si propone di dare a ciascuno l’opportunità di crescere esprimendo la propria personalità in relazione ai propri desideri, confrontandoli con quelli degli altri e cercando di armonizzarli in un reciproco adattamento creativo» Per approfondimenti, consultare il documento integrale: http://www.gastaldiabba.gov.it/new/images/jsdocs/progetti_attivati_2018_19/Progetto_Libera_con_i_bambini/Progetto_Liberi_di_crescere_Indicazioni_Lab_autoanalisi_(27nov18).pdf  (21/05/2019).
[17] Il 2 febbraio 1956, a Partinico, viene indetto lo sciopero alla rovescia. Alla base dell’iniziativa, c’è l’idea che, se un operaio per protestare si astiene dal lavoro, un disoccupato può scioperare lavorando. Così, centinaia di braccianti agricoli senza stabile occupazione si organizzano per riattivare una trazzera abbandonata. Ma i lavori vengono fermati dalle forze dell’ordine e, uno dei promotori, Danilo Dolci, educatore e intellettuale non violento, viene arrestato. L’episodio provoca indignazione e numerose interrogazioni parlamentari. Dolci è condannato a cinquanta giorni di carcere e a ventimila lire di ammenda, al termine di un processo in cui la difesa è assunta dal giurista Piero Calamandrei, uno dei padri costituenti. (Cfr. D. Dolci, Processo all’articolo 4,  Palermo, Sellerio Editore, 2011, 291-316).
[18] Violazione del codice penale: articolo 341 (resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale), articolo 415: (istigazione a disobbedire alle leggi), articolo 633 (invasione di terreni pubblici).
[19]  Danilo Dolci, Processo all’articolo 4op.cit.
[20] A. Bolzoni, Cinquant’anni fa la sfida di Danilo Dolci, in la Repubblica.it, 29 gennaio 2006: «[…] Sono siciliano e so che questa regione è una specie di India, vi è del fatalismo e vi sono delle caste, uomini come Dolci ce ne vorrebbero molti in Sicilia». Articolo consultabile integralmente on line: https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/01/29/cinquant-anni-fa-la-sfida-di-danilo.html  (20/05/2019).
[21] Piero Calamandrei (affiancato dal collega Nino Sorgi) pronuncerà la sua ultima arringa (morirà alcuni mesi più tardi).
[22]L’azione di Calamandrei testimonia l’attualità del suo pensiero. L’applicazione di siffatto istituto nei confronti della pubblica amministrazione è, ancora oggi, vexata questio. Da una parte, i principi costituzionali del buon andamento e della riserva di legge (artt.97 e 95 Cost.), dall’altra, i presupposti richiesti per la nascita delle obbligazioni di cui all’art. 2028 del codice civile. Recentemente, la corte di Cassazione, a seguito di un’accurata indagine sulla eventualità di trasferire tali principi, di natura privatistica, nell’alveo dell’attività amministrativa, ha concluso che non è possibile escludere l’applicazione della negotiorum gestio anche all’attività delle pubbliche amministrazioni (Cass. Civ. Sez VI-3, ordinanza 3 febbraio 2017 n. 2944).
[23]D. Dolci, Processo all’articolo 4, op.cit. (Testimonianze, 8, testo stenografico dell’arringa pronunciata il 30 marzo 1956 dinanzi al Tribunale penale di Palermo), 300.
[24] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 23 febbraio 1950, n. 416.
[25] A. Bolzoni, cit.: «[…]Gaetano Ferrante, uno di quei sette arrestati del 2 febbraio ’56, racconta: “Dovevamo dimostrare che si poteva rendere transitabile la strada, era l’occasione per offrire lavoro ai disperati”. (Ferrante) scava nella memoria: “Quella sera ci portarono prima alla caserma Carini, alle spalle del teatro Massimo. C’erano anche due sindacalisti con noi, Salvatore Termini e Ignazio Speciale. Avevano appena fatto una retata di prostitute, c’era freddo e le coperte erano poche, solo la mattina dopo ci trasferirono all’ Ucciardone, dove erano rinchiusi alcuni banditi». I banditi di un’isola che si sognava indipendentista e stella della bandiera americana, i superstiti di un movimento per la liberazione della Sicilia che era impasto di miseria e grandezza, di Stato e di mafia. Ricorda Ferrante: I banditi ci accolsero bene all’ Ucciardone, ci continuavano a chiedere: “Quando ci liberate, quando ci liberate?”. Ci riconoscevano come rivoluzionari, Danilo in quel momento era una speranza anche per loro».

Salvis Juribus – Rivista di informazione giuridica
Direttore responsabile Avv. Giacomo Romano
Listed in ROAD, con patrocinio UNESCO
Copyrights © 2015 - ISSN 2464-9775
Ufficio Redazione: redazione@salvisjuribus.it
Ufficio Risorse Umane: recruitment@salvisjuribus.it
Ufficio Commerciale: info@salvisjuribus.it
***
Metti una stella e seguici anche su Google News
The following two tabs change content below.

Enrico Pintaldi

Messinese d’origine e vimodronese d’adozione, lavora nella pubblica amministrazione da un quarto di secolo. Funzionario responsabile dei tributi in un Comune della città metropolitana di Milano per un decennio, da dicembre 2021, è stato trasferito, per mobilità volontaria, in provincia di Monza e Brianza. Laureato in scienze della formazione continua, specializzato in comunicazione pubblica, è stato più volte richiamato alle armi, in qualità di ufficiale della riserva selezionata dell’Esercito. Giornalista professionista (iscritto all’ordine professionale dal 1996), ha frequentato due master universitari. Uno, di primo livello in diritto tributario e l’altro, di secondo livello, in scienze della pubblica amministrazione. Dottorando di ricerca in scienze giuridiche e politiche è autore di tre saggi e di numerosi articoli, pubblicati su quotidiani e periodici.

Articoli inerenti

Una chiave di lettura della politica: il carisma

Una chiave di lettura della politica: il carisma

Un tema centrale, quello della politica, nella storia delle nazioni e dei popoli, che può essere indagato alla luce della funzione assolta dal...