Diritti della personalità: il contributo della giurisprudenza

Diritti della personalità: il contributo della giurisprudenza

I diritti della personalità, nonostante la loro tautologica ragione di esistere, non hanno da sempre goduto di un riconoscimento e di una tutela giuridica.

Malgrado l’espresso riconoscimento di alcune situazioni già presente nel Codice Civile del 1942 (artt. 6-10), si riscontrava una iniziale difficoltà a rinvenire nel diritto positivo la ragione di una compiuta e completa disciplina della materia, in un’epoca in cui regnava una tesi c.d. “pluralistica”, esigente l’esistenza di una disposizione in riferimento ad ogni singolo diritto che il legislatore intendeva disciplinare. In seguito ai drammi del secondo conflitto mondiale e alla collettiva presa di coscienza delle atrocità perpetrate ai danni della persona, si è avvertita forte l’esigenza di un improcrastinabile riconoscimento giuridico (oltre che morale) espresso dalle Istituzioni dell’ordinamento. Col tempo, la dottrina giunge a concepire una tesi c.d. “monistica”, in grado di ricomprendere al suo interno una disciplina unica dei diritti della personalità, estendendo la portata e dell’art. 2 della Costituzione e dell’art. 2059 c.c.

Il riferimento alla tutela della persona quale principio inderogabile del nostro ordinamento ha favorito, altresì, l’emersione di nuove esigenze ed istanze, del tutto imprevedibili da parte degli autori del codice. Il riconoscimento giurisprudenziale di una sorta di unicum da riconoscere e tutelare, con riferimento all’art. 2 della Costituzione, concepito come copertura normativa, scavalca anche l’esigenza di un ancoraggio al diritto penale quale presupposto per la tutela dei diritti della persona. Si riteneva,infatti, necessaria la presenza di fattispecie penali (artt. 594-595 c.p.) affinché potesse riconoscersi la punibilità in sede civile dell’illecito.

Nel silenzio dell’organo legislativo, la Corte di Cassazione quale giudice di legittimità si pone come baluardo dei diritti della persona, riconoscendoli e tutelandoli prescindendo dall’esplicita esistenza normativa. Difatti, sentenze anche risalenti nel tempo hanno favorito la creazione di un quadro più organico della materia. A titolo di esempio, si ricorda la sentenza del “caso Caruso” (Cass. 22 dicembre 1956 n. 4487) in riferimento al diritto alla riservatezza, la quale, pur sollevando la questione, non ne scioglie i nodi fondamentali. Timidi passi in avanti si ritrovano nella sentenza del “caso Petacci”, di pochi anni successiva (Cass. 20 aprile 1963 n. 990) e in quella del “caso Soraya” (Cass. 22 maggio 1975 n. 2129). In entrambe le pronunce i giudici di legittimità esprimono l’evidente volontà di orientarsi ad una uniforme lettura dei diritti della personalità in chiave costituzionale. Inglobare e riconoscere diritti alla persona estendendo la portata di principi costituzionali è fenomeno che ha riguardato anche il diritto alla c.d. identità personale (Sentenze “Caso antidivorzista”, 30 settembre 1974 e “Caso Veronesi”, 22 giugno 1985).

Il lavoro della giurisprudenza si affianca a quello di una dottrina sempre più attenta alla questione, che ricomprende i diritti della personalità in quelli reali in cui, tuttavia, la tutela apprestata ai primi riguarda i beni c.d. immateriali, combinandone la lettura con la Legge 633/1941 sul diritto d’autore.

I diritti della personalità si intendono in termini di assolutezza, inalienabilità, indisponibilità. La tesi monistica assicura, inoltre, una garanzia generalizzata all’individuo nella sua dimensione individuale e “nelle formazioni sociali ove si svolge la sua attività”, garantendo in questo modo anche la tutela per enti riconosciuti e non.

Al “sorgere” di nuovi diritti, sorge anche l’esigenza di una loro effettiva tutela in termini di risarcimento in caso di loro violazione: attraverso una lettura estensiva dell’art. 2059 c.c., ricomprendendo nel danno non patrimoniale tutte quelle situazioni che non godono di un’espressa previsione normativa, ma che sono di derivazione giurisprudenziale (si pensi al c.d. danno da “vacanza rovinata”, inconcepibile fino a pochi anni fa). Il danno ingiusto, presupposto ai fini del risarcimento del danno, si configura non solamente in termini economici ma più prettamente morali. Un simile percorso, per nulla scontato soprattutto negli anni che seguono la seconda guerra mondiale, ha ormai permesso il consolidamento di una serie di orientamenti giurisprudenziali volti all’effettiva tutela di situazioni, per così dire, limite. Si presenta in alcuni casi molto labile e sfumato il confine tra lecito e illecito giuridico e la Corte di Cassazione, anche in ossequio alla sua funzione nomofilattica e uniformante, agisce, spesso ponendo l’individuo come avamposto all’emersione di squilibri socio-politici e istituzionali. Ancora in riferimento al trattamento dei dati personali (disciplinato dal d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 c.d. “Codice della privacy”, che dal 25 maggio 2018 cederà lo spazio di tutela al regolamento UE 2016/679) l’esigenza di protezione si avverte specialmente in quei luoghi in cui controllo è minore, ad esempio nei portali internet in cui dilaga senza freni la condivisione e diffusione di dati e materiali altrui.

Conciliare i diritti della personalità, inoltre, con l’art. 21 della Costituzione (in special modo con il diritto di cronaca) non sempre risulta agevole: l’equilibrio e l’efficienza della giurisprudenza, prima ancora del Legislatore, rappresenta una garanzia. Con la c.d “sentenza catalogo” (Corte Cass. I civ. 18 ottobre 1984, n. 5259) vengono offerte ai giornalisti delle linee guida per evitare di incorrere in illeciti violanti diritti della personalità. I requisiti, che devono necessariamente coesistere, sono l’utilità sociale, la verità e la forma “civile” (requisito di continenza): solo in presenza di tali requisiti può prevalere il diritto di cronaca a fronte di quello della persona.

La giurisprudenza, supplendo spesso e volentieri all’inerzia dell’organo legislativo, con le sue pronunce (non raramente “storiche”) e massime innovative, sopperisce e soddisfa esigenze sociali anche ai fini dell’agevolazione di una serena convivenza civile. Una conquista di civiltà giuridica che abbraccia, armonizzandosi, la realtà e l’ordinamento comunitario e internazionale.


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