Reati di cui agli artt. 316-bis e 640-bis c.p.: l’uno esclude l’altro?

Reati di cui agli artt. 316-bis e 640-bis c.p.: l’uno esclude l’altro?

Numerose questioni ermeneutiche si rinvengono a proposito dell’applicabilità di una o entrambe le disposizioni previste dagli artt. 316 bis e 640 bis. In questa sede verranno ripercorse sinteticamente, al fine di giungere ad una risoluzione concreta.

L’art. 316 bis, rubricato “malversazione a danno dello Stato”, punisce la condotta di chi, avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere o allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità.

La norma de qua tutela sia l’interesse al corretto impiego degli strumenti di sostegno alle attività economiche sia l’aspetto patrimoniale.

Il delitto si consuma nel momento in cui il soggetto che ha ricevuto le somme le distrae, anche solo parzialmente.

Invece, l’art. 640 bis c.p., rubricato “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche”, richiamando il disposto dell’art. 640 c.p., sanziona chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno laddove il fatto riguardi contributi, finanziamenti o altre erogazioni dello stesso tipo concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee.

In tal senso è evidente che l’art. 640 bis c.p. costituisca una circostanza aggravante dell’art. 640 c.p., ovvero il reato di truffa semplice.

La disposizione de qua è diretta a tutelare sia l’interesse alla libera formazione del consenso sia l’integrità patrimoniale.

Al fine di analizzare funditus la questione, è necessario soffermarsi sull’istituto del concorso apparente di norme.

Ebbene, tale fenomeno ricorre quando un medesimo fatto appare prima facie sussumibile in più disposizioni, ma soltanto una di quelle è applicabile effettivamente al caso concreto.

Ai sensi dell’art. 15 c.p., il criterio da applicare nel delimitare l’ambito riservato a tale istituto è la specialità.

In dottrina ed in giurisprudenza vi sono due orientamenti riguardo la ricerca dei criteri alla stregua dei quali verificare la natura apparente o meno del concorso di norme.

Le prime teorie, c.d. monistiche, postulano che per accertare detta natura apparente vada fatta applicazione del solo principio di specialità, in quanto l’unico criterio espresso dal legislatore nel testo dell’art. 15 c.p.

Le seconde teorie, c.d. pluralistiche, invece, ritengono necessario affiancare al principio di specialità indicato dalla legge, altri criteri che, al contrario, sono privi di fondamento normativo.

Essi sono i principi di assorbimento e di sussidiarietà, i quali si imperniano su un apprezzamento di valore del fatto concreto.

In breve il principio di sussidiarietà verrebbe in rilievo quando più norme incriminatrici tutelino il medesimo bene giuridico in diversi stadi di aggressione. Il criterio di assorbimento tiene conto, invece, che un determinato reato sia strumentale ad un altro, nel senso che certi reati costituiscono l’antecedente normale ed inevitabile di reati successivi.

Sul punto, le Sezioni Unite con sentenza n. 20664 del 2017 si sono espresse nel senso che opera unicamente il criterio di specialità, il quale si fonda sulla comparazione della struttura astratta delle fattispecie che appaiono in concorso. Tale assunto verte sulla considerazione che, essendo tale principio espresso dal tenore letterale dell’art. 15 c.p., il giudizio di valore che se ne deduce non contrasta con il principio di legalità, così come desunto dall’art. 25, 2 co.,Cost.

Inoltre, anche l’esigenza di assicurare il rispetto del “ne bis in idem” può dirsi soddisfatta dall’applicazione del principio di specialità. Pertanto, in concreto, per rapporto di specialità deve intendersi la relazione tra due disposizioni, nel senso figurato come due cerchi concentrici, quando l’una contiene in sé tutti gli elementi presenti nell’altra, con la presenza di ulteriori elementi specializzanti, per aggiunta o per specificazione.

Per completezza espositiva va puntualizzato un altro contrasto giurisprudenziale circa la nozione di “stessa materia” presente nel testo dell’art. 15 c.p..

Un orientamento risalente riteneva che tale nozione fosse corrispondente a quella di “stesso bene giuridico tutelato” (cfr. Cass. pen. S.U. n. 9568/95). Tuttavia tale interpretazione è stata superata dalla giurisprudenza più recente. Difatti al concetto “stessa materia” va ricondotto quello di “stessa fattispecie”, in virtù del criterio di specialità inteso come criterio strutturale (cfr. Cass. pen. n. 6156/17).

Alla luce della suesposta disamina, risulta lapalissiana la differenza tra concorso apparente di norme e concorso effettivo di reati.

Con tale ultima espressione si fa riferimento alle ipotesi in cui uno stesso soggetto debba rispondere di più reati e quindi espiare la pena irrogata per ciascuno di essi.

Dettagliatamente, il concorso di reati può essere di due tipi. Formale allorchè un soggetto compia più reati con una sola azione o omissione ovvero più violazioni di una medesima disposizione di legge, in virtù dell’art. 81, 1 co., c.p.. Materiale qualora un soggetto commetta più reati con plurime azioni o omissioni, ai sensi degli articoli 71 e 80 c.p.. Riguardo il trattamento sanzionatorio, il regime del cumulo materiale implica che al colpevole venga inflitta la totalità delle pene corrispondenti ai reati commessi.

Atteso ciò, è necessario accertare se tra le due fattispecie di reato de quibus ricorra un concorso apparente di norme o un concorso effettivo di reati.

In materia sono rinvenibili due orientamenti giurisprudenziali.

Sulla base del primo orientamento minoritario, tra i due reati sussisterebbe concorso apparente di norme in quanto il reato di malversazione in danno dello Stato avrebbe natura sussidiaria e residuale rispetto alla fattispecie del reato di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, nella quale rimarrebbe assorbito (cfr. Cass. pen. n. 23063/09). Tale assunto si basa sull’argomentazione per cui il diverso impiego del finanziamento sarebbe conseguenza naturale del conseguimento dell’erogazione con artifici e raggiri.

Secondo l’altra impostazione, il reato di malversazione in danno dello Stato può concorrere con la truffa aggravata dal punto di vista teleologico. Ciò in quanto i beni giuridici tutelati sono diversi: il primo reato tutela la P.A. da atti contrari agli interessi della collettività, mentre il secondo tutela il patrimonio da atti di frode, aggravata nel caso di conseguimento di erogazioni pubbliche (cfr. Cass. pen. n. 29512/15).

Oltre a ciò le due fattispecie astratte presentano due condotte strutturalmente e cronologicamente distinte.

Sul punto le Sezioni Unite, intervenute per risolvere tale annoso contrasto giurisprudenziale, fondano la loro decisione proprio sulla scorta della considerazione del fattore cronologico.

Invero l’art. 316 bis c.p. punisce una condotta successiva attinente all’impiego illecito dei fondi, non prevedendo anche che tali fondi siano stati ottenuti con frode. Invece il reato di cui all’art. 640 bis c.p. sanziona il momento antecedente cronologicamente, ovvero il meccanismo di ottenimento delle somme (cfr. Cass. pen. S.U. n. 20664/17).

Pertanto vi sarebbe autonomia tra le due fattispecie criminose, atteso che la loro consumazione presuppone una pianificazione indipendente da parte dell’autore.

In conclusione, tra i due reati può rilevarsi un concorso materiale. Ne consegue che saranno applicabili entrambe le norme che prevedono detti illeciti penali.

Al più, potrebbe eventualmente determinarsi un vincolo di continuazione qualora l’erogazione pubblica sia ottenuta dal privato con frode e poi utilizzata per scopi privati. In particolare, costituiscono indici rivelatori della sussistenza del disegno criminoso unitario l’esistenza di un medesimo movente, la vicinanza spaziale e temporale delle diverse condotte criminose, l’analogia del modus operandi e la costante partecipazione delle stesse persone all’attività criminosa. Di talchè, la pena inflitta importerebbe l’applicazione della pena prevista per il reato più grave, aumentata fino al triplo.


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