Diritto all’incolumità e tecniche di tutela nella società del rischio

Diritto all’incolumità e tecniche di tutela nella società del rischio

Nelle società contemporanee il rischio è condizione strutturale. Le minacce sono ovunque, nell’ambiente (inquinamento), nella società (terrorismo), nel lavoro (licenziamenti di massa da parte di aziende stabili), negli affetti (divorzi). [1] Di là dalla forza  distributiva che li connota,  i rischi presentano profili di spiccata dinamicità.  Il primo è ascrivibile alla variabile temporale.  Il connubio tempo – rischio, da cui muove la letteratura sociologica, ne evidenzia la natura “i rischi sono uno stadio intermedio tra sicurezza e distruzione”.[2]  Dunque, la nozione di rischio evoca  per un verso le conseguenze distruttive provocate dall’evento accaduto, e per altro verso una componente potenziale – del non ancora evento – legata alla proiezione nel futuro di danni prevedibili. Se così è, la gestione del rischio nel tempo acquista una valenza pregnante, soprattutto sul piano delle responsabilità.[3] Il secondo profilo concerne l’invisibilità delle minacce. Vi è una tradizionale propensione a ignorare i pericoli non immediatamente percepibili, che risulta problematica nella misura in cui non consente al sistema di gestire e controllare il pericolo.[4] Il terzo profilo attiene alla conoscenza: tanto maggiori sono le conquiste scientifiche, tanto più aumenta la cognizione del rischio che attribuisce una responsabilità alla quale deve corrispondere una decisione. Sul piano giuridico, il rischio è concepito come la probabilità di un danno del quale si è tenuti a rispondere.[5]

La ricostruzione della nozione giuridica di rischio mostra una progressiva dilatazione del concetto stesso, in un primo momento legato a interessi di natura squisitamente privatistica e poi capace di comprendere anche interessi di matrice pubblicistica. Nel diritto romano coincide con il pericolum e prefigura il così detto rischio contrattuale, successivamente,  grazie all’influenza di istituti di diritto germanico, si afferma una concezione del rischio come elemento insito in qualunque attività economica, il così detto rischio imprenditoriale, ma solo nel XVII secolo acquista una dimensione sociale inscindibilmente connessa a interessi di matrice pubblicistica. L’excursus storico contribuisce a cristallizzare un altro dato significativo: se in passato il rischio coincideva con il fatum, oggi, sulla scorta dell’aumentato grado di prevedibilità di tutti i pericoli, coincide con l’errore e la responsabilità umana.[6]

La tradizione è solita distinguere due grandi categorie di rischio: il rischio antropico determinato dall’agire dell’uomo e il rischio naturale causato dalla dinamicità della natura.  Che i pericoli scaturenti dall’azione dell’uomo, sulla natura e sulle cose, derivino da un uso, esasperato e forse troppo consapevole, della tecnologia è un dato ormai ampiamente acclarato. Il progresso scientifico ha sempre più fomentato le ricerche, che hanno dato risultati di grande bellezza e utilità sociale. La storia stessa racconta con orgoglio la capacità dell’uomo di dominare e gestire la natura in nome della tecnica. Cosi, molti danni al sistema sono figli della presuntuosa modernità che poco a poco ha scalfito il rapporto dell’uomo e con la natura e con la tecnica. Per lungo tempo, la natura è stata letta con un velo di sacralità, amata e rispettata dall’uomo.[7] Le cose sono profondamente cambiate quando il rapido sviluppo della tecnica ha reso sproporzionato tale rapporto, inducendo l’uomo a manipolare la natura. Da poeta impegnato a contemplare la sacralità del creato a studioso solerte nella ricerca spasmodica della perfezione, l’uomo, supportato dagli strumenti tecnici, ha sempre più maturato l’ambizione di un superamento dei limiti, provocando effetti collaterali difficilmente gestibili, di cui è responsabile, si pensi al rischio ambientale, rischio da prodotto, tecnologico etc.. Se alla luce delle minacce antropiche è necessario modificare il rapporto uomo – tecnica e ridurre quest’ultima a misura d’uomo, pare opportuno rivisitare lo stesso rapporto alla luce delle catastrofi naturali. La tecnica ha, da questo punto di vista, un valore salvifico perché dota l’uomo degli strumenti necessari a prevenire e gestire i rischi naturali, che rientrano – ormai – nell’alveo del suo dominio; con la conseguenza che non sempre la responsabilità delle conseguenze derivanti dalle calamità naturali è attribuibile, tout court, alla potenza della natura.Nella società dell’incertezza si sviluppa, dunque,  una nuova percezione del rischio: le catastrofi naturali, tradizionalmente attribuite all’ira divina, sono, invece, imputabili all’uomo che, consapevole del pericolo, non predispone le cautele necessarie a depotenziarne la forza distruttiva.[8] In un simile contesto la distinzione iniziale – tra rischio creato dall’uomo produttivo di responsabilità per il suo autore e rischio esterno non attribuibile ad atto umano – perde la sua efficacia, poiché tutto può essere governato dai mezzi che la tecnica offre all’uomo e tutto può essere fonte di responsabilità. Viviamo, quindi, nella società della catastrofe annunciata, dove muta la percezione del rischio, aumenta l’attenzione verso il pericolo, cresce il senso d’insicurezza sociale e si amplia il novero dei possibili responsabili.

Ebbene, nella società contemporanea, definita dalla letteratura sociologica come “società del rischio”,[9] regna  un senso d’incertezza generale affiancato da un comune bisogno di sicurezza cui il diritto può e deve provvedere.  Secondo la dottrina più recente, la nozione di sicurezza racchiude in se “un innegabile carattere plurale[10] e sotto il profilo delle tipologie in cui si estrinseca – sicurezza pubblica, sicurezza sociale, ambientale, sanitaria etc. – e sotto il profilo dell’individuazione dei soggetti tenuti a soddisfare le esigenze di sicurezza – Stato, Regioni, Province, Comuni, soggetti pubblici e privati cooperano al fine di realizzare un adeguato sistema di gestione e prevenzione dei rischi -.La sicurezza si qualifica come bene legato alla vita, all’incolumità fisica e psichica dell’uomo ed è riferibile da un lato allo Stato -titolare di un obbligo di protezione verso i consociati – e dall’altro ai singoli individui – titolari di un diritto ad un’esistenza protetta.  Nella società del rischio, dunque,  il diritto alla sicurezza si connota di  dinamicità ed implica, non solo la protezione dei beni giuridici esistenti sotto forma di reazione ad una lesione subita, ma anche la garanzia della protezione nel tempo di diritti e aspettative future attraverso la prevenzione.[11]

Il primo riconoscimento del diritto alla sicurezza quale esplicazione del più generale diritto all’incolumità, intenso come aspettativa all’eliminazione o riduzione dei pericoli da parte dei titolari di tale preciso obbligo giuridico, è contenuta nella Dichiarazione di Montreal del 15 maggio 2002.[12] Considerando il panorama dei rischi che incombono sulle comunità umane, la Dichiarazione prospetta un vero e proprio diritto all’incolumità – Right to safety – che è definito come “a fundamental right, essential for the attainment of health, peace, justice and wellbeing”.[13] Sulla scorta di tale definizione autorevole dottrina ritiene di dover considerare la sicurezza in generale sul piano assiologico, come bene pubblico, inscindibilmente legato all’integrità  fisica e psichica dell’uomo.

La risposta giuridica – al problema dei rischi – si estrinseca attraverso due strumenti di tutela: la prevenzione e il risarcimento del danno. La prima presuppone un sistema basato su misure di sicurezza destinate talvolta ad evitare il verificarsi dell’evento, talaltra a limitarne gli effetti disastrosi. Il risarcimento, invece, assume un carattere reintegrativo per coloro che hanno subito i danni. Alla stregua del fatto che, la diffusa opinione pubblica confida nella capacità umana di controllare tutti gli eventi (perfino quelli di origine naturale), i danni derivanti dalla mancata predisposizione di misure preventive sono fonte di responsabilità e di obblighi risarcitori a carico di coloro che, hanno omesso di porre in atto le cautele, che avrebbero potuto scongiurare l’evento o ridurne la portata distruttiva.

E′ del tutto evidente che, il metodo della prevenzione riesce meglio a soddisfare il bisogno di sicurezza, consustanziale alla società del rischio. Si pensi che, nella stessa Dichiarazione di Montreal si legge: “Safety is a state in which hazards and conditions leading to physical, psychological or material harm are controlled in order to preserve the health and wellbeing of individuals and the community (…)The object of this Declaration is not to eliminate all risks but rather to control them in order to protect the health and well being of individuals and the community”.[14] Se è vero che il Right to Safety  non tutela valori fondamentalmente diversi da quelli contenuti nelle varie Carte dei diritti umani,  non può revocarsi in dubbio, tuttavia, che esso li garantisca in modo nuovo, attraverso una tutela anticipata. Sovente, la tutela giuridica di questi valori avviene ex post, sotto forma di reazione a situazioni già compromesse; invece, l’obiettivo che autorevole dottrina intende perseguire, attraverso il riconoscimento di uno specifico Right to Safety, è quello di intervenire ex ante, su situazioni a rischio non ancora lese. Il bene tutelato è, in tal caso, il senso d’insicurezza collettiva, generato dalla percezione dei pericoli.[15]

La dimensione eminentemente collettiva dei rischi e la loro eterogeneità consentono di qualificare le istituzioni statali e internazionali come soggetti giuridicamente obbligati a soddisfare l’esigenza di protezione. Infatti, la Dichiarazione di Montreal – all’ art. 11 – configura la responsabilità degli Stati, relativa alla formazione di meccanismi atti a garantire la sicurezza collettiva sia nei confronti di rischi di origine antropica, sia nei confronti di ogni genere di disastri. Sotto il profilo del Right to Safety, la reazione affidata ai singoli individui – responsabilità civile – mal si adatta a fronteggiare situazioni di rischio, sia per la non calcolabilità della sanzione che può assumere dimensioni sproporzionate, sia per il fatto che non si realizza l’effetto di deterrenza dai comportamenti illeciti.  L’azione di responsabilità civile, inoltre, non può essere proposta prima del verificarsi dell’evento: per la concreta impossibilità dei singoli di fornire la prova del pericolo e anche per la scarsa informazione connessa ai rischi, nella maggior parte dei casi, infatti, chi versa in condizioni d’insicurezza non ne è consapevole. Alcuni ritengono che, il ricorso a strumenti di diritto pubblico – sanzione panale o amministrativa – possa rivelarsi più efficace per fronteggiare condotte generatrici di rischio; permettendo di rendere calcolabile la sanzione (fissata tra un minimo e un massimo) edi individuare i comportamenti illeciti.

Non vi è dubbio, tuttavia, che nella società del rischio la responsabilità si sostanzia di contenuti oggettivi e gestionali e non è intesa come ammonimento per aver tenuto un comportamento dannoso, bensì, come il risultato di scelte organizzative.  Se per un verso la presenza dei pericoli è una costante nelle società contemporanee, per altro verso una gestione responsabile dei rischi si palesa come necessaria ed irrinunciabile.


[1] R. TRABUCCHI, “Vivere nel rischio”, 2009, in www.manageritalia.it

[2] U. BECK, “La società del rischio”, Carocci, Roma, 2000, p.327

[3] U. BECK, “La società del rischio”, Carocci, Roma, 2000, p.44

[4] U. BECK, “La società del rischio”, Carocci, Roma, 2000, p.58

[5] BETTI, in Novissimo Digesto Italiano,VTET, terza edizione a cura di A. AZARA, 1957, voce alea, nozione di rischio Capo I, p. 469.

[6] A. FIORITTO, “L’amministrazione dell’emergenza tra autorità e garanzie”, il Mulino, Bologna, 2008, p. 36.

[7]  Emblematico al riguardo è l’antico spirito degli scrittori inglesi. “C’è un piacere nei boschi senza sentieri, (…) Non è che io ami di meno l’uomo, ma la natura di più.” G. BYRON, in Childe Harold’s Pilgrimage.

[8] R. TASSONE, “Il diritto all’incolumità: contenuto e tecniche di tutela” p. 1, in www.unime.it

[9] Tale nozione è stata utilizzata per la prima volta dal noto sociologo tedesco Ulrich Beck, che ha ben evidenziato il legame dei rischi con i valori e gli interessi della società contemporanea. U. BECK, “La società del rischio”, Carocci, Roma, 2000

[10] S. PEDRABISSI,“Le ordinanze sindacali in materia di sicurezza urbana alla luce del principio di legalità”, in Giustizia amministrativa Rivista di diritto pubblico, sezione dottrina in www.giustam.it

[11] P. RIDOLA, “Le nuove frontiere del principio di libertà nella società del rischio e il diritto alla sicurezza”, in Diritti costituzionali, volume I, Giappichelli Editore, Torino 2006, p. 144.

[12] A. RELLA, “Il caso Erica al vaglio della Corte di Giustizia”, in GIURIETA Rivista di diritto dell’economia, dei trasporti e dell’ambiente, vol VII, 2009

[13] Art. 1, Dichiarazione di Montréal del 15 maggio 2002, stilata al termine del VI World Conference on Injury Prevention and Control

[14] Art. 2, Dichiarazione di Montréal del 15 maggio 2002, in R. TASSONE, “Il diritto all’incolumità e tecniche di tutela”, in www.unime.it

[15]  R. TASSONE, “Il diritto all’incolumità e tecniche di tutela”, in www.unime.it


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Dott.ssa Ilaria Rizzuti

Laureata in giurisprudenza cum laude. Specializzata in Professioni legali.

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