Decreto Minniti, sfruttamento di minori stranieri, flussi migratori e connessioni con la criminalità: un’analisi di sintesi

Decreto Minniti, sfruttamento di minori stranieri, flussi migratori e connessioni con la criminalità: un’analisi di sintesi

Premesse di sintesi e disamina in breve del c.d. Decreto Minniti.

È da poco in vigore la Legge di conversione del decreto Minniti in tema di protezione internazionale e di contrasto dell’immigrazione illegale (“Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché misure per il contrasto dell’immigrazione illegale”), con approvazione da parte della Camera dei Deputati con un voto di fiducia (240 voti a favore, 176 voti contrari e 12 astenuti).

Difatti, sulla Gazzetta Ufficiale n. 90 del 18 aprile 2017 è stata pubblicata la Legge 13 aprile 2017, n. 46, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale.

A tal proposito è utile comprenderne le principali modifiche al testo del decreto-legge introdotte in sede di conversione parlamentare:

  • diventano 26 le nuove sezioni di tribunale specializzate in materia di immigrazione e protezione internazionale, aventi sede presso i capoluoghi di Corte d’Appello; nel decreto-legge le sezioni specializzate erano invece 14;

  • tra le controversie attribuite alla competenza delle sezioni specializzate è aggiunta anche l’impugnazione dei provvedimenti delle commissioni territoriali preposte all’esame delle domande di protezione internazionale;

  • è stata prevista una specifica disciplina per i giudizi di impugnazione delle decisioni di trasferimento adottate dalle le commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale:

  1. in riferimento, invece, al ricorso; esso è ammesso entro 30 giorni dalla notifica, ed il giudizio si svolge in camera di consiglio nelle forme del procedimento di volontaria giurisdizione.

  2. il procedimento si conclude con decreto non reclamabile, entro 60 giorni dalla presentazione del ricorso. Il decreto può essere impugnato solo con ricorso per cassazione entro 30 giorni.

  • Sono state semplificate le disposizioni riguardanti le notifiche degli atti ai richiedenti asilo da parte delle commissioni territoriali:

  1. se il richiedente non è accolto o trattenuto presso i centri di accoglienza, le notificazioni di atti del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale sono effettuate presso l’ultimo domicilio comunicato dal richiedente;

  2. se la consegna di copia dell’atto al richiedente da parte del responsabile del centro è impossibile per irreperibilità del richiedente o inidoneità del domicilio dichiarato o comunicato, l’atto è depositato in Questura, e la notifica si intende perfezionata decorsi 20 giorni.

  • E’ stata prevista la possibilità che il richiedente asilo si opponga, con “istanza motivata”, alla videoregistrazione del colloquio personale presso le commissioni territoriali; sull’istanza decide la commissione territoriale con provvedimento non impugnabile.

  • Controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale: il procedimento si svolge di regola in camera di consiglio; in sede di conversione sono state aggiunte una serie di ipotesi nelle quali è prevista l’udienza con la comparizione personale delle parti.

  • Accertamento dello stato di cittadinanza: alle controversie in questa materia si applica il rito sommario di cognizione, già previsto dal decreto-legge per le controversie relative allo stato di apolidia.

  • Iscrizione anagrafica del richiedente protezione internazionale: sono regolate le modalità di iscrizione e di cancellazione dei richiedenti dall’anagrafe della popolazione residente.

  • Sospensione di adempimenti e versamenti tributari nell’isola di Lampedusa: è prevista la proroga degli adempimenti e versamenti al 15 dicembre 2017 in considerazione dello stato di crisi nell’isola a causa dei flussi migratori e dei conseguenti adempimenti in materia di protezione umanitaria.

  • Minori non accompagnati: le nuove disposizioni non si applicano ai minori stranieri non accompagnati, per i quali valgono le norme del disegno di legge approvato in via definitiva lo scorso 29 marzo, di prossima pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

  • Potenziamento della rete diplomatica e consolare nel continente africano: in sede di conversione è stato previsto un incremento di unità del contingente e un consistente aumento degli stanziamenti per i prossimi anni; sono stati inoltre disposti stanziamenti ad hoc per l’invio di personale dell’Arma dei Carabinieri in Africa, allo scopo di rafforzare la sicurezza dei cittadini e degli interessi italiani all’estero.

Le nuove disposizioni in tema di immigrazione vedono, tra le altre novità, la trasformazione dei Cie in Cpr e la soppressione del secondo grado di giudizio per i richiedenti asilo. Il mondo sociale però non ci sta: lanciata una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che porti a una riforma del Testo unico sull’immigrazione

Specificatamente, il piano prevede inoltre un allargamento della rete dei centri per il rimpatrio, gli attuali Cie si chiameranno Cpr (Centri permanenti per il rimpatrio). Si passerà da quattro a venti centri, uno in ogni regione, per un totale di 1.600 posti. Di fronte alle preoccupazioni espresse da numerose organizzazioni impegnate per la difesa dei diritti umani, il ministro dell’interno Minniti ha assicurato che i nuovi centri saranno piccoli, con una capienza di cento persone al massimo, sorgeranno lontano dalle città e vicino agli aeroporti e soprattutto saranno “tutt’altra cosa rispetto ai Cie”.

Il punto critico delle associazioni.

Arci, Acli, Fondazione Migrantes, Baobab, Asgi, Medici senza frontiere, Cgil, A buon diritto, Radicali italiani e Sinistra italiana hanno dato vita ad un sit-in contro la nuova legge.

Hanno affermato sulla tematica: «Noi abbiamo già un’esperienza dei Cie e abbiamo visto che ogni volta che ne è stata estesa la capienza si sono moltiplicate le violazioni dei diritti umani», ha sottolineato Patrizio Gonnella presidente dell’Associazione Antigone.«Possibile che non riusciamo a immaginare nessun altro metodo per le persone che sono in attesa di un’espulsione?», chiede Gonnella. «Se il problema è aumentare i rimpatri, non potremmo pensare di estendere i programmi di rimpatrio volontario?».

Dello stesso parere anche Valentina Brinis dell’associazione “A buon diritto” che definisce il decreto Minniti «un balzo indietro di dieci anni». Le associazioni per la tutela dei diritti umani denunciano da anni l’inefficacia e la disumanità dei centri di detenzione per i migranti irregolari che sono «i peggiori centri che abbiamo in Italia», afferma Brinis. «Questi posti li visitiamo settimanalmente e vediamo quali sono le condizioni delle persone lì dentro: non possono portare nemmeno un libro, una penna, prendono psicofarmaci perché non riescono a dormire».

Alcune delle associazioni impegnate nell’assistenza di migranti come il Centro Astalli, l’Arci e l’Asgi hanno anche lanciato una raccolta firme per una legge di iniziativa popolare che porti a una riforma del Testo unico sull’immigrazione.

La situazione degli stranieri: analisi di sintesi nella Repubblica Italiana.

Oltre 5,9 milioni gli stranieri in Italia al primo gennaio 2016. Rispetto all’anno precedente, le presenze sono in crescita di 52mila unità (+0,9%). Ma ad aumentare sono soprattutto i “nuovi italiani”, ossia gli immigrati, stabili e integrati, che hanno preso la cittadinanza nel nostro Paese: nel 2015 sono arrivati a quota 178mila , contro i 130mila del 2014. L’aumento effettivo degli stranieri, dunque, è stato complessivamente di 230mila unità (l’anno scorso erano stati 283mila).

Sono alcuni dati riportati dalla Fondazione Ismu (Iniziative e studi sulla multietnicità) nel suo Rapporto annuale sulle migrazioni, presentato ieri a Milano. Una fotografia che, al di là dei numeri elaborati, mette in luce aspetti problematici e contraddizioni di questo fenomeno, cercando di intravedere possibili scenari futuri.

Gli italiani sovrastimano la presenza di immigrati e musulmani.

C’è innanzitutto il «divario», tra la «percezione» che hanno gli italiani della presenza di immigrati e quella che è «la loro presenza effettiva», come ha osservato il segretario generale della Fondazione Ismu, Vincenzo Cesareo.

Oggi, ad esempio, gli italiani pensano che gli immigrati «arrivino a rappresentare il 30% della popolazione italiana mentre, nella realtà, stiamo raggiungendo il 10%; che è certamente un salto notevole nel giro di pochi anni ma siamo appunto sotto il 10%». Inoltre, «per la percezione degli italiani i musulmani sono tantissimi, il 20% degli immigrati, mentre in realtà sono il 4%». «Questi due dati sono credo emblematici – ha detto il segretario Ismu – per dimostrare quanto si debba fare per creare e diffondere una conoscenza corretta del fenomeno migratorio sulla quale poi ognuno farà le analisi e le riflessioni che riterrà opportuno».

Minori non accompagnati giunti dall’estero, il 2016 è l’anno dei record.

Le cifre mettono in evidenza anche le gravi disparità di condizioni che affrontano oggi i minorenni giunti dall’estero. Da un lato ci sono i bambini che, grazie alle loro famiglie ormai radicate nel nostro Paese, diventano italiani, dall’altro c’è un numero crescente di minori che arrivano sulle nostre coste senza i genitori. I dati al 31 ottobre 2016 segnalano che i minori non accompagnati sbarcati dai gommoni sono quasi 24mila. Molti di più, dunque, rispetto agli arrivi del 2015 (12.360) e del 2014 (13.026).

Da una parte, «c’è una popolazione immigrata che è qui da diverso tempo, che ha già percorso tutte le diverse tappe di un percorso anche di integrazione e che sta arrivando alla cittadinanza italiana», mentre dall’altra «c’è chi comincia ora il proprio cammino», osserva Gian Carlo Blangiardo, professore di Demografia all’università Bicocca di Milano e responsabile Monitoraggio dell’immigrazione della Fondazione Ismu.

«Parlo soprattutto delle persone che sono appena arrivate e tra queste ci sono quasi 24mila minori non accompagnati, quando due anni fa erano circa 12mila. Questi bambini, questi ragazzini che vivono senza la loro famiglia, e quelli che grazie alla famiglia diventano italiani sono due mondi profondamente diversi sui quali conviene riflettere e che in qualche modo mettono in evidenza le contraddizioni del fenomeno migratorio nel XXI secolo».

Un quarto dei residenti extracomunitari è minorenne.

Del resto, tra la popolazione extracomunitaria regolare si registra una presenza cospicua di minorenni. Essi rappresentano un quarto (24%) dei non comunitari regolarmente soggiornanti in Italia (944mila). Tra i principali paesi di provenienza la più alta incidenza si registra tra i nordafricani (egiziani, marocchini e tunisini), con punte superiori al 30%.

Gli Stranieri fanno sempre meno figli.

I dati evidenziano anche il fatto che gli stranieri fanno sempre meno figli. Dagli 80mila bambini nati nel 2012 (massimo raggiunto) si è passati a 78mila nati nel 2013, ai 75mila nel 2014 fino ai 72mila nel 2015. Nonostante l’abbassamento della natalità, il contributo della popolazione straniera allo “svecchiamento” della popolazione resta comunque importante. D’altra parte gli immigrati infatti si stanno sempre più adattando al modello riproduttivo della società italiana. Basta ricordare che nel 2008 il valore medio della fecondità, tra le donne straniere, era stimato in 2,65 figli per donna, mentre nel 2015 è sceso a 1,93 nel 2015. La prevista “rivoluzione delle culle”, che qualcuno teorizzava, si è rivelata dunque una falsa aspettativa.

Definizione di clandestino.

Urge in tale situazione emergenziale che investe l’Europa comprendere se coloro che giungono sulle coste del meridione d’Europa possa considerarsi dei clandestini.

Secondo il Ministero degli Interni i clandestini sono «coloro che non solo sono privi di titoli di soggiorno validi, ma sono anche entrati clandestinamente sul territorio nazionale, eludendo la sorveglianza e i controlli che avvengono alle frontiere nazionali». Al contrario di quanto ci propone la propaganda politica e le leggende metropolitane, le persone che sbarcano a Lampedusa e sulle altre coste della nostra penisola non sono clandestini. Questo perché al termine del loro viaggio sono identificati, non eludono la sorveglianza e rivolgono al nostro Paese una richiesta di protezione internazionale per conseguire lo status di rifugiato.

Definizione di rifugiato.

Pertanto, è utile comprendere chi nello specifico possa ritenersi rifugiato; avendone cura della stessa definizione di rifugiato.

Secondo l’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, a cui l’Italia ha aderito, è «colui che, temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori dal paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo fondato timore, avvalersi della protezione di questo Paese». Ed è, questa, la condizione della stragrande maggioranza delle persone che arrivano ogni anno in Italia via mare, richiedenti asilo che, all’atto della loro richiesta, ricevono un valido titolo di soggiorno. Non “clandestini”, dunque.

Immigrazione e criminalità.

L’insieme delle connessioni che legano l’immigrazione al mondo della criminalità è un fenomeno complesso.

E’ opinione comune che la criminalità sia alimentata dall’immigrazione. In modo particolare, si ritiene che l’immigrazione provochi un aumento dei reati nel Paese di destinazione; che il forte aumento della criminalità, registrato in Italia nell’ultimo decennio, sia stato causato dagli immigrati; che oggi gli immigrati nel nostro Paese commettano alcuni reati più frequentemente degli italiani. Così l’evento criminoso che vede protagonista l’immigrato contribuisce a diffondere un senso di sfiducia nei confronti degli stranieri. Se possiamo considerare naturale che l’immigrazione determini sempre l’aumento dei reati nel Paese di destinazione, al pari di quanto avviene per il numero delle nascite, dei decessi, dei matrimoni, non è, invece, così pacifico che l’aumento della criminalità in Italia nell’ultimo decennio sia stato causato dall’intensificarsi dell’immigrazione.

L’eccezionale aumento della criminalità in Italia ha avuto luogo già dalla prima metà degli anni ’70, quando, cioè, i processi migratori erano agli inizi. E’ anche vero, però, che in quest’ultimo decennio la quota degli stranieri implicati in fatti delittuosi è continuamente cresciuta. Questo incremento, tuttavia, non si è avuto per tutte le tipologie di reati né per tutti i livelli a cui vengono svolte le attività illecite. Si tratta di quei reati per la cui commissione è richiesta una posizione qualificata all’interno del sistema di stratificazione sociale e che, pertanto, escludono gli immigrati che si trovano ancora ai gradini più bassi. Questa situazione, però, non deve far pensare che nel sistema criminale gli stranieri occupino solo le posizioni più basse, meno remunerative.

Se è vero che vi sono reati che continuano ad essere appannaggio della criminalità italiana, è anche vero che esistono delle zone di “comunicazione”, settori illeciti in cui si assiste ad un progressivo inserimento degli immigrati anche ai livelli superiori ed addirittura esclusivi della criminalità straniera.

D’altra parte, l’aumento del numero dei reati commessi dagli immigrati, è parallelo all’intensificarsi del fenomeno immigratorio.

Alcuni reati, infatti, hanno avuto andamenti ciclici, con fasi di forte espansione nei primi anni di immigrazione e successive contrazioni e riprese negli anni più recenti. Per intere classi di reato, del resto, si sono registrati aumenti notevoli anche tra gli stessi italiani. Occorre, poi, tener presente che la popolazione immigrata ha una composizione per sesso ed età diversa da quella italiana, nel senso che è più giovane ed ha una quota di maschi più elevata.

Questo elemento strutturale è di fondamentale importanza nell’analisi dei fenomeni criminali, in quanto il genere e l’età assumono un peso determinante nella propensione al crimine. L’idea di un rapporto diretto tra numero di immigrati presenti e reati commessi è indebolita dal fatto che non tutte le nazionalità sono egualmente coinvolte in queste attività criminali.

Vi sono infatti gruppi etnici numerosi che presentano indici di criminalità inferiori rispetto a quelli italiani, e comunità di immigrati che, pur non essendo tra le più numerose, presentano indici molto elevati. Non vi è dubbio, inoltre, che l’irregolarità crei le condizioni favorevoli al verificarsi di eventi criminosi, perché costituisce un limite all’inserimento nel circuito socio-economico legale.

Finché si continuerà ad affermare che la delinquenza straniera aumenta in rapporto diretto con l’immigrazione e che gli stranieri delinquono più dei nostri connazionali, si faranno delle generalizzazioni che non aiutano a capire veramente quali dinamiche sociali siano in atto e che certamente non aiutano ad individuare strategie per la risoluzione del problema.

Oggi, infatti, i fattori di spinta all’immigrazione e l’orientamento dei flussi si presentano fortemente condizionati dagli interessi criminali che hanno sfruttato i momenti di crisi della società civile ed hanno modificato, di fatto, i rapporti tra immigrazione e criminalità. Alcune ricerche sociologiche hanno individuato tre tipologie di criminalità in relazione al tipo di attività illegale.

Nella prima tipologia, troviamo le ipotesi di associazionismo criminale di matrice straniera, il cui numero e la cui complessità organizzativa sono in costante aumento.

L’ingresso dei cinesi, per esempio è stato favorito dall’esistenza di complesse organizzazioni dedite all’immigrazione clandestina, che gestiscono l’intero movimento migratorio illegale verso l’Europa.

La comunità cinese è venuta, così, occupando ampie porzioni di territorio, ove oggi vi sono veri e propri “quartieri cinesi”. E’ stato, inoltre, accertato che la criminalità associata cinese si avvale del traffico illegale di immigrati per introdurre in un determinato territorio persone consapevoli fin dall’inizio che, per pagare il viaggio, saranno costrette a commettere reati di ogni tipo per conto delle organizzazioni.

Un’altra minaccia proviene dalla criminalità albanese, la cui presenza è andata fortemente aumentando. Fra le principali attività illecite dei gruppi criminali albanesi vi sono lo sfruttamento della prostituzione giovanile, il traffico di armi e lo sfruttamento di manodopera minorile.

La seconda tipologia di criminalità connessa all’immigrazione riguarda l’affiliazione di immigrati clandestini da parte dei gruppi già organizzati ed operanti, per l’impiego in compiti di manovalanza delinquenziale (spaccio di stupefacenti, vendita al minuto di sigarette di contrabbando) e a fini di sfruttamento illecito (prostituzione, attività lavorative in nero, ecc).

Molti extracomunitari vengono in Italia per trovare lavoro e finiscono spesso per diventare manovalanza a basso costo delle organizzazioni criminali nello spaccio di droga, prendendo il posto che in precedenza era occupato dai tossicodipendenti italiani. In poco tempo gli immigrati hanno modificato la loro posizione nella gerarchia dello spaccio di droga: non vendono solo per conto di altri, ma comprano la droga in quantità maggiori, la suddividono, la confezionano in dose singole per poi venderla.

Infine, in un terzo gruppo, si possono includere tutte quelle manifestazioni delittuose, aventi caratteristiche di estemporaneità e senza stabili collegamenti con gruppi criminali, commesse da cittadini extracomunitari spesso per ragioni di sopravvivenza ed emarginazione sociale (es. furti, scippi, aggressione, ecc). Si tratta di un fenomeno sempre più diffuso, soprattutto nelle grandi aree urbane, che produce allarme ed insicurezza tra i cittadini e a cui occorre prestare molta attenzione, in quanto facilmente suscettibile di degenerazioni, sia sul piano sociale che su quello criminale.

Lo sfruttamento di minori stranieri.

Un fenomeno del tutto nuovo che ci trova fortemente impreparati non solo sul piano legislativo, organizzativo, culturale, ma anche su quello educativo è quello della forte presenza nel nostro paese di minori che provengono da paesi stranieri.

L’Italia, che fino a pochi anni fa è stata una classica terra di emigrazione, si trova improvvisamente ad essere un paese su cui si riversano masse di immigrati che, con le loro famiglie, cercano disperatamente un lavoro.

I minori, costituiscono per le organizzazioni criminali “merce” o “materia prima” privilegiata per alcuni lucrosi affari illeciti, come prostituzione, pedofilia, produzione di materiale pornografico, adozioni illegali, traffico di organi. La scelta di operare in determinati settori illegali non è affidata al caso, essa anzi si basa su una profonda conoscenza della legislazione penale dei Paesi in cui si svolgono queste attività e dipende soprattutto dalla domanda di determinate prestazioni.

In Italia, lo sfruttamento di minori stranieri è in sensibile aumento. Di questo fenomeno possiamo distinguere almeno quattro diverse forme.

La prima è quella più tradizionale, in cui lo sfruttamento è in qualche modo collegato alla violazione della legislazione sul lavoro minorile. Tuttavia, scarsissime sono le notizie relative all’impiego irregolare di minori stranieri. Numerose ricerche testimoniano casi di bambini cinesi impiegati nelle industrie tessili nei periodi di maggiore produzione; si tratta di una gestione prevalentemente a conduzione familiare, che però non sempre determina l’abbandono degli studi.

Un altro settore in cui vi è un numero rilevante di minori impiegati irregolarmente è quello dei servizi domestici.

Una seconda forma riguarda l’utilizzo dei minori nella vendita abusiva di fiori, accendini, sigarette, abbigliamento, tappeti, ecc. L’impiego del minore di 14 anni spesso è legato al fatto che è un soggetto non imputabile. Anche in questo caso, le attività svolte non sempre compromettono la frequenza scolastica perché, generalmente, il minore lavora insieme al genitore nelle ore pomeridiane o serali.

Un altro ambito di sfruttamento è quello dell’accattonaggio. Sebbene una recente legge della Corte costituzionale abbia abrogato l’articolo 670 c.p relativo alla punibilità di chiunque mendichi in luogo pubblico o aperto al pubblico, l’utilizzo di un minore di 14 anni continua ad essere un reato. Se il minore è sottoposto all’autorità o alla custodia di chi mendica, la pena prevede l’arresto da 3 mesi a 1 anno. Se il fatto è commesso dal genitore, la condanna comporta la sospensione dell’esercizio della potestà e può dar luogo all’apertura di un procedimento per lo stato di adottabilità.

Quando questo fenomeno si inserisce nell’attività delle organizzazioni criminali, i minori, quasi esclusivamente di sesso maschile, vengono reclutati con modalità in parte analoghe a quelle utilizzate per il reclutamento delle donne da avviare alla prostituzione.

La sostanziale differenza tra gli uni e le altre è che, nel caso dei minori, le famiglie sono in genere informate dagli organizzatori del traffico e vi partecipano, ricevendo una parte dei guadagni.

Identiche a quelle delle prostitute sono le modalità del trasferimento in Italia, ove vengono accompagnati da colui che li affiderà allo sfruttatore. I minori vengono costretti ad elemosinare per oltre dieci ore al giorno e a versare allo sfruttatore l’ammontare della questua, che viene inizialmente trattenuta per intero al fine di coprire le spese di trasferimento.

Solo in un secondo momento una parte del ricavato, in genere inferiore a quella concordata, viene inviata alle famiglie originarie tramite persona di fiducia. I minori, purtroppo, sono sottoposti ad ogni genere di violenza, fisica o psicologica, determinata dal tentativo di affrancarsi da tale schiavitù o dallo scarso rendimento. In altri casi, invece, la violenza è totalmente gratuita e finalizzata al mantenimento dello stato di soggezione del minore nei confronti dello sfruttatore.

Pur non esistendo elementi che colleghino i vari sfruttatori in gruppi più o meno organizzati, è certo che fra essi esistono accordi di mutuo soccorso che consentono ai singoli di mantenere il controllo dei minori in circostanze sfavorevoli.

Significativo, inoltre, è il fatto che i minori più anziani, sia in senso anagrafico che “lavorativo”, siano adibiti alla raccolta degli introiti giornalieri, quasi ciò rappresentasse la prima tappa di una carriera criminale. Il fenomeno dei minori utilizzati nell’accattonaggio è iniziato ad emergere in Italia già alla metà degli anni Ottanta, e si trattava in genere di minori slavi di origine Rom. Alla fine degli anni Ottanta sono iniziati ad arrivare i minori marocchini, che ai semafori, oltre a chiedere l’elemosina, lavavano i parabrezza delle automobili.

Negli ultimi anni, invece, accanto ai minori nomadi dediti all’accattonaggio, ai semafori o lungo le strade, è sempre più frequente vedere minori albanesi, spesso senza famiglia e costretti a vivere per la strada.

A differenza dei nomadi, i marocchini e soprattutto gli albanesi, sembrano inseriti in un vero e proprio racket, che vede spesso il minore “affittato”dalla propria famiglia ad organizzazioni dedite all’immigrazione clandestina, che si occupano dell’inserimento di questi minori in Italia. Nei loro confronti i Servizi sociali provvedono in genere con il ricovero in istituto e l’avvio di accertamenti per esplorare le possibilità di un loro rimpatrio, possibilità che rimane spesso inapplicabile per l’ostilità della famiglia al rimpatrio o perché il minore spesso non ha documenti di identificazione.

Una forte preoccupazione desta anche il coinvolgimento dei minori stranieri nello spaccio di stupefacenti; si tratta in genere di minori nordafricani, presenti in Italia senza permesso di soggiorno, a volte entrati clandestinamente, ma spesso affidati dai genitori a parenti o ad amici di famiglia che vivono in Italia.

L’inserimento nel racket dello spaccio avviene in genere attraverso altri connazionali che utilizzano i minori per fare da corrieri.

Un ultimo tipo di sfruttamento riguarda la prostituzione di minorenni straniere.

Dello sfruttamento sessuale dei minori si occupano la Risoluzione della Commissione O.N.U. dei diritti umani 1992/72 (“Programma d’azione sulla vendita di bambini, sulla prostituzione, sulla pornografia infantile”), la Convenzione internazionale sui diritti del bambino del 1989 ratificata in Italia con Legge 179/91, che impegna gli Stati firmatari “a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale”.

In Italia il fenomeno è abbastanza recente e vede coinvolte soprattutto minorenni provenienti dai Paesi dell’Est, in particolare Albania, ex Iugoslavia, Romania, Repubblica Ceca.

Si tratta di un vero e proprio racket di sfruttamento gestito da connazionali che, dopo aver contattato la minorenne nel paese d’origine e averla convinta a emigrare in Italia prospettandole un’occupazione lavorativa, organizzano l’ingresso in Italia che, in genere, è clandestino. Una volta qui, la minorenne viene obbligata, anche violentemente a prostituirsi[1].


[1] Per approfondire:

http://www.altalex.com/documents/leggi/2017/04/12/immigrazione-conversione-del-decreto-minniti;

http://www.vita.it/it/article/2017/04/12/il-decreto-minniti-e-legge-la-protesta-delle-associazioni/143046/;

http://amp.ilsole24ore.com/pagina/ADoyg45B; http://www.moviduepuntozero.it/immigrati-italia-problema-o-risorsa/;

http://www.altrodiritto.unifi.it/ricerche/minori/cimmino/cap3.htm;

http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Migration_and_migrant_population_statistics/it.


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Luigi Piero Martina (Lecce, 1992). Laureato con 110 e lode in Giurisprudenza (con qualifica Summa cum Laude) presso la Pontificia Università Lateranense, con pubblicazione scientifica di Tesi di Laurea a carattere sperimentale. Laureato con il massimo dei voti in Operatore Giuridico di Impresa, del Lavoro e delle Pubbliche Amministrazioni, con pubblicazione scientifica di Tesi di Laurea in materia di contrattualistica pubblica. Laureando in materie economiche e Avvocato Comunitario. Dipendente del Sovrano Militare Ordine di Malta. Ex Segretario e Tesoriere dell’Associazione Internazionale Lateranense della Pontificia Università Lateranense ed ex Consulente Professionale presso la Fondazione “Civitas Lateranensis” . Ex Consulente Professionale presso la Cattedra di Filosofia e Storia delle Istituzioni Europee della Pontificia Università Lateranense. Autore scientifico ed ex Tutor Accademico presso la succitata università. Componente dell'Osservatorio di Studi sulla Dualità di Genere della Pontificia Università Lateranense. Membro del Gruppo Interdisciplinare di Ricerca in Neurobietica dell'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Responsabile Qualità Accademica della Scuola di Alta Formazione e Studi Specializzati per Professionisti.

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