Danneggiamento dell’auto: “aggravato” nonostante l’antifurto e la video sorveglianza

Danneggiamento dell’auto: “aggravato” nonostante l’antifurto e la video sorveglianza

La presenza di sistemi di allarme sonoro e di sistemi di videosorveglianza predisposti per il controllo costante dell’autovettura parcheggiata in strada non fa venir meno l’aggravante dell’esposizione a pubblica fede in caso di danneggiamento

Cass. n. 51622/2017 depositata il 13 novembre 2017

1. IL REATO DI DANNEGGIAMENTO A SEGUITO DEL D. LGS. N. 7 DEL 15/01/2016.

L’analisi della disciplina che attualmente l’ordinamento giuridico riserva al reato di danneggiamento non può prescindere dal richiamo all’intervento normativo posto in atto dal Governo per il tramite del D. Lgs. N. 7/2016 recante “Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili”, il quale si inserisce all’interno del più ampio quadro delle azioni legislative volte alla depenalizzazione dei reati ritenuti di minore gravità in un’ottica deflattiva dei procedimenti penali, succedutesi con frequenza negli ultimi anni.

Tra i reati oggetto di depenalizzazione da parte della norma in questione merita particolare attenzione il reato di danneggiamento semplice, un tempo punito dall’art. 635, comma 1, c.p.

In base alla vecchia formulazione della norma incriminatrice in oggetto chiunque avesse distrutto, disperso, deteriorato o reso comunque inservibili cose mobili o immobili altrui sarebbe stato soggetto alla pena della reclusione fino ad un anno o della multa fino a euro 309, a querela della persona offesa.

Il secondo comma della norma citata prevedeva, poi, la procedibilità d’ufficio e la pena più severa della reclusione da sei mesi a tre anni per le condotte di danneggiamento in vario modo aggravato, per esempio per essere stato commesso il fatto con violenza alle persone o con minaccia.

Il D. Lgs. N. 7/2016 ha operato un’abolitio criminis parziale con riferimento al reato di cui si tratta[1].

La nuova formulazione dell’art. 635 c.p., infatti, non contempla più, tra le condotte penalmente rilevanti, quella consistente nel danneggiamento semplice di beni mobili o immobili altrui, mentre resta ferma, anche nell’attuale versione della norma, la rilevanza penale delle ipotesi di danneggiamento (considerato un tempo) aggravato, per essere stato lo stesso commesso: i) con violenza alle persone o con minaccia; ii) in occasione di manifestazioni che si svolgono in luogo pubblico o aperto al pubblico; iii) in occasione del delitto previsto dall’art. 331 c.p.; iv) sulle particolari tipologie di bene elencati ai nn. 1, 2, 3 e 4 del secondo comma della ridetta disposizione.

Da quanto detto appare di tutta evidenza che acquista importanza fondamentale stabilire quando il danneggiamento può ritenersi commesso con le modalità di cui al primo comma dell’art. 635 c.p. o su di un bene appartenente ad una delle tipologie contemplate dal secondo comma della stessa norma nella sua corrente formulazione, posto che solo in questi casi potrà ritenersi integrato l’odierno reato di danneggiamento.

Sempre più centrale diviene, quindi, sul punto, il lavoro degli interpreti, ed in particolar modo della giurisprudenza, chiamata a determinare l’attuale portata incriminatrice dell’art. 635 c.p.

Appare, dunque, opportuno concentrare l’attenzione su di una particolare fattispecie di danneggiamento aggravato, ovvero sul danneggiamento compiuto su beni esposti alla pubblica fede, posto che il tema è da sempre oggetto di frequenti pronunce della giurisprudenza di legittimità, visti i contorni sfumati della fattispecie dovuti alla difficoltà di definire con precisione il concetto di bene sottoposto alla fede pubblica.

2. FATTO COMMESSO SU COSE ESPOSTE PER NECESSITA’, CONSUETUDINE O DESTINAZIONE ALLA PUBBLICA FEDE: RATIO DELL’AGGRAVANTE

L’art. 625 c.p., primo comma, contempla – al numero sette -, tra le aggravanti specifiche relative al reato di furto, quella dell’essere stato il fatto commesso “…su coseesposte per necessità o per consuetudine o per destinazione alla pubblica fede…”.

L’art. 635 c.p., secondo comma, n. 1, nel richiamare l’art. 625 c.p., comma primo, n. 7, stabilisce che nel caso in cui la condotta di danneggiamento venga perpetrata su cosa altrui del tipo di quelle elencate in quest’ultima disposizione il danneggiante sarà soggetto alla pena della reclusione da sei mesi a tre anni, ovvero alla stessa pena prevista per il danneggiamento compiuto con le modalità di cui al primo comma del’art. 635 c.p. (violenza alle persone, minaccia, ricorrenza di manifestazioni pubbliche o aperte al pubblico o del delitto di cui all’art. 331 c.p.).

Il legislatore ritiene, dunque, le condotte di danneggiamento e di furto perpetrate sulle cose di altri recanti le caratteristiche di cui al n. 7, comma 2, dell’art. 625 c.p., caratterizzate da un maggior grado di lesività e offensività nei confronti del bene giuridico tutelato, ovvero l’integrità e l’inviolabilità del patrimonio altrui, rispetto alle fattispecie rispettivamente del danneggiamento semplice, oggetto di depenalizzazione, e del furto semplice, punito meno severamente.

Per ciò che attiene, in particolare, l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, come detto ricompresa all’interno della disposizione di cui all’art. 625 c.p., comma 2, n. 7, la giurisprudenza costante di legittimità e di merito ha precisato che “La maggior tutela alle cose esposte alla pubblica fede per necessità o per consuetudine o per destinazione deve essere ricercata nel fatto che esse sono prive della custodia da parte del proprietario, per cui la proprietà o anche il possesso di esse ha come presidio soltanto il senso del rispetto da parte dei terzi…[2].

Nel prevedere la circostanza aggravante in parola, dunque, il legislatore ha avuto di mirato la finalità di concedere una protezione maggiore a quei beni che per necessità, per consuetudine, o a causa della loro destinazione vengono a trovarsi in una condizione tale da non poter essere direttamente controllati e custoditi dai soggetti cui appartengono, sicché l’unica blanda protezione di cui gli stessi godono è il senso di rispetto da parte dei terzi.

L’assenza della possibilità di una custodia continua e diretta da parte del proprietario comporta certamente che i beni esposti alla pubblica fede si trovino in uno stato di maggiore pericolo rispetto alle cose direttamente sorvegliate dal soggetto cui appartengono. Ciò considerato, è possibile affermare che il legislatore, tramite la previsione dell’aggravante in oggetto, mira a sopperire alla carenza di difese materiali e concrete volte alla protezione dei beni in parola, attraverso l’introduzione di una tutela virtuale, qual è quella derivante dalla previsione di un incremento sanzionatorio per i casi di aggressione agli stessi.

Volendo ulteriormente approfondire il discorso, ed esaminando la questione dal punto di vista del proprietario delle cose di cui si tratta, costretto – dalla necessità, dalla consuetudine o dalla destinazione del bene – ad esporle alla pubblica fede, è possibile affermare che lo stesso pone un affidamento legittimo sul senso del rispetto della proprietà altrui da parte dei terzi, nel momento in cui lascia i propri beni privi di custodia in luoghi liberamente accessibili ai consociati.

Il soggetto che danneggi un tale bene esposto alla pubblica fede, quindi, pone in essere una condotta che da una parte reca un offesa al bene giuridico dell’integrità e dell’inviolabilità del patrimonio altrui, dall’altra tradisce il legittimo affidamento che il proprietario poneva nel fatto che i consociati si sarebbero astenuti dal violare un bene di altri privo di custodia.

Da tanto deriva l’opportunità di punire con sanzioni più gravi il furto ed il danneggiamento perpetrati sui beni in parola visto il maggior disvalore che tali condotte evidentemente esprimono rispetto alle relative condotte semplici.

3. CONFIGURABILITA’ DELL’AGGRAVANTE DELL’ESPOSIZIONE A PUBBLICA FEDE IN BASE ALLE PRONUNCE DELLA GIURISPRUDENZA DI LEGITTIMITA’

La difficoltà principale nell’individuazione dei casi in cui può ritenersi configurata la circostanza dell’esposizione alla pubblica fede riguardano l’ipotesi in cui il proprietario, pur collocando il bene in condizioni di spazio e di tempo che non gli permettono di avere il controllo e la custodia diretti dello stesso, predisponga sistemi in vario modo finalizzati ad impedire o ostacolare i terzi che intendano porre in atto condotte dirette al furto o al danneggiamento dello stesso quali, ad esempio, cancelli, antifurti, sistemi di rintracciamento del bene e simili.

Con maggior sforzo esplicativo, e ribadendo il concetto secondo cui un bene può ritenersi esposto alla fede pubblica quando non gode di altra tutela se non quella apprestata dal sentimento collettivo di onestà e di rispetto della proprietà altrui, la domanda che ci si pone è se, rispetto ai beni in relazione ai quali siano state predisposte misure in vario modo dirette alla protezione contro le ingerenze dei terzi, possa comunque sostenersi che l’unica difesa effettiva di cui tali beni godono è costituita dall’impulso di rispetto per il patrimonio altrui dei consociati o se, invece, essi beneficiano di un livello di tutela ulteriore tale da rendere superflua e non giustificata una maggior tutela da parte del legislatore.

Evidentemente la risposta a tale interrogativo dipenderà dalle caratteristiche dei sistemi di difesa predisposti dal proprietario e, in particolare, dalla loro idoneità a costituire un ostacolo efficace alla commissione di aggressioni dei terzi nei confronti delle cose di cui si tratta.

Qualora tali congegni di protezione siano effettivamente in grado di impedire la commissione del furto o del danneggiamento, infatti, potrà ritenersi che il proprietario che li ha predisposti faccia affidamento sulla loro efficacia e non (soltanto) sul sentimento di onestà dei consociati.

A conclusioni analoghe è giunta la giurisprudenza di legittimità maggioritaria che di seguito si esaminerà.

Sul punto è opportuno evidenziare anzitutto quanto segue: considerato che costituisce primo ed elementare accorgimento volto alla protezione dei propri beni quello dalla collocazione degli stessi in un luogo privato anziché in luogo pubblico, un iniziale punto fermo raggiunto sul tema dalla giurisprudenza di legittimità è stato quello dell’irrilevanza della natura pubblica o privata del luogo in cui il bene si trova al momento della commissione del reato per la configurabilità dell’aggravante in parola[3].

Secondo la ricostruzione della Suprema Corte, posto che, per quanto già evidenziato nel paragrafo precedente, l’aggravante di cui si tratta mira a concedere una tutela maggiore a quei beni la cui unica protezione consiste nel senso di rispetto da parte dei terzi, anche laddove le cose oggetto di furto o danneggiamento siano situate in luoghi privati ciò non vale di per sè ad escludere che le stesse siano prive di qualsivoglia protezione rispetto alle eventuali aggressioni degli estranei. Ed, infatti, laddove tali luoghi siano liberamente accessibili è evidente il fatto che le cose di cui si discute restano esposte, prive di qualsivoglia difesa, agli eventuali atti delittuosi posti in essere dai terzi.

Tanto è stato ad esempio affermato dalla giurisprudenza di legittimità in un caso di furto di un carnet di assegni lasciato in un ufficio privato, in relazione al quale la Cassazione ha stabilito che: “…la ratio dell’aggravamento della pena, previsto dall’art. 625 n. 7, terza ipotesi, cod. pen., non è correlata alla natura – pubblica o privata – del luogo ove si trova la “cosa”, ma alla condizione di esposizione di essa alla “pubblica fede”, trovando così protezione solo nel senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato. Ne consegue che tale condizione può sussistere anche se la cosa si trovi in luogo privato cui, per mancanza di recinzioni o sorveglianza, si possa liberamente accedere[4].

Stabilito, dunque, che la collocazione in luogo privato dei beni non vale ad escludere la configurabilità dell’aggravante in oggetto, resta la questione relativa al caso in cui il proprietario adotti altri accorgimenti volti alla protezione di tali beni.

Due gli orientamenti della giurisprudenza di legittimità che si sono contrapposti sul punto.

In base alla ricostruzione effettuata dall’orientamento rimasto minoritario, fermo il pacifico presupposto secondo il quale l’aggravante sussiste in tutti i casi in cui i beni oggetto di danneggiamento o furto siano sottratti alla custodia diretta e continua del proprietario, nel caso in cui tali beni siano provvisti di congegni capaci comunque di assicurarne una sorveglianza assidua e continuativa da parte del soggetto al quale appartengono (o di soggetti da quest’ultimo incaricati) – come ad esempio nel caso di sistema di antifurto satellitare installato su di un’autovettura –  l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede non può dirsi integrata[5].

Tanto in considerazione del fatto che, sempre a mente di tale orientamento, la tutela dei beni aggrediti, in un caso del genere, non può considerarsi in tutto o in parte lasciata all’altrui rispetto, ma è intensificata dai sistemi di difesa predisposti dal proprietario. Quest’ultimo, dunque, nel lasciare il suddetto bene in un luogo pubblico (o comunque liberamente accessibile), non pone affidamento sull’onestà dei consociati per ciò che attiene l’intangibilità dello stesso, bensì si affida al sistema di sorveglianza costante che ha egli stesso predisposto.

A conclusioni del tutto opposte, anche con riferimento alla medesima fattispecie concreta del reato compiuto su di un’autovettura dotata di sistema di antifurto satellitare[6], è giunta la giurisprudenza maggioritaria.

Secondo quest’ultima ciò che conta ai fini della configurabilità dell’aggravante dell’esposizione a pubblica fede non è tanto l’esistenza o meno della possibilità per il proprietario di sorvegliare in modo diretto e costante il bene, quanto la sussistenza della possibilità per quest’ultimo di impedire in modo efficace la commissione di atti di aggressione diretti al bene stesso.

Ogni qual volta il bene si trovi in una situazione nella quale il proprietario non può in alcun modo impedire atti di furto o danneggiamento prima che gli stessi siano commessi l’aggravante potrà dirsi, dunque, integrata, indipendentemente dal fatto che detto proprietario abbia predisposto sistemi che permettano l’individuazione e il riconoscimento del colpevole o, in caso di furto, il recupero successivo della cosa trafugata[7].

Tanto è stato affermato con chiarezza dalla pronuncia della Corte di Cassazione sent. n. 10584/2014, a mente della quale: “…non una qualsiasi sorveglianza esclude l’esposizione del bene alla pubblica fede; ma una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione dell’oggetto”.

Applicando tale ricostruzione alla fattispecie del reato commesso su di un’autovettura dotata di sistema di antifurto satellitare, di cui sopra, è stato del pari affermato che: “Sussiste l’aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. – sub specie di esposizione della cosa per necessità o per destinazione alla pubblica fede – nel caso in cui il soggetto attivo si impossessi di un’autovettura dotata di antifurto satellitare, il quale, pur attuando la costante percepibilità della localizzazione del veicolo, non ne impedisce la sottrazione ed il conseguente impossessamento, consentendo solo di porre rimedio all’azione delittuosa con il successivo recupero del bene”[8].

A ben vedere, l’orientamento di cui si è appena dato conto, se messo in relazione con le pronunce della giurisprudenza di legittimità costante che hanno individuato la ratio della maggior protezione riservata alla cose esposte a pubblica fede “…nel fatto che esse sono prive della custodia da parte del proprietario…” (di cui si è già dato conto nel paragrafo n. 2), sembra declinare il termine “custodia”, utilizzato da quest’ultima giurisprudenza, non nel senso di mera sorveglianza da parte del proprietario, bensì nel senso di effettivo potere di quest’ultimo di impedire le azioni delittuose dei terzi.

Tale orientamento giurisprudenziale sembra preferibile sol se si consideri che l’integrità e l’inviolabilità dei beni collocati in luoghi liberamente accessibili ai terzi – pubblici o privati che siano – pur se dotati dei più moderni sistemi di controllo o d’allarme, rimane affidata esclusivamente al senso del rispetto della proprietà altrui dei consociati e può, quindi, ben dirsi che tali cose sono esposte alla pubblica fede. La predisposizione dei sistemi di sorveglianza di cui si discute, infatti, assume una qualche rilevanza solo in un tempo (in alcuni casi immediatamente) successivo rispetto al momento di consumazione dei reati di danneggiamento o di furto, e ,dunque, in un momento nel quale il bene giuridico della inviolabilità del patrimonio, tutelato dalla norma incriminatrice, è già stato leso.

È però opportuno evidenziare che dalle pronunce che hanno formato l’orientamento maggioritario in parola emerge che la predisposizione di sistemi di sorveglianza a protezione del bene collocato in luogo liberamente accessibile non è del tutto irrilevante ai fini della decisione circa la configurabilità dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede.

Ed infatti, stabilito che a mente dell’orientamento in esame non è idonea a far venir meno la sussistenza dell’aggravante in oggetto “…una sorveglianza generica…o una sorveglianza che, per sua natura, è necessariamente saltuaria ed eventuale…”[9], ne deriva per logica conseguenza che laddove tale sorveglianza sia specifica, continuativa e non solo eventuale potrà ritenersi escluso che il bene sia esposto alla pubblica fede.

In presenza di sistemi o di personale che garantiscano un qualche tipo di sorveglianza dei beni, dunque, il Giudice sarà chiamato, al fine di decidere in merito alla sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla fede pubblica, a valutare l’efficacia di tale sorveglianza e la sua effettiva idoneità ad ostacolare la commissione di condotte delittuose sulle cose sorvegliate e a sottrarre, quindi, le stesse all’esclusiva protezione derivante dall’onestà dei consociati.

Seguendo la ricostruzione in parola è stata ritenuta sussistente l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, ad esempio,  nelle ipotesi di: furto di un motociclo situato in un luogo dotato di sistema di videosorveglianza[10]; reato commesso su di una bicicletta situata sulla pubblica via dotata di congegni antifurto di sicurezza[11]; furto di oggetti custoditi in cantieri edili dotati di una cintura di protezione[12]; furto di beni contenuti in un armadietto chiuso con lucchetto[13];  furto di modulistica per il compimento di operazioni bancarie all’interno di un locale videosorvegliato[14].

Risulta tuttora al centro di contrasti giurisprudenziali la configurabilità dell’aggravante in parola nella fattispecie di furto di beni asportati dai banchi di un supermercato dotati di dispositivo antitaccheggiamento[15].

4. APPLICAZIONE RECENTE DELL’ORIENTAMENTO MAGGIORITARIO: CASS. N. 51622/2017 DEPOSITATA IL 13 NOVEMBRE 2017

Un esempio di applicazione dell’orientamento maggioritario in tema di configurabilità dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in relazione ad una condotta di danneggiamento è ravvisabile nella recentissima pronuncia della Sez. V della Suprema Corte n. 51622/2017, depositata in data 13 novembre 2017.

Nell’impianto motivazionale della predetta sentenza la Corte di Cassazione, dopo aver richiamato e condiviso i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità precedente in tema di esposizione a pubblica fede (di cui si è già dato conto), prevalentemente enunciati in relazione al reato di furto, applica gli stessi ad una fattispecie di danneggiamento di un bene in riferimento al quale erano stati predisposti vari dispositivi di sorveglianza e controllo da parte del proprietario.

La fattispecie concreta riguardava, in particolare, il caso di un soggetto condannato per il reato di danneggiamento aggravato dall’esposizione alla pubblica fede per avere colpito con un martello un’autovettura parcheggiata sulla pubblica via.

Con un unico motivo di ricorso per Cassazione il ricorrente denunciava la contraddittorietà della motivazione contenuta nella sentenza impugnata per avere la stessa ritenuto sussistente l’aggravante in parola in relazione al danneggiamento dell’autovettura parcheggiata sulla pubblica via, nonostante il proprietario avesse istallato sulla stessa un allarme sonoro ed avesse, inoltre, predisposto un sistema di videoripresa all’esterno della propria abitazione, il quale gli permetteva di controllare costantemente, direttamente e continuamente il suddetto veicolo.

La Suprema Corte ha ritenuto manifestamente infondato il motivo di appello proposto e, conseguentemente, inammissibile il ricorso, sulla base di una ricostruzione della fattispecie del danneggiamento aggravato dall’esposizione del bene aggredito alla pubblica fede in parte sovrapponibile a quella descritta nei paragrafi precedenti.

I Giudici della Sez. V hanno anzitutto confermato che costituisce circostanza irrilevante, ai fini dell’integrazione dell’aggravante in parola, quella relativa alla natura pubblica o privata del luogo in cui è situata la cosa oggetto di danneggiamento al momento del fatto, rilevando al riguardo esclusivamente che la stessa trovi “…protezione solo nel senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato”.

Ciò detto la motivazione del provvedimento di cui si tratta passa ad esaminare la fattispecie specifica del reato commesso ai danni di veicoli lasciati incustoditi, richiamando i principi espressi sul tema dalla giurisprudenza maggioritaria, in base ai quali in fattispecie del genere non basta ad escludere l’aggravante dell’esposizione alla fede pubblica la sussistenza di un qualsiasi ostacolo frapposto all’aggressione dei beni da parte dei terzi, bensì occorre che tale ostacolo sia idoneo a non poter essere superato dal ladro/danneggiatore senza dare l’allarme, posto che solo in un caso simile può ritenersi che la custodia da parte del proprietario non sia omessa.

Rileva, quindi, la Suprema Corte che sulla scorta di tali considerazioni è stata ritenuta sussistente l’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede sia nelle ipotesi di presenza di un congegno antifurto posto a presidio della cosa oggetto di reato, sia nelle ipotesi di presenza di un sistema di videosorveglianza, essendo tali congegni idonei al più di “…facilitare una reazione contro il furto o il danneggiamento del bene esposto alla pubblica fede o l’individuazione del colpevole…” e non essendo invece gli stessi idonei ad eliminare “…quell’affidamento alla protezione assicurata dal senso di rispetto per l’altrui bene da parte di ciascun consociato, che è a fondamento della previsione normativa, sì da giustificare l’aggravamento della pena e nella fattispecie la persistente rilevanza penale della condotta”.

Facendo dunque applicazione dei principi di diritto espressi dalla giurisprudenza maggioritaria in riferimento all’aggravante di cui all’art. 625 c.p., comma 2, n. 7, in tema di furto, ed operando una sintesi dei propri precedenti che hanno ritenuto sussistente l’aggravante in parola sia nel caso di furto compiuto in relazione ad un autovettura dotata di sistema antifurto, che nel caso di furto di beni situati in aeree video-sorvegliate, la Suprema Corte conclude statuendo che la presenza simultanea di un sistema antifurto e di un sistema di videosorveglianza predisposti a protezione dell’autovettura collocata sulla pubblica via da parte del soggetto cui appartiene non determina il venir meno dell’affidamento del proprietario sul senso di rispetto collettivo dell’altrui bene e quindi non vale ad escludere la configurabilità dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede in caso di danneggiamento.


[1] Sul punto cfr Cass. n. 20635/2016.

[2] Ex multis Cass. n. 360/1978, Cass. n. 133/1986 e Corte d’Appello Roma sent. n. 3549/2016

[3] Ex multis Cass. n. 41375/2008; Cass. n. 21825/2009; Cass. n. 14022/2014.

[4] Cass. n. 9022/2006.

[5] Cass. n. 44157/2008.

[6] Cfr. Cass. n. 9224/2009.

[7] Cfr Cass. n. 35473/2010; Cass. n. 45172/2015; Cass. n. 2724/2016.

[8] Cass. n. 9394/2014.

[9] Cfr. Cass. n. 12601/1995.

[10] Cass. n. 6682/2008, nonché Cass. n. 45172/2015.

[11] Cass. n. 560/1957.

[12] Cass. n. 9463/1982.

[13] Cass. n. 8331/2016.

[14] Trib. Bari, Sent. n. 132/2011.

[15] Nel senso della configurabilità, in un caso del genere, dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, vedi Cass. n. 49640/2009; in senso contrario vedi Cass. n. 387/2009.


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