Danni riflessi: anche ai congiunti spetta il risarcimento

Danni riflessi: anche ai congiunti spetta il risarcimento

Per lungo tempo si è registrato, nella giurisprudenza, un atteggiamento di totale chiusura nei confronti delle pretese avanzate dai prossimi congiunti di vittima di lesione personale non mortale di vedersi accordato un risarcimento del danno non patrimoniale (sub specie di dolore intimo e spirituale), laddove, invece, era pacifico un tale risarcimento in caso di decesso della vittima, essendo la posizione giuridica soggettiva dei prossimi congiunti soppressa in via definitiva e dunque meritevole di considerazione in sede aquiliana.

Tale indirizzo (cfr. soprattutto Cassazione n. 6854/1988 del 16.12.1988, nonostante un incipiente atteggiamento di apertura di alcuni giudici di merito) era motivato da un’interpretazione rigida dell’art. 1223 c.c., che, come noto, prescrive la risarcibilità del solo danno diretto ed immediato. Dunque, il risarcimento del danno non patrimoniale spetterebbe soltanto a chi ha direttamente e immediatamente subito la sofferenza, cioè al soggetto leso, non potendosi considerare tali i propri familiari, pur soffrendo per le sofferenze del congiunto. La Corte non nega che sul piano pratico la sofferenza della persona lesa possa provocare anche la sofferenza dei prossimi congiunti, ma ritiene che, sul piano strettamente giuridico, si debbano considerare attentamente quali siano i soggetti aventi diritto alla liquidazione della pecunia doloris. Questi, stante il richiamo operato dall’art. 1223 c.c. al solo danno diretto ed immediato, non può che essere colui che ha direttamente ed immediatamente subito la sofferenza, ossia il soggetto leso.

Emerge qui in tutta la sua chiarezza un’idea sostanzialmente materialistica del dolore, sola ad esser ritenuta idonea di venir considerata sotto l’aspetto giuridico, lasciando fuori tutto ciò che, in qualche modo, incide sull’io spirituale, o metafisico, del soggetto.

Il riconoscimento della risarcibilità della sofferenza dei prossimi congiunti giunse nel momento in cui si riconobbe il valore costituzionale (ma sancito anche dalla CEDU) della famiglia. La giurisprudenza (sulla scorta della dottrina francese), coniò la definizione, altamente evocativa, di danni riflessi, o di rimbalzo.

Il revirement della Suprema Corte spostò l’attenzione dalla categoria concettuale della “causalità giuridica” (art. 1223 c.c.) alla rilevanza della titolarità di una situazione giuridica qualificante di tipo relazionale da parte del richiedente.

In particolare, le Sezioni Unite (Cassazione SS.UU. n. 9556/2002 del 01.07.2002), hanno affermato che “sembra doversi riconoscere che la nozione dei c.d. danni riflessi o mediati non evidenzia una differenza sostanziale e/o eziologica con i danni diretti, ma sta ad indicare la propagazione delle conseguenze dell’illecito (consistente in un danno alla persona) alle c.d. vittime secondarie, cioè ai soggetti collegati da un legame significativo con il soggetto danneggiato in via primaria”.

Le Sezioni Unite, dunque, escludono che sussistano eziologie diverse, poiché anche la vittima ulteriore (il congiunto) è lesa in via diretta, ma in un diverso interesse di natura personale. Esse formulano, pertanto, il seguente principio di diritto:

“Ai prossimi congiunti di persona che abbia subito, a seguito di un fatto illecito costituente reato, lesioni personali, spetta anche il risarcimento del danno concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima, non essendo ostativo il disposto dell’art. 1223 c.c., in quanto anche tale danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso, con conseguente legittimazione del congiunto ad agire ‘iure proprio’ contro il responsabile”.

Come sottolineato da autorevole dottrina, per le Sezioni Unite, la formula “danni riflessi” è idonea a fondare il collegamento tra i danni subiti dal soggetto leso e dai congiunti non in termini di causalità, ma in termini di interesse leso e, quindi, di ingiustizia del danno (il carattere della ingiustizia sancito dall’art. 2043 c.c.), consistente nella lesione di un rapporto familiare “vittime primarie” – “vittime secondarie”, dato il carattere plurioffensivo dell’illecito, senza il rischio di una duplicazione abusiva del risarcimento dello stesso pregiudizio.

Tale autorevole dottrina continua spiegando che la valutazione compiuta dai giudici consiste nel riempire di contenuto la clausola generale della “ingiustizia” del danno, la quale rappresenta la dimensione oggettiva della loro posizione soggettiva violata, in modo da fondare così la legittimazione ad agire in astratto di questi soggetti-vittime secondarie. Proprio l’ingiustizia del danno, infatti, consente al nostro ordinamento di fornire sempre adeguata copertura giuridica al comune sentire, in modo da mantenere costante nel tempo la sua validità assiologica e di fornire allo stesso modo adeguato vestimento giuridico alle ragioni della giustizia sostanziale. In altre parole, l’ingiustizia del danno è la bussola o il paradigma rispetto al quale individuare il bene giuridico (soprattutto di rango costituzionale) di volta in volta tutelato e la cui lesione dà diritto ad adeguato ristoro. Nel caso di specie si tratta dell’interesse alla conservazione e non alterazione del rapporto familiare come esistente prima del fatto illecito del terzo. Tale danno da “lesione del rapporto familiare” è fondato direttamente sull’art. 29 Cost., esplicitamente richiamato dall’art. 2059 c.c.

Tale vulnus della famiglia, tuttavia, ha un rapporto di diretta dipendenza dal vulnus alla salute del leso primario, in quanto il danno ai congiunti può essere apprezzato sotto il profilo dell’ingiustizia con riguardo al danno subito dal leso. Si può dire, pertanto, che, secondo l’id quod plerumque accidit, tra le due lesioni esiste un rapporto di corrispondenza biunivoca, in quanto, appunto, strettamente correlate. La conseguenza è che il quantum risarcibile ha come parametro di riferimento non solo il coniugio o (come nel caso di specie) il grado di parentela (al coniugio e al grado di parentela più stretto corrispondono somme risarcibili più alte), ma anche il grado di invalidità del soggetto leso come vittima primaria, poiché all’aumento del grado d’invalidità corrisponde un aumento delle somme risarcibili a favore dei congiunti.


Bibliografia:

ARRIGO T.: Il risarcimento del danno da uccisione e da lesioni personali, CEDAM 2012


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