Danno da lesione dell’affidamento riposto nel provvedimento favorevole poi annullato: la rimessione all’Adunanza Plenaria

Danno da lesione dell’affidamento riposto nel provvedimento favorevole poi annullato: la rimessione all’Adunanza Plenaria

Sommario: 1. Premessa – 2. La rimessione all’Adunanza Plenaria – 2.1 La questione di giurisdizione – 2.2 La questione di merito – 3. Conclusioni

 

1. Premessa

Nel vigente quadro normativo assume importanza pregnante il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede, quale corollario del più ampio dovere di solidarietà sociale ex art 2 Cost. Come è stato più volte affermato sia dalla dottrina[1] che dalla giurisprudenza[2], non ci sono dubbi circa l’applicabilità del principio di buona fede anche nel diritto amministrativo, proprio alla luce del collegamento con il dovere inderogabile di solidarietà sociale tutelato dall’art. 2 Cost.

Anzi, il generale dovere di solidarietà che grava su tutti i consociati, si intensifica fino a trasformarsi in un vero e proprio dovere di correttezza e protezione quando fra i consociati si instaurano relazioni giuridicamente o socialmente qualificate. Uno degli elementi che contribuisce a considerare la relazione come “qualificata” è spesso lo status professionale o pubblicistico del protagonista della vicenda, da cui ci si attende un maggiore impegno in termini di correttezza e protezione.

Il dovere di correttezza, come la giurisprudenza civile ha spesso affermato, è, nella maggior parte dei casi, strumentale alla tutela della libertà di autodeterminazione negoziale, cioè il diritto di compiere liberamente le proprie scelte negoziali, senza subire ingerenze derivanti dalle condotte di terzi connotate da slealtà e scorrettezza. Nella moderna lettura costituzionalmente orientata, il dovere di correttezza ha una funzione più ampia rispetto a quella concepita dal codice civile del 1942, e non mira a tutelare esclusivamente la conclusione del contratto. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, infatti, il danno risarcibile sarebbe commisurato non alle utilità che sarebbero derivate dal contratto, ma dal c.d. interesse negativo (cioè le spese a vuoto sostenute e il tempo e le occasioni perdute).

Il dovere di correttezza e buona fede, dunque, ha trovato riscontro anche nello svolgimento dell’attività autoritativa dell’amministrazione, che è tenuta a rispettare non soltanto le norme di diritto pubblico – la cui violazione implica l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità per lesione dell’interesse legittimo – ma anche le norme generali del diritto civile che impongono di agire con correttezza e buona fede. La violazione di queste ultime norme non dà vita ad invalidità provvedimentale, ma può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto che incide sul diritto di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali.

Da qui la possibilità che sussista una responsabilità della P.a. nonostante la legittimità del provvedimento amministrativo che conclude il procedimento. In tale ottica si deve leggere il recente orientamento giurisprudenziale con cui le Sezioni Unite hanno ammesso, ad esempio, la configurabilità (anche al di fuori dell’ambito di procedimenti volti alla conclusione di un contratto) di una responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento favorevole poi annullato in via giurisdizionale o per autotutela[3]; il danno di cui chiede il risarcimento è, in questi casi, rappresentato dalle spese sostenute per aver fatto affidamento sull’esistenza di un provvedimento e, a titolo di lucro cessante, della perdita della c.d. chance contrattuale alternativa.

2. La rimessione all’Adunanza Plenaria

Il tema del danno da lesione dell’affidamento riposto dal privato sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati, è stato oggetto di una recente rimessione all’Adunanza Plenaria, da parte del Consiglio di Stato, Sez. II, con ordinanza del 9 marzo 2021, n. 2013.

La questione trae origine dall’annullamento, ad opera del giudice amministrativo, di una concessione edilizia rilasciata dal Comune di Pescara a favore di una società.

In particolare, nell’ordinanza di rimessione, il Consiglio di Stato chiede all’Adunanza Plenaria di risolvere, fra gli altri, i seguenti quesiti: i) se sussista la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere una domanda del privato diretta ad ottenere la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento amministrativo ‒ emanato dalla medesima amministrazione ‒ favorevole all’interessato e, in particolare, di un titolo edilizio esplicito o implicito; ii) se l’interessato ‒ a prescindere dalle valutazioni circa la sussistenza in concreto della colpa del pubblica amministrazione, del danno in capo al privato e del nesso causale tra l’annullamento e la lesione ‒ possa in astratto vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione; iii) in caso positivo, in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti può riconoscersi al privato un diritto al risarcimento per lesione dell’affidamento incolpevole.

2.1 La questione di giurisdizione

Relativamente alla questione di giurisdizione occorre sottolineare che il problema si pone solo nelle materie di giurisdizione esclusiva, perché in tutte le altre materie la giurisdizione spetta pacificamente al G.o. Infatti, come già sottolineato, nel caso di risarcimento per il danno causato dal provvedimento amministrativo favorevole poi annullato, il privato lamenta la lesione di un diritto soggettivo (la libertà di autodeterminazione negoziale). Ad esempio, nel caso di permesso di costruire illegittimo poi annullato, il privato non lamenta di non poter più costruire (interesse legittimo), ma si duole di aver confidato nella legittimità del provvedimento e di aver sostenuto spese inutili per edificare, rinunciando ad edificare altrove. Si duole, dunque, di essere stato leso nella sua libertà di autodeterminazione.

Nel rimettere la questione all’Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato rileva la sussistenza di un  contrasto giurisprudenziale all’interno del Consiglio di Stato.

Difatti, alcune sentenze[4] hanno aderito all’impostazione prospettata dalle Sezioni unite della Corte di cassazione secondo cui la domanda risarcitoria proposta nei confronti della pubblica amministrazione per i danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su un provvedimento ampliativo illegittimo rientra nella giurisdizione ordinaria (anche nelle materie rientranti nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo), poiché si tratterebbe di una lesione del diritto soggettivo all’affidamento incolpevole e l’esercizio del potere amministrativo non rileva in sé, ma per l’efficacia causale del danno-evento. Si tratterebbe, dunque, di un comportamento amministrativo mero e come tale non riconducibile alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Da diversi anni, difatti, la Corte di cassazione afferma che le controversie relative ai danni subiti dal privato che abbia fatto incolpevole affidamento su di un provvedimento amministrativo ampliativo della propria sfera giuridica, poi legittimamente annullato, rientrino nella giurisdizione del giudice ordinario perché ha ad oggetto la lesione, non già di un interesse legittimo pretensivo, bensì di un diritto soggettivo. Si tratta, in particolare, di quell’orientamento – inaugurato con le tre ordinanze gemelle del 2011 e confermato dalla recente sentenza 28 aprile 2020, n. 8236 delle Sezioni Unite – che sostiene che l’affidamento sia una situazione autonoma, tutelata in sè, e non nel suo collegamento con l’interesse pubblico, come affidamento incolpevole di natura civilistica. In questi casi, il danno prescinde da valutazioni sull’esercizio del potere pubblico, fondandosi su doveri di comportamento il cui contenuto non dipende dalla natura pubblicistica o prvatistica del soggetto responsabile.

Tuttavia, come viene rilevato nell’ordinanza di rimessione, altre pronunce del Consiglio di Stato[5] sostengono che, nelle materie di giurisdizione esclusiva, le domande relative al risarcimento del danno da lesione dell’affidamento riposto sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati, rientrerebbero nell’ambito della cognizione del giudice amministrativo[6].

Secondo l’ordinanza di rimessione la giurisdizione spetterebbe, in realtà, al giudice amministrativo poiché la posizione lesa dall’esercizio dei pubblici poteri e di cui si chiede il ristoro, non sarebbe causata dal mero comportamento amministrativo, ma da una «vera e propria attività amministrativa procedimentalizzata» cioè da un illegittimo esercizio del potere amministrativo, riconducibile come tale alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, lettera f) c.p.a.

Secondo il Collegio rimettente, non rileva sul piano causale la circostanza che il danno per il privato sia conseguenza dell’annullamento del provvedimento (piuttosto che della sua emanazione); in realtà, dal punto di vista eziologico, il pregiudizio sarebbe riconducibile direttamente al provvedimento amministrativo. Come si legge nell’ordinanza di rimessione, infatti, «un provvedimento amministrativo illegittimo e caducato da una pronuncia giurisdizionale, non può essere degradato a mero comportamento della pubblica amministrazione non collegato, neppure mediatamente, con l’esercizio del potere». Il comportamento, infatti, origina in un contesto procedimentale ed è strettamente legato all’esercizio del potere.

2.2 La questione di merito

Relativamente alla questione di merito – e cioè se l’interessato possa vantare un legittimo e qualificato affidamento sul provvedimento amministrativo annullato, idoneo a fondare un’azione risarcitoria nei confronti della pubblica amministrazione e in presenza di quali condizioni ed entro quali limiti può riconoscersi al privato un diritto al risarcimento – il T.a.r. ha ritenuto non fondata la domanda risarcitoria in mancanza di «ogni colpa anche lata dell’amministrazione comunale».

Il ricorrente aveva sostenuto la sussistenza di una colpa della P.a. poiché «il richiedente la concessione deve poter confidare che l’interpretazione della norma da parte della autorità preposta a tale compito non costituisca un inganno», e vi sarebbe un legittimo affidamento dell’istante in quanto «l’atto amministrativo è assistito dalla presunzione di legittimità».

Anche relativamente a questo aspetto il Collegio rimettente rileva la presenza di un contrasto giurisprudenziale.

In particolare, un primo indirizzo[7] ritiene che la sentenza di annullamento del provvedimento amministrativo illegittimo, accertando che al ricorrente non spetta il bene della vita sotteso all’interesse legittimo, accerta l’assenza di un danno ingiusto. Dunque, come specifica il Consiglio di Stato, «nel caso di annullamento in sede giurisdizionale di un titolo abilitativo (…) non può (…) dolersi del danno chi ‒ per una qualsiasi evenienza e con un provvedimento espresso, ovvero a seguito di un silenzio assenso o una s.c.i.a. ‒ abbia ottenuto un titolo abilitativo presentando un progetto oggettivamente non assentibile: in tal caso il richiedente sotto il profilo soggettivo ha manifestato quanto meno una propria colpa (nel presentare il progetto assentibile solo contra legem) e sotto il profilo oggettivo attiva con efficacia determinante il meccanismo causale idoneo alla verificazione del danno».

A fronte di un orientamento che sostiene tale interpretazione, si registra un’altra corrente giurisprudenziale[8] favorevole al riconoscimento della risarcibilità della lesione dell’affidamento del privato verso un provvedimento illegittimo annullato «seppur in presenza di stringenti limiti in tema di prova della colpa dell’amministrazione, del danno subito dall’istante e del nesso di causalità tra l’annullamento e il predetto danno».

Il Collegio, nell’ordinanza di rimessione, sostiene che l’affidamento non sia un diritto soggettivo, come, invece, autorevolmente sostenuto da parte della giurisprudenza, bensì una «situazione giuridica soggettiva dai tratti peculiari propri, idonea a fondare una particolare responsabilità, che si colloca tra il contratto e il torto civile». E, affinché tale situazione giuridica soggettiva possa considerarsi giuridicamente tutelabile, occorre, da un lato, una condotta della pubblica amministrazione connotata da mala fede o da colpa in grado di far sorgere nell’interessato, in totale buona fede, un’aspettativa al conseguimento di un bene della vita; dall’altro, che la fiducia riposta dal privato in un esito del procedimento a lui favorevole sia ragionevole e non colposamente assunta come fondata.

Dunque, ai fini della sussistenza dell’affidamento, il privato che ha interloquito con la pubblica amministrazione non deve averla condotta dolosamente o colposamente in errore e deve essere titolare di una aspettativa qualificata alla luce del quadro normativo applicabile al caso concreto.

Infine, secondo il collegio bisogna distinguere l’annullamento del provvedimento in autotutela e in via giurisdizionale. A fronte del medesimo petitum risarcitorio, sarebbero diverse le causae petendi.

Nel caso di annullamento in autotutela, l’eventuale affidamento del privato verrebbe pregiudicato da un condotta dell’amministrazione stessa, che modifica unilateralmente l’assetto d’interessi precedentemente delineato nell’esercizio del suo potere pubblicistico.

Nel caso di annullamento in sede giurisdizionale, invece, il potenziale affidamento verrebbe leso da un provvedimento promanante dal potere giurisdizionale, nei cui confronti il privato, proprio in virtù della natura terza del giudice, non potrebbe vantare alcuna aspettativa qualificata e risarcibile all’accoglimento delle proprie ragioni.

Secondo il Collegio, dunque, in quest’ultima ipotesi non potrà mai configurarsi una lesione dell’affidamento a cui è riconosciuta una tutela risarcitoria perché «anche qualora vi sia un atteggiamento del privato connotato da buona fede, l’eventuale aspettativa non sarebbe, in ogni caso, legittima, siccome basata su una pretesa non tutelata dall’ordinamento».

3. Conclusioni

La rimessione all’Adunanza Plenaria circa i profili di giurisdizione e di merito del danno da lesione dell’affidamento per un provvedimento amministrativo favorevole poi annullato, potrebbe portare ad esiti sorprendenti, soprattutto alla luce del consolidato orientamento delle Sezioni Unite (confermato con la recente sentenza n. 8236 del 2020) secondo cui la lesione dell’affidamento è un danno da comportamento e non da provvedimento. Si tratterebbe, secondo i giudici di legittimità, di un comportamento ritenuto tendenzialmente privo di ogni collegamento con l’esercizio del potere, come tale rientrante nella giurisdizione del g.o.: non vi sarebbe una controversia sul modo illegittimo in cui il potere è stato esercitato tramite il provvedimento ampliativo poi annullato, giacché l’annullamento giurisdzionale o in autotutela ha già accertato quel modo di essere del precedente esercizio del potere.

Tuttavia, è difficile negare che a causare la lesione dell’affidamento sia stato un comportamento che, per moltissimi aspetti, sia in astratto che in concreto, è riconducibile in via indiretta o mediata all’esercizio del potere. E non pare condivisibile l’assunto secondo cui il thema decidendum è costituito soltanto dall’esistenza di un affidamento meritevole di tutela risarcitoria, come accadrebbe nell’ambito di una controversia fra privati. Quando la lesione dell’affidamento deriva dal provvedimento amministrativo, invero, si tratta di verificare se la p.a., nell’esercizio del potere, si sia comportata correttamente e se la condotta complessivamente tenuta nell’ambito del procedimento sia connotata da profili di colpa.

In relazione alle questioni di merito, nell’attesa che si pronunci l’Adunanza Plenaria, si possono fare alcune riflessioni.

Innanzitutto, in caso di provvedimento favorevole illegittimo, si tratta di stabilire se l’affidamento del privato possa dirsi incolpevole. Tuttavia, se si considera che il provvedimento è illegittimo perché viola una norma imperativa, è difficile ritenere che il privato sia in buona fede perché ignora che la norma imperativa è stata violata. Nell’interpretazione dell’art. 1338 c.c. la giurisprudenza esclude che possa dirsi incolpevole un affidamento che deriva dalla mancata conoscenza di norme imperative.

Infine, la distinzione fra annullamento giurisdizionale e annullamento in autotutela non sembrerebbe particolarmente significativo. È vero che nel secondo caso è la stessa Amministrazione a rimuovere il provvedimento e a modificare unilateralmente l’assetto degli interessi, ma occorre sottolineare che il privato non lamenta l’annullamento in quanto tale, che anzi invoca come presupposto della sua pretesa.

Il privato, infatti, si duole dell’affidamento ingenerato dal rilascio del provvedimento e contesta alla Pa di essere stata “disattenta” e “scorretta” nel rilasciare un provvedimento favorevole illegittimo, così generando un affidamento destinato poi ad essere tradito dal (legittimo) annullamento, sia esso giurisdizionale o in autotutela.

Occorrerà, dunque, attendere la pronuncia dell’Adunanza Plenaria per la definizione dei profili di giurisdizione e di merito del danno da lesione dell’affidamento sulla legittimità dei provvedimenti successivamente annullati.

 

 

 


[1] Neri V., “La tutela dell’affidamento spetta sempre alla giurisdizione del giudice ordinario?“, in Urbanistica e Appalti, 2020, fascicolo 6, p. 724 e segg.
[2]Cass. Civ., SS.UU., 15 novembre 2007, n. 23726: «viene in rilievo l’ormai acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce all’un tempo forza normativa e ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della persona e delle cose della controparte, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale».
[3] Cfr. Cass. Civ., SSUU, ordinanze gemelle 23 maggio 2011, nn. 6594, 6595, 6596; Cass. Civ. SSUU, 22 gennaio 2015 n. 1162; Cass. Civ., SSUU, 4 settembre 2015 n. 17586.
[4] cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 27 settembre 2016, n. 3997; Consiglio di Stato, sezione IV, sentenze 25 gennaio 2017, n. 293, e 20 dicembre 2017, n. 5980; Consiglio di Stato, sezione VI, 13 agosto 2020, n. 5011
[5]Cfr. Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 23 febbraio 2015, n. 857; T.a.r. Abruzzo, Pescara, sentenza 20 giugno 2012, n. 312)
[6] In tal senso si sono peraltro espresse le sezioni unite della Corte di cassazione con le ordinanze 21 aprile 2016, n. 8057 e 29 maggio 2017, n. 13454 per l’ipotesi di annullamento di autotutela di provvedimento di affidamento di sevizio pubblico.
[7] Consiglio di Stato, sezione V, sentenza 17 gennaio 2014, n. 183; .Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 29 ottobre 2014, n. 5346.
[8] Cfr. Consiglio di Stato, sezione IV, sentenza 20 dicembre 2017, n. 5980; T.a.r. Campania, Napoli, sezione VIII, sentenza 3 ottobre 2012, n. 4017, dove si riconduce la tematica de qua alla responsabilità precontrattuale).

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