Diritti soggettivi vs interessi legittimi

Diritti soggettivi vs interessi legittimi

La posizione giuridica del privato è stata da sempre configurata come una condizione di soggezione a fronte di riconoscimenti di poteri in grado di estinguere e modificare situazioni giuridiche soggettive. Questa ipotesi di soggezione non è stata immediatamente configurata come interesse legittimo, ma era un qualcosa che potremmo definire “altro” rispetto al diritto politico e civile riconosciuto dalla legge n. 2248 del 1865.

Quest’ultima rappresenta un punto di partenza principale in tema di diritti soggettivi e interessi legittimi poiché, stabilendo l’abolizione del contenzioso amministrativo e quindi il venir meno di tutti quegli organi competenti a dirimere le controversie inerenti i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione, nel suo allegato E sancisce  due principi fondamentali: a) il giudice che si occupa delle controversie inerenti diritti civili e politici è il giudice civile (rectius ordinario), anche se una parte è la pubblica amministrazione; b) il giudice civile non può annullare, modificare ovvero revocare un provvedimento amministrativo anche se illegittimo.

Nello stabilire questo, però, il legislatore del 1865 sottolinea che qualora il giudice civile si trovasse, nella risoluzione della controversia, di fronte ad un provvedimento amministrativo illegittimo, ha il potere di disapplicarlo, non applicandolo al caso concreto. Tuttavia, è palese il persistere di un vulnus di tutela per il cittadino che, di fronte ad una illegittimità del provvedimento amministrativo, aveva come unico rimedio il ricorso amministrativo.

Dunque, lo spazio di tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione appare essere molto ridotto e limitato a quegli atti di gestione che riguardavano l’attività privatistica dell’amministrazione stessa.

Nel 1889 venne istituita la IV Sezione del Consiglio di Stato a cui si affidò la tutela nei confronti del provvedimento amministrativo affetto da vizi quali eccesso di potere, incompetenza, e violazione di legge. Sebbene non si parli ancora di interesse legittimo, siamo di fronte ad un processo di costruzione della situazione giuridica soggettiva, cioè quella situazione che consente all’amministrato di adire il giudice, rectius la IV Sezione del Consiglio di Stato, e ricevere tutela a fronte dell’emanazione di un atto autoritativo. Si tratta di una tutela a carattere indiretto e non immediato; di fronte ad una situazione di diritto e di obbligo il titolare della posizione giuridica soggettiva può adire il giudice e conseguire il “bene della vita” preteso, tale schema, invece, non può essere applicato all’interesse legittimo.

Riconoscere al giudice amministrativo la possibilità di attribuire il “bene della vita”, avrebbe contribuito a mettere in grave discussione il principio fondamentale della separazione tra giurisdizione e amministrazione che vige nel nostro ordinamento; in virtú di tale principio, infatti, si riconosce uno spazio di riserva all’amministrazione che non può essere invaso dal potere giurisdizionale. A riprova di ciò l’ordinamento riconosce un potere discrezionale in capo all’amministrazione e, solo quest’ultima è tenuta a compiere una valutazione di ponderazione tra pubblici interessi, interessi diffusi, privati e collettivi. Il giudice ordinario non può affatto persuadere l’amministrazione al fine di attribuire il “bene della vita”, salvo le ipotesi in cui sussista un cd. potere vincolato, infatti di fronte ad un siffatto potere, come sottolineato dal giurista Oreste Ranelletti, compaiono i diritti soggettivi. Ė a lui che si deve il primo articolato disegno della categoria dell’interesse legittimo, intorno al quale costruisce la duplice figura dell’interesse occasionalmente protetto e del diritto affievolito. Dunque, un interesse che può ricevere protezione soltanto in via occasionale e un diritto che retrocede ad interesse legittimo nel momento in cui si attiva il potere autoritativo.

Negli ultimi trenta anni si è assistito ad un processo di progressiva autonomizzazione dell’interesse legittimo, che da figura meramente processuale è divenuta una figura sostanziale di cui siamo tutti noi titolari fin dal momento in cui si attiva l’esercizio del potere amministrativo. L’interesse legittimo diventa, dunque, quella situazione sostanziale correlata all’esercizio del potere.

La distinzione dicotomica interesse legittimo/diritto soggettivo è stata fondamentale per il nostro sistema giuridico, in particolar modo per ciò che attiene il riparto di giurisdizione. Era la situazione soggettiva, infatti, ad indicarci il giudice da adire: di fronte all’interesse legittimo giudice competente era il giudice amministrativo, di fronte al diritto soggettivo  competente era, invece, il giudice ordinario.

Tuttavia, con l’introduzione della giurisdizione esclusiva tale classificazione tende ad affievolirsi, cosicché l’art 113 cost., recependo la sentenza n. 204/2004 della corte costituzionale stabilisce che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. [..]“. Pertanto il giudice amministrativo è competente a risolvere le controversie che hanno ad oggetto interessi legittimi e, in particolari materie nelle quali l’amministrazione esercita il proprio potere autoritativo, anche di diritti soggettivi.

Il riconoscimento pieno dell’interesse legittimo come situazione sostanziale fa ascrivere questa situazione soggettiva a quelle risarcibili sulla base del principio generale del neminem laedere che trova espressione nell’art. 2043 c.c. L’applicazione di questa norma al solo ambito dei diritti soggettivi, secondo l’impostazione della meno recente giurisprudenza è ormai superata a partire dalla sentenza n.500/1999 e, la più recente disciplina del procedimento amministrativo ha riconosciuto in via generale l’azione risarcitoria tra quelle ammissibili a tutela degli interessi legittimi. Perché l’interesse legittimo possa configurarsi in concreto come situazione risarcibile occorre che in esso sia riscontrabile un interesse sostanziale correlato ad un bene cui legittimamente si aspira, iniquamente sacrificato. Ebbene, il danno ingiusto è tale se lede un interesse giuridicamente rilevante e non, come prima si riteneva, quando ad essere leso era il solo diritto soggettivo.

Importante è sottolineare come le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nel ripercorrere lo sviluppo normativo e giurisprudenziale relativo alla questione del risarcimento del danno derivante da illecito aquiliano ex art, 2043 c.c., siano giunte ad individuare il danno ingiusto nella lesione di qualsiasi interesse giuridico meritevole di tutela con la sola esclusione degli interessi di fatto. Così la Suprema Corte ha interpretato la situazione giuridica di interesse legittimo come aspirazione ad un bene della vita.

La giurisprudenza più recente, Cons. St., VI, 16.2.2012 n. 812, individua, infatti, l’interesse legittimo nella “posizione di colui che si contrappone all’esercizio del potere, essendo titolare di una posizione giuridica sostanziale lesa ad opera del potere amministrativo, sempre che la lesione stessa abbia i caratteri della personalità, dell’attualità e della concretezza”.


Bibliografia

  • V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, Torino 2012;

  • F. FRACCHIA, Elemento soggettivo e illecito civile dell’amministrazione pubblica, Napoli 2009;

  • G.B. MATTARELLA, L’imperatività del provvedimento amministrativo, Padova 2000;

 


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Caterina D'Antonio

Dott. ssa Caterina D'Antonio, laureata in Giurisprudenza presso l'Università La Sapienza di Roma.

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