Direttiva anticipata di trattamento e eutanasia: le scelte del legislatore italiano, spagnolo e tedesco

Direttiva anticipata di trattamento e eutanasia: le scelte del legislatore italiano, spagnolo e tedesco

I) La 22 dicembre 2017, n. 219, recante <<Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento>> rappresenta un formante di diritto positivo, idoneo a offrire alle manifestazioni di volontà sul fine vita maggior certezza del diritto rispetto al passato [1].

Il provvedimento normativo in esame detta, tra le altre cose, una compiuta disciplina dell’istituto del testamento biologico, anche nella prospettiva di una specifica e rilevante declinazione dell’alleanza terapeutica tra il medico e il paziente, cui si ispira l’impianto normativo in questione..

La norma specificamente rivolta alle dichiarazioni anticipate di trattamento è rappresentata dall’art. 4 della precitata legge, che ne detta una disciplina articolata e compiuta.

Tale norma va coordinata con l’art. 1, recante disposizioni sul consenso informato [2].

La nuova legge, quindi, in adesione a una visione liberale sul fine vita, ammette, sul presupposto di una manifestazione di consenso informato e sempre revocabile, il testamento biologico senza particolari limiti, estendendolo anche al possibile rifiuto dei trattamenti di idratazione e alimentazione artificiale, ricondotti alla stregua dei trattamenti medici; le dichiarazioni anticipate di trattamento sono tendenzialmente vincolanti per il medico, che potrebbe essere chiamato ad operare d’intesa con un fiduciario, eventualmente nominato dal testatore biologico [3].

II) In linea di principio, la nuova legge va accolta favorevolmente, proprio perché, per quanto sopra illustrato, offre il più che sensato destro per immaginare una piena legittimazione normativa della c.d. eutanasia passiva, anche se i nostri conditores si son ben guardati dall’utilizzo di una simile locuzione, nel testo di legge, probabilmente cauti e timorosi di evocare tanto pericolosi quanto di fatto inesistenti demoni di distruzione dell’ordine sociale, sub specie di intangibilità della vita umana.

La novella, di contro, non si è spinta né a prendere in considerazione l’eutanasia attiva, pure collegabile astrattamente al negozio de quo, né a voler disciplinare il c.d. suicidio assistito, probabilmente non cogliendo un’occasione di cristallizzare precettivamente vere e proprie caselle chiave delle scelte di fine vita di un individuo.

In altre parole, il legislatore del 2017 non ha inteso spingersi oltre le direttive anticate di trattamento e la possibile eutanasia derivante da rifiuto delle cure, senza tener conto dei fermenti giurisprudenziali esistenti anche per le due surriferite manifestazioni del c.d. right to die,[4], con conseguenti possibili future incertezze.

III) Operando alcuni raffronti con le esperienze straniere, la l. n. 219/2017 appare in linea con le previsioni della legge spagnola e di quella tedesca.

In Spagna il riferimento deve andare alla legge 14 novembre 2002, n. 41, il cui art. 11 detta una legislazione di principio sulle c.d. <<instrucciones previas>>, con possibili integrazioni rimesse alle singole Comunità Autonome, costituenti l’ordinamento che ci occupa [5].

L’art. 11 della legge, al primo comma, contempla espressamente la possibilità di fornire istruzioni anticipate di trattamento, per l’eventuale scenario di perdita della capacità di intendere e di volere, in merito alle cure mediche, e con riferimento al proprio corpo, nel caso di morte [6].

Il primo comma risulta connotato da alcuni profili di vaghezza, talvolta integrati dalla legislazione delle Comunità Autonome, ove, per esempio, l’art. 6 della legge di Madrid, 23 maggio 2005, n. 3, ha previsto una disciplina di dettaglio dell’art. 11 in commento, menzionando sia dichiarazioni di rifiuto che richieste di determinati trattamenti [7], ma il terzo comma è piuttosto nitido nello statuire l’inapplicabilità della direttiva anticipata se contrastante con l’ordinamento giuridico e alla lex artis; di talché non si è mancato, sul versante delle norme generali dell’ordinamento spagnolo,  di sottolineare che le direttive non potrebbero porsi in contrasto con l’art.143 del Codice Penale Spagnolo, che punisce il suicidio assistito, né potrebbero legittimare l’eutanasia attiva [8].

Anche il riferimento alle leggi dell’arte, quale buone norme di pratica clinica, può risultare fuorviante, e in grado di svuotare di portata l’istituto del consenso informato, ove si finisca per ritenere che il rifiuto di cure sia di per sé contrario alla buona pratica clinica (come sostenuto, in fondo, dai fautori della medicina difensiva, dai bioeticisti  cattolico-tradizionalisti e da chiunque ravvisi nel consenso informato un negozio finalizzato a tutelare non la libertà di autodeterminazione del paziente ma l’integrità psicofisica e/o la salvaguardia, tout court, del bene vita).

Il superamento dell’impasse ce lo offre, comunque, la nostra dottrina comparativistica, volta a ritenere che << contrarie alla “legge dell’arte” dovranno qualificarsi non le dichiarazioni di rifiuto di trattamenti medicamente indicati, ma le richieste di somministrazione di trattamenti non indicati, di ricorso a pratiche che la lex artis non contempli [9]>>.

IV) Nell’ordinamento tedesco, la c.d. Patientenverfügung (traducibile con la locuzione <<disposizione del paziente>>) ha trovato cittadinanza dopo un serrato dibattito dottrinario giurisprudenziale [10].

La c.d. Dritten Gesetz zur Änderung des Betreuungsrechts (Terza legge per la modifica del diritto di assistenza giuridica) del 29 luglio 2009) ha introdotto nel BGB alcune nuove disposizioni, rappresentate dai §§ 1901a, 1901b e 1901c, modificando anche il § 1904.

La dottrina [11], nel suo sforzo di ricostruzione della novella riformatrice tedesca, individua due distinte ipotesi normate.

La prima, regolata dal § 1901 a, investe l’ipotesi comune a tutte le epifanie giuridiche, nei tratti gnosognomici essenziali, relativi a un soggetto maggiore di età, capace di esprimere un consenso, che dichiari per iscritto il suo consenso – permesso oppure il divieto di sottoporsi, per l’ipotesi della sopravvenuta perdita della capacità di intendere e di volere, ad esami sul suo stato di salute,  terapie curative ed interventi medici, non imminenti al tempo di esercizio della propria libertà di autodeterminazione in campo sanitario.

La seconda ipotesi si incentra sulla inesistenza o sulla inadeguatezza  di una dichiarazione del paziente, con conseguente necessità di verificare i precedenti desideri terapeutici espressi o comunque una volontà presunta volontà , che va <<accertata sulla base di dati concreti quali dichiarazioni precedenti, scritte o anche orali, convinzioni etiche o religiose o altri valori personali>> [12]

L’ampia formulazione delle proposizioni normative legittima, anche per l’esperienza tedesca il ricorso all’eutanasia passiva (passive Sterbehilfe), mentre maggiori perplessità sono state sollevate in ordine all’eutanasia attiva (aktive Sterbehilfe), sino all’intervento di un interessante arresto da parte della Suprema Corte.

Esaminando, quindi, il precitato formante giurisprudenziale, questo è rappresentato da una sentenza del Senato penale del BGH (la Suprema Corte Federale, anche denominata Corte di Cassazione Federale), resa il 25 giugno 2010 [13].

La Corte, nell’occuparsi di un caso limite tra eutanasia passiva e attiva, costituto dal taglio del tubo della sonda di nutrizione artificiale, ha ritenuto inopportuno, ai fini della distinzione tra le due tipologie di <<dolce morte>>, il mero utilizzo del criterio naturalistico basato sulla dicotomia <<omissione –atto>>, perché tale metro valutativo non potrebbe essere risolutivo, in fattispecie particolarmente complesse, caratterizzate da un complesso di condotte attive e omissive.

In luogo di questo, secondo la Suprema Corte, va preso in considerazione il c.d. scopo cui mirano le condotte, sia di facere che di non facere, nel senso che se tali condotte sono teleologicamente preordinate ad un rispetto e attuazione della volontà del malato, dichiarata o anche presunta, esse possono ritenersi lecite e penalmente scriminate.

E’ il caso di osservare che il Giudicante tedesco ha seguito un percorso logico giuridico che può ritenersi similare, pur con le inevitabili diversità di sfumature, a quello del Tribunale  Roma, che, come già avuto modo di illustrare in nota n.4 del presente contributo, nell’occuparsi del <<caso Welby>> e della condotta del medico anestesista di sedazione del malato e di distacco del respiratore, con sentenza resa il 17 ottobre 2007 ha assolto il medico, reputando il fatto dell’anestesista non costituire reato, con una lunga e articolata motivazione, volta a valorizzare, prevalentemente, il dato della ricorrenza di una chiara volontà dell’interessato all’interruzione del trattamento di ventilazione, che si è esplicitata nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito all’interruzione delle cure;  secondo il giudice capitolino, quindi, il medico anestesista, obbligatosi contrattualmente con l’interessato, avrebbe contribuito ad attuare il suo diritto, adempiendo ad un preciso dovere, con conseguente applicabilità della scriminante di cui all’art. 51 c.p.

V) Giunti al termine di queste brevi riflessioni, si può ritenere che il rapporto tra living will e eutanasia attiva e passiva si articoli:

– nella previsione di norme volte a delimitare i perimetri di operatività delle scelte sul fine vita sino al limite dell’eutanasia passiva, escludendo, tuttavia, quella attiva;

– nella presenza, in particolare in Italia e in Germania, di orientamenti giurisprudenziali, forse anche condizionati dalla drammaticità dei casi ad essi sottoposti, protesi anche a scriminare condotte di eutanasia attiva (il distacco del respiratore, la rottura del sondino nasogastrico e via dicendo), ove le stesse siano finalizzate ad attuare la volontà del malato; con l’impressione, più che sensata, che il formante di indole giurisprudenziale mostri una ancora maggiore attenzione, rispetto al legislatore, ai desideri e alle scelte degli interessanti, riconoscendo loro un vero e proprio <<right to die>> [14].


[1] Sino al varo della legge che ci occupa, la tematica delle direttive anticate di trattamento, di là del fervente dibattito bio – etico che le connotava, nel nostro ordinamento giuridico ha potuto usufruire di minori e più incerti appigli normativi, pur alla presenza, dal 2007, di un importantissimo arresto di legittimità.  Considerando il formante normativo, la Convenzione per la protezione dei Diritti dell’Uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti dell’applicazioni della biologia e della medicina, firmata a Oviedo il 4 aprile 1997 e recepita, nel nostro ordinamento, dalla l. n. 145 del 2001, non ha mai offerto una soluzione certa al problema che ci occupa. La Convenzione di Oviedo, di là di alcuni problemi tecnici legati al completamento del procedimento di ratifica, sebbene all’art. 5 affermi il primato del consenso informato rispetto ai trattamenti medici, tuttavia, al successivo art. 9, proprio in tema di living will sembra svuotarlo di significato, merce la previsione per cui <<I desideri precedentemente espressi a proposito di un intervento medico da parte di un paziente che, al momento dell’intervento, non è in grado di esprimere la sua volontà saranno tenuti in considerazione>>. La presa in considerazione, infatti, non implica né la vincolatività dei desideri di fine vita, né l’intento di dare foggia a precisi diritti individuali in subiecta materia. Un altro referente precettivo è dato dall’’art. 16 del Codice deontologico medico del 18 maggio 2014,  che  prevede che <<Il medico, tenendo conto delle volontà espresse dal paziente o dal suo rappresentante legale e dei principi di efficacia e di appropriatezza delle cure, non intraprende né insiste in procedure diagnostiche e interventi terapeutici clinicamente inappropriati ed eticamente non proporzionati,  dai quali non ci si possa fondatamente attendere un effettivo beneficio per la salute e/o un miglioramento della qualità della vita. Il controllo efficace del dolore si configura, in ogni condizione clinica, come trattamento appropriato e proporzionato. Il medico che si astiene da trattamenti non proporzionati non pone in essere, in alcun caso, un comportamento finalizzato a provocarne la morte>>, laddove il successivo art. 17, rubricato <<eutanasia>>, dispone che <<Il medico, anche su richiesta del paziente, non deve effettuare né favorire atti finalizzati a provocarne la morte>>; si appalesa chiaro che anche il surriferito Codice privilegia, decisamente, la c.d. medicina difensiva rispetto ai desideri del malato.  Esaminando, di contro, il formante giurisprudenziale, salì agli onori delle cronache Cass. Civ., Sez. I, 16 ottobre 2007, n. 21748, in Danno e Resp., 2008, 4, 421 ss.; la sentenza, facente riferimento al noto triste caso Englaro, riguardante una ragazza versante in condizione di stato neurovegetativo persistente, in cui il padre –tutore domandava, senza esito, da anni l’interruzione dei trattamenti di alimentazione e idratazione artificiale cui la paziente era sottoposta, ha statuito che << il carattere personalissimo del diritto alla salute dell’incapace comporta che il riferimento all’istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore, il quale è investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza. Nel consentire al trattamento medico o nel dissentire dalla prosecuzione dello stesso sulla persona dell’incapace, la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli: egli deve, innanzitutto,  agire nell’esclusivo interesse dell’incapace; e, nella ricerca del best interest, deve decidere non “al posto” dell’incapace né  “per” l’incapace, ma “con” l’incapace: quindi, ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche>>. In altri termini, secondo la Suprema Corte, occorre accertare quale sia stata, in precedenza, la volontà di autodeterminazione soggettiva in tema di trattamenti sanitari, nel cui alveo sono stati ricondotti anche quelli di c.d. sostegno vitale, sopra indicati. Circa il formante dottrinale del periodo, per tutti, si veda AaVv., Testamento biologico. Riflessioni di dieci giuristi, Milano, 2006.
[2] E’opportuno riportare in nota l’art. 4 della legge in parola: << 1. Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità di autodeterminarsi e dopo avere acquisito adeguate informazioni mediche sulle conseguenze delle sue scelte, può, attraverso le DAT, esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari. Indica altresì una persona di sua fiducia, di seguito denominata «fiduciario», che ne faccia le veci e la rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.  2.  Il fiduciario deve essere una persona maggiorenne e capace di intendere e di volere. L’accettazione della nomina da parte del fiduciario avviene attraverso la sottoscrizione delle DAT o con atto successivo, che è allegato alle DAT. Al fiduciario è rilasciata una copia delle DAT. Il fiduciario può rinunciare alla nomina con atto scritto, che è comunicato al disponente.  3.  L’incarico del fiduciario può essere revocato dal disponente in qualsiasi momento, con le stesse modalità previste per la nomina e senza obbligo di motivazione.  4.  Nel caso in cui le DAT non contengano l’indicazione del fiduciario o questi vi abbia rinunciato o sia deceduto o sia divenuto incapace, le DAT mantengono efficacia in merito alle volontà del disponente. In caso di necessità, il giudice tutelare provvede alla nomina di un amministratore di sostegno, ai sensi del capo I del titolo XII del libro I del codice civile.  5.  Fermo restando quanto previsto dal comma 6 dell’articolo 1, il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere disattese, in tutto o in parte, dal medico stesso, in accordo con il fiduciario, qualora esse appaiano palesemente incongrue o non corrispondenti alla condizione clinica attuale del paziente ovvero sussistano terapie non prevedibili all’atto della sottoscrizione, capaci di offrire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita. Nel caso di conflitto tra il fiduciario e il medico, si procede ai sensi del comma 5, dell’articolo 3.  6.  Le DAT devono essere redatte per atto pubblico o per scrittura privata autenticata ovvero per scrittura privata consegnata personalmente dal disponente presso l’ufficio dello stato civile del comune di residenza del disponente medesimo, che provvede all’annotazione in apposito registro, ove istituito, oppure presso le strutture sanitarie, qualora ricorrano i presupposti di cui al comma 7. Sono esenti dall’obbligo di registrazione, dall’imposta di bollo e da qualsiasi altro tributo, imposta, diritto e tassa. Nel caso in cui le condizioni fisiche del paziente non lo consentano, le DAT possono essere espresse attraverso videoregistrazione o dispositivi che consentano alla persona con disabilità di comunicare. Con le medesime forme esse sono rinnovabili, modificabili e revocabili in ogni momento. Nei casi in cui ragioni di emergenza e urgenza impedissero di procedere alla revoca delle DAT con le forme previste dai periodi precedenti, queste possono essere revocate con dichiarazione verbale raccolta o videoregistrata da un medico, con l’assistenza di due testimoni.7.  Le regioni che adottano modalità telematiche di gestione della cartella clinica o il fascicolo sanitario elettronico o altre modalità informatiche di gestione dei dati del singolo iscritto al Servizio sanitario nazionale possono, con proprio atto, regolamentare la raccolta di copia delle DAT, compresa l’indicazione del fiduciario, e il loro inserimento nella banca dati, lasciando comunque al firmatario la libertà di scegliere se darne copia o indicare dove esse siano reperibili. 8.  Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministero della salute, le regioni e le aziende sanitarie provvedono a informare della possibilità di redigere le DAT in base alla presente legge, anche attraverso i rispettivi siti internet>>; l’art. 1, comma 5, II° cpv, chiarisce che << Ai fini della presente legge, sono considerati trattamenti sanitari la nutrizione artificiale e l’idratazione artificiale, in quanto somministrazione, su prescrizione medica, di nutrienti mediante dispositivi medici>>.
[3] Per un esame compiuto della l. n. 219/2017, si fa rinvio a DE FILIPPIS B.  Biotestamento e fine vita. Nuove regole nel rapporto medico – paziente: informazioni, diritti, autodeterminazione, Padova, 2018.
[4] L’Eutanasia attiva e il suicidio assistito hanno avuto notevole eco mediatica, in Italia, grazie ai <<Casi Welby e d.j. Fabo>>. Nel primo, un malato affetto da tetraplesi spastica e oramai paralizzato, ma capace di intendere e di volere,  ha più volte, senza esito, interpellato giudici e istituzioni affinché gli fosse riconosciuto il diritto di porre termine alla sua esistenza, mediante sedazione e disattivazione del respiratore artificiale; un medico anestesista della Fondazione Luca Coscioni, poi, al netto di qualsivoglia copertura pretoria, attuò i desideri dell’interessato, con conseguente decesso di quest’ultimo;  il giudice capitolino (Trib. Roma, 17 ottobre 2007, in www.lucacoscioni.it.), con sentenza resa il 17 ottobre 2007 ha assolto il medico, reputando il fatto dell’anestesista non costituire reato, con una lunga e articolata motivazione, volta a valorizzare, prevalentemente, il dato della ricorrenza di una chiara volontà dell’interessato all’interruzione del trattamento di ventilazione, che si è esplicitata nell’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito all’interruzione delle cure, non necessariamente posto in posizione subordinata rispetto al diritto alla vita; secondo il giudice capitolino, quindi, il medico anestesista, obbligatosi contrattualmente con l’interessato, avrebbe contribuito ad attuare il suo diritto, adempiendo ad un preciso dovere, con conseguente applicabilità della scriminante di cui all’art. 51 c.p. Il secondo riguarda la vicenda, molto nota ai mass media, del sig. Fabio Antoniani, detto anche d.l. Fabo, che affetto, a seguito di un gravissimo sinistro stradale del 13 giugno 2014, da tetraplesi e da cecità bilaterale corticale, decise di porre termine alla sua infelice vita, optando per il c.d. suicidio assistito in una clinica svizzera, usufruendo anche dell’aiuto dell’esponente radicale Marco Cappato, che lo aveva accompagnato. Quest’ultimo, soprattutto a seguito di un’ordinanza d’imputazione coatta pronunciata dal G.I.P. di Milano, in data l0 luglio 2017, si è visto contestare dalla Procura della Repubblica di Milano il reato di cui all’art. 580 c.p., per aver <<rafforzato>> il proposito suicidiario di Fabiano Antoniani e per averlo <<agevolato>>. Esclusa, dall’istruzione la prima condotta, la seconda, obiettivamente, era <<scontata>>; la Corte di Assise di Milano, tuttavia, con una ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale <<storica>> (I° Corte di Assise di Milano, 14 febbraio 2018, Ord. n. 1, in www. Salvis Juribus, 2018, con commento di CAPITELLI P., Diritto di morire e di lasciarsi morire nella tavola dei valori) ha ritenuto di << di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito suicidario, ritenendo tale incriminazione in contrasto e violazione dei principi sanciti agli art. 3, 13, II comma, 25, II comma, 27, III comma della Costituzione, che individuano la ragionevolezza della sanzione penale in funzione dell’ offensività della condotta accertata. Infatti, deve ritenersi che in forza dei principi costituzionali dettati agli artt. 2, 13, I comma della Costituzione ed all’art 117 della Costituzione con riferimento agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, all’individuo sia riconosciuta la libertà di decidere quando e come morire e che di conseguenza solo le azioni che pregiudichino la libertà della sua decisione possano costituire offesa al bene tutelato dalla norma in esame>>.
[5] Per approfondimenti, si veda BONINI R.S., Istruzioni Preventive di Cura: note in margine alla legge spagnola, in Riv. Dir. Civ., 2017, 1, 138 ss.
[6] Le norme sulla salma, in realtà, quali disposizioni c.d. <<mortis causa>>, avrebbero necessitato di una diversa collocazione in materia tradizionale testamentaria: sul punto, BONINI, R.S., Istruzioni, cit., 141, e, nella dottrina spagnola, per tutti, BARROCAL LANZAROT, A.I.,  Instrucciones previas o «voluntades anticipadas»: la normativa estatal y autono’mica, in Pra´ctica de Derecho de Danos,  2006, n. 3, Seccio’n Estudios.
[7] BONINI, R.S., Istruzioni, cit, 141, nota 7: <<…alludendo in particolare: a richieste di cure palliative e rifiuti di procedure di sostegno in vita in condizioni critiche, a richieste di non essere informati di diagnosi fatali e a designazioni di soggetti da informare in tale evenienza, a richieste di essere assistiti nella fase terminale della vita da determinati congiunti o conoscenti (per questo caso la legge prescrive che le persone designate ricevano dalle strutture sanitarie il trattamento appropriato alla circostanza). Quanto alle eventuali dichiarazioni di disponibilità alla donazione degli organi o alla destinazione della salma e di parti anatomiche a scopi scientifici o didattici, la legge precisa che in loro presenza non è necessaria l’autorizzazione dei familiari, evidentemente implicando che non rileva la loro eventuale opposizione>>.
[8] Peraltro, nel 2017 il Parlamento spagnolo non ha approvato, con 132 voti contrari, 86 favorevoli e 122 astensioni una proposta di legge volta a garantire l’accesso all’eutanasia ai maggiorenni e ai “minorenni emancipati” affetti da una malattia terminale <<senza speranza”>> o dolori fisici o psichici particolarmente difficili da sopportare.
[9] BONINI, R.S., Istruzioni, cit., 145.
[10] Per una compiuta ed esaustiva ricostruzione, cfr.  VALENTE G., Testamento biologico ed eutanasia nel diritto tedesco: Patientenverfügung und Sterbehilfe, in Fam dir., 2011, 1167 ss. ; per un contributo della dottrina tedesca, cfr.. HANACK E.W. Euthanasie in strafrechtlicher Sicht, in Hiersche, Euthanasie, Probleme der Sterbehilfe, München,1975, 121 ss.
[11] VALENTE G., Testamento biologico, cit., 1169.
[12] VALENTE G., Testamento biologico, cit., 1170-
[13] BGH, 25 giugno 2010 R.G. 2 StR 454/09
[14] In alcuni paesi l’eutanasia attiva è prevista da precisi formanti di diritto positivo. In Olanda, la l. 12 aprile 2001, n. 194, la contempla, seppure nel rispetto dei c.d. <<requisiti di accuratezza>>; L’art. 2 della succitata legge, infatti, dispone che << 1. I requisiti di accuratezza, indicati nell’articolo 293, secondo comma, del Codice Penale, prevedono che il medico: a. abbia la convinzione che si sia trattato di una richiesta libera e ben meditata del paziente, b. abbia la convinzione che si sia trattato di una sofferenza ineludibile e insopportabile del paziente, c.  abbia informato il paziente della situazione in cui egli si trovava e delle sue prospettive, d. con il paziente sia giunto alla convinzione che per la situazione in cui egli si trovava non vi fosse altra soluzione ragionevole, e. si sia consultato con almeno un altro medico indipendente, il quale abbia visto il paziente e abbia dato per iscritto il suo giudizio sui requisiti di accuratezza indicati nei punti a-d, e f. abbia praticato l’eutanasia o l’assistenza al suicidio con accuratezza medica. 2. Se il paziente di sedici anni o più non è più in grado di esprimere la sua volontà, ma prima di cadere in tale condizione era stato giudicato in grado di fornire una ragionevole valutazione dei suoi interessi e aveva rilasciato una dichiarazione scritta contenente una richiesta di eutanasia, allora il medico può dare seguito a questa richiesta. I requisiti di accuratezza, indicati nel primo comma, sono applicabili in conformità. 3. Se il paziente minorenne ha un’età compresa tra i sedici e i diciott’anni e può essere ritenuto in grado di fornire una valutazione ragionevole dei suoi interessi, il medico può dare seguito alla richiesta del paziente di eutanasia o di assistenza al suicidio, dopo avere coinvolto il genitore o i genitori che esercita o esercitano la patria potestà su di lui, oppure il suo tutore, prima di prendere una decisione. 4. Se il paziente minorenne ha un’età compresa tra i dodici e i sedici anni e può essere ritenuto in grado di fornire una valutazione ragionevole dei suoi interessi, il medico – se il genitore o i genitori che esercita o esercitano la patria potestà su di lui, oppure il suo tutore, possono essere d’accordo con l’eutanasia o con l’assistenza al suicidio – può dare seguito alla richiesta del paziente. Il secondo comma è applicabile in conformità>>. Agli stessi criteri di ragionevolezza sembra ispirarsi, in Belgio, la loi 28 mai 2002. – …relative àl’euthanasie, la quale ha previsto la non punibilità del medico che la pratichi su soggetto maggiorenne o minore emancipato, capace di intendere e di volere, affetto da malattia ad exitus infausto, che l’abbia richiesta per iscritto e senza subire coartazioni di volontà.

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