Diritto al nome: con la rettificazione del sesso si può scegliere liberamente un nuovo nome

Diritto al nome: con la rettificazione del sesso si può scegliere liberamente un nuovo nome

Il diritto al nome trova il proprio fondamento positivo nell’art. 2 della Carta Costituzionale ed è poi la Corte Costituzionale, con sentenza n. 120/2001[1], a qualificare il nome come il primo ed immediato segno distintivo della persona e quale diritto soggettivo inviolabile.

Più precisamente il diritto al nome (artt. 6 – 8 cod. civ.) è da considerarsi non solo un mezzo utile a identificare la persona, ma soprattutto un tratto dell’individuo, che permette ad ogni essere umano di realizzare le proprie aspirazioni e inclinazioni.

Interessante approfondimento sul punto lo fornisce la recentissima pronuncia della Corte di Cassazione con ordinanza del 17 febbraio 2020 n. 3877[2].

La Corte, con tale pronuncia, ha accolto il ricorso di Alessandro O., cassando la sentenza impugnata e decidendo nel merito, dando ordine all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Cagliari di rettificare l’atto di nascita del ricorrente, nel senso che, unitamente alla rettificazione del sesso da maschile a femminile, venisse riportato il nome Alexandra in luogo di Alessandro provvedendo alle annotazioni susseguenti.

Entrando nel dettaglio, la Corte d’appello di Torino, infatti, con sentenza n.569/2018, depositata in data 28/3/2018, riformava la decisione di primo grado, che aveva respinto la richiesta di Alessandro O. di rettificazione di attribuzione del sesso da maschile a femminile ex art.1 L.164/1982, ritenendo tuttavia che il mutamento del nome non poteva essere – come richiesto dal ricorrente – da  Alessandro a Alexandra, ma doveva essere quello derivante dalla mera femminilizzazione del precedente, ovvero Alessandra.  Il giudice di seconde cure, in tal senso, riteneva tale richiesta non mera conseguenza dell’accoglimento della domanda di rettificazione di sesso ma “un voluttuario desiderio di mutamento del nome di cui, di per sé, non sussistono i presupposti” dettati dal D.P.R. 396/2000.

Avverso la suddetta pronuncia, Alessandro O. proponeva ricorso per cassazione nei confronti del Ministero dell’Interno, lamentando la violazione o falsa applicazione ex art. 360 n. 3 c.p.c. dell’art. 5 della L. 164/1982, in punto di rigetto della richiesta di rettificazione del prenome da Alessandro ad Alexandra, conseguentemente alla rettificazione del proprio sesso, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il richiedente non possa dare alcuna indicazione in merito al prenome da imporre quale dato dello stato civile, al momento in cui è accolta la richiesta di rettificazione di sesso.

Di fatto, ragionando a contrario, non si può imporre un mero automatismo di conversione derivante dalla femminilizzazione – non sempre praticabile – del nome.

A ciò si aggiunga la necessità di assicurare al soggetto anche un diritto all’oblio, inteso quale diritto ad una netta cesura con la precedente identità consolidatasi.

La Corte di Cassazione, non ha poi, rilevato obiezione alcuna al fatto che “sia la stessa parte interessata, soggetto chiaramente adulto, se lo voglia, ad indicare il nuovo nome prescelto, quando non ostino disposizioni normative o diritti di terzi, attesa l’intima relazione esistente tra identità sessuale e segni distintivi della persona, quale il nome”.

La Corte di Cassazione, alla luce di tutte le considerazioni suesposte, ha pertanto cassato la sentenza impugnata e decidendo nel merito ha stabilito che “il riconoscimento del primario diritto alla identità sessuale, sotteso alla disposta rettificazione dell’attribuzione di sesso, rende conseguenziale la rettificazione del prenome, che non va necessariamente convertito nel genere scaturente dalla rettificazione, dovendo il giudice tener conto del nuovo prenome, indicato dalla persona, pur se del tutto diverso dal prenome precedente, ove tale indicazione sia legittima e conforme al nuovo stato”.


[1]Corte Costituzionale, n. 120 sentenza 7 – 11 maggio 2001

[2]Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 5 dicembre 2019 – 17 febbraio 2020, n. 3877

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